In un periodo, quello durante e dopo la Rivoluzione Francese, in cui la Storia europea si scrive con il sangue, la figura apparentemente imperturbabile e composta di Juliette Bernard – Madame Récamier, dal cognome del marito – solleva ancora oggi molte domande. Almeno per come ci è stata raccontata: tanto bella quanto riservata, sobria ed elegante nei suoi habits-chemise di mussolina bianca, attorniata da schiere di ammiratori altolocati – tra cui Lucien Bonaparte, fratello di Napoleone – tutti tenuti sapientemente a distanza.
Con il suo sorriso appena accennato, l’inaccessibile Juliette è passata alla storia essenzialmente per essere stata una delle “tre Grazie” del Direttorio (1795-1799), insieme a Madame Tallien e a Joséphine de Beauharnais, nonché protagonista discreta del gran mondo parigino sotto il Consolato (1799-1804), grazie alla sua arte nel ricevere le personalità più diverse, sia per appartenenza politica che per temperamento.
Nasce a Lione nel 1777, figlia di un avvocato, Jean Bernard. Nel 1784 il padre è convocato a Parigi per prestare servizio nell’erario, e la ragazzina viene affidata a una zia. Due anni dopo Juliette entra nel convento delle benedettine della Déserte, dove la precoce e severa formazione religiosa la segnerà per sempre. Presto, comunque, raggiunge la famiglia nella capitale di Francia.
È un’adolescente quando, nel 1793, si sposa con il ricco banchiere Jacques-Rose Récamier, di ventisette anni più vecchio. Questi le offre le condizioni psicologiche e materiali della sua ascesa sociale. Ma un segreto inconfessabile, che corre tuttavia sulla bocca di molti, si nasconde dietro le premure di Jacques-Rose. Si mormora infatti che la giovane moglie sia, in realtà, la figlia del banchiere, essendo egli stato per anni l’amante della madre di Juliette. Sentendosi minacciato dagli effetti della Rivoluzione, aveva pensato bene di dare il proprio nome alla figlia naturale, o forse, semplicemente, “adottiva”, in modo da garantirle il suo colossale patrimonio. Resta il fatto che dalla coppia non nascerà alcun erede.
Nel 1798 Récamier acquista la casa di Jacques Necker, ultimo grande ministro della monarchia francese, finanziere, e padre di Madame de Staël. La dimora, in rue Mont-Blanc (oggi rue de la Chaussée-d’Antin, nel IX arrondissement), diventa il punto d’arrivo di illustri ospiti, tra i quali artisti, ministri, ambasciatori. Gli invitati possono godere, oltre che dello charme della padrona di casa – che canta, suona l’arpa, e si esibisce con la sua figura diafana nella “danza dello scialle” messa in voga da Madame Tallien –, di una cornice di grande eleganza e modernità. Gli arredi e i decori della dimora sono di Louis Martin Berthauld e dell’atelier “Jacob frères”: mobili in legno di mogano, limone, amaranto – ornati da appliques in bronzo dorato –, grandi specchiere, tappeti orientali, marmi, fiori, arbusti rari e altre raffinatezze. Madame Récamier è tra le prime ad arredare la sue stanze in quel nuovo stile greco-pompeiano che si imporrà durante il Consolato e nel periodo Impero (1805-1814).
Ma a distinguere questo ambiance sono la classe e il buon gusto, più del lusso chiassoso, così frequente negli anni dopo il Terrore (1793-1794), quando tutti gli sfarzi e le eccentricità sono permessi. In questo vortice, Juliette, la “meravigliosa” che preferisce le perle ai diamanti e fa opere di carità senza ostentazione, con lo stesso garbo con cui si dedica alla vita mondana, resta fedele al suo naturale ritegno. Anche quando va da una festa all’altra, passando in carrozza per i boulevards di Parigi come una trionfatrice, predomina in lei la sobrietà sulla frivolezza. Questa è l’immagine, del resto, che ce ne hanno lasciato grandi artisti quali David, Chinard, Gérard, più tardi Canova. Avvolta dalla lunga e morbida veste bianca con le maniche corte a palloncino, i capelli tagliati “alla Tito” a incorniciarle l’ovale perfetto, appare in pose visibilmente studiate, quasi un simbolo di grazia e purezza che lascia appena trasparire una malizia contenuta e tuttavia provocante. Finisce così per lasciarsi più o meno consapevolmente imprigionare nel ruolo della “musa” irraggiungibile, che le permette di diventare un personaggio pubblico rimanendo però protetta da un alone di sacralità. La sua immagine, attraverso stampe e porcellane, circola dappertutto, anche oltreconfine. In Inghilterra, come ha modo di constatare in prima persona durante un soggiorno a Londra, principi e duchesse l’accolgono rapiti.
Si affeziona a lei la ben più intellettuale figlia di Necker, Germaine de Staël, che in quell’“angelo caduto dal cielo” trova una compensazione agli eccessi del proprio carattere. In effetti Madame Récamier, con la sua sensibilità misurata e costante, è il complemento ideale dell’irruente e combustibilissima pensatrice. Che però diventerà gelosa di lei quando a rimanerne soggiogati saranno suo figlio Augusto; il politico e per un periodo suo amante Prosper de Barante; e il suo più celebre “ex”, Benjamin Constant, nonostante la loro storia, tormentatissima, fosse finita da un pezzo.
Ad ogni modo, vince da subito l’amicizia: quando Germaine diventa, più che ricambiata, acerrima oppositrice di Napoleone, e per questo allontanata da Parigi, l’ “adorabile amica” non esita a starle accanto, arrivando persino a rifiutare l’offerta di diventare dama di Corte. Entra così, anch’essa, nella “lista nera” di Buonaparte, tanto più che casa Récamier è diventata nel frattempo un “covo” anti-regime. I generali Bernadotte e Moreau si ritrovano lì con i loro amici a complottare contro la deriva autocratica di Napoleone. Il quale arriva a proibire i ricevimenti del lunedì.
A farne le spese è anche il marito Jacques-Rose, fra i banchieri più in vista sotto il Direttorio. E sì che aveva elargito un prestito consistente al Tesoro pubblico, tanto che Napoleone ne aveva fatto uno degli amministratori della Banca di Francia. Ma quando la sua, di banca, entra in difficoltà, l’Imperatore lo lascia affogare. Alla coppia non resta che vendere la ricca dimora di rue du Mont-Blanc e trovare altrove, in rue Basse-du-Rempart, una soluzione meno dispendiosa.
Nel 1807, Juliette trascorre l’estate in Svizzera, ospite di Madame de Staël, in esilio a Coppet, sul lago di Ginevra, dove nel castello di famiglia dà vita a una sorta di “laboratorio” intellettuale in vista della costruzione della nuova Europa.
Qui, la bella “incantatrice” conquista il principe Augusto di Hohenzollern, fratello minore di Luigi Ferdinando di Prussia, nipote del grande Federico II. E ne rimane a sua volta sedotta, pur non concedendosi del tutto. Confessione, questa, raccolta su dettatura da una persona di fiducia, insieme ad altri ricordi, in un quaderno ritrovato molti anni dopo la sua morte. Ma l’avventura esalta la sua fantasia, tanto da portarla sull’orlo del divorzio, incoraggiata, in questo, dalla protestante Germaine. Juliette torna però sui suoi passi: come può – si chiede, lei che invece è cattolica – lasciare il marito? Jacques-Rose, è vero, ha quasi il doppio della sua età, per lui prova un affetto più filiale che coniugale. Tuttavia, il loro è un vincolo sacro. In più, sente di dovergli tutto. Rinuncia, quindi, all’amore, ma lo scossone è tale da indurla a tentare il suicidio. Ad Augusto, irrimediabilmente ferito, non resta che appendere un ritratto dell’amata, uno dei tanti, nello studio giallo dei suoi appartamenti sulla Wilhelmstrasse, a Berlino.
Nel 1811 tocca a lei doversi allontanare “a quaranta leghe da Parigi” per ordine dell’Imperatore. Si trasferisce a Châlons-sur-Marne insieme ad Amélie Lenormant, la figlia rimasta orfana di una pronipote del marito, a cui si lega tanto da adottarla. Durante un viaggio in Italia, e siamo nel 1813, conosce Antonio Canova, ormai più che cinquantenne. Lo scultore si innamora platonicamente di lei e realizza subito un busto in gesso. Più tardi, scolpirà il celebre busto in marmo immortalandola nelle vesti di Beatrice.
Caduto Buonaparte, Madame Récamier riapre il suo salotto parigino. Intanto si sposta volentieri, vuoi in giro per la Francia, vuoi di nuovo in Italia.
A partire dal 1818, un anno dopo la morte di Germaine, vive un amore a cui, questa volta, “non manca niente”, per usare le sue stesse parole. Lui è il grande scrittore François-René de Chateaubriand, considerato il fondatore del romanticismo letterario francese. Poco avvenente, ambizioso, smanioso di conquiste femminili, oltre che sposato. Nemmeno Juliette, del resto, rompe con il marito: sebbene, di fatto, siano separati, sarà solo la morte di quest’ultimo, nel 1830, a mettere la parola fine a un matrimonio durato quasi quarant’anni.
Nel 1819, dopo un ulteriore fallimento finanziario di Récamier, si trasferisce in un appartamento, in affitto, al primo piano dell’austera Abbaye-aux-Bois, un antico convento in quella che all’epoca era una zona periferica della capitale e oggi è la rue de Sèvres, nel VII arrondissement. Lì finisce per stabilirsi e riprende a ricevere. Ma i tempi sono cambiati, il salotto acquisisce un carattere via via più letterario e diventa un punto di ritrovo culturale tra i più ricercati. Vi partecipano, tra gli altri, oltre al predominante Chateaubriand, che non perde occasione per leggere brani delle sue Mémoires d’outre-tombe (Memorie d’oltretomba), Lamartine, Sainte-Beuve, Balzac, oltre a Pierre-Simon Ballanche, filosofo oggi dimenticato con cui Juliette instaura una profonda amicizia. Si esibiscono, poi, personalità come Talma, il noto attore, e Pauline Viardot, pianista e talentuosa cantante lirica, nata García ma diventata celebre con il cognome del marito.
Nel 1848 muore Chateaubriand, amato e sostenuto da Madame Récamier sino all’ultimo, anche nella cattiva sorte, tra rovesci economici e una malsicura carriera politica. Juliette si spegne a sua volta l’anno dopo, quasi cieca, portata via dal colera. Termina così la vicenda di colei, vano oggetto del desiderio, che aveva anticipato le mode, ispirato i più famosi artisti, riunito intorno a sé l’élite culturale parigina ed europea.
Cosa rimane, oggi, di questa figura il cui incedere di dea, unito alla casta sensualità, faceva impazzire gli uomini; e cosa del cliché che, in fin dei conti, le è stato cucito addosso? Nemmeno Chateaubriand si scosta dallo stereotipo. Quando la incontra per la prima volta, nel 1800, a casa di Madame de Staël, si chiede se davanti a sé abbia “il ritratto del candore o della voluttà”. Ovvero: vestale o tentatrice? Quasi un personaggio da antica tragedia, come la coglie, proprio in quell’anno, il pittore David. Il quale rompe, nel suo dipinto (peraltro incompiuto), con l’inquadratura tradizionale dei ritratti e crea una distanza tra lo spettatore e la modella, colta nella sua immacolata, e al tempo stesso intrigante compostezza di donna forse sacrificata, addirittura, dentro un matrimonio. La postura, l’abito bianco e la sobria ambientazione richiamano le effigi delle dee greche e romane.
Com’è successo a Greta Garbo, a Marilyn Monroe, l’attenta strategia con cui è stata utilizzata la sua immagine ha fatto di lei un mito. Tuttavia, a furia di “mettersi in posa” senza mai mostrarsi veramente, l’oggetto di culto ha finito per perdersi. L’ “icona” si è rivelata una conchiglia vuota, un giocattolo della Storia da dissacrare dopo la santificazione. René Magritte, in Perspective, Madame Récamier de David (1951), riprendendo il celebre quadro, archetipico, del suo predecessore, dipinge una bara, al posto della “divina”, sulla proverbiale méridienne Direttorio, nota appunto anche come récamière. E il pittore spagnolo Antonio Saura, una ventina di anni dopo, propone un’opera non meno iconoclasta, La Récamier: su una riproduzione a colori del busto preso dal ritratto di François Gérard (1802), le deturpa il volto con macchie e segni a china e gouache. Dietro gli sfregi, il sorriso ammiccante di Juliette si vede e non si vede. Un sorriso, nonostante tutto, riconoscibile, che tuttavia non la illumina.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Juliette Récamier
Non sono molti i documenti diretti sulla vita di Madame Récamier. Aveva infatti distrutto, e fatto distruggere dopo la sua morte, buona parte delle carte che la riguardavano.
I documenti rimasti (alcune lettere e altro materiale) sono conservati presso la Bibliothèque Nationale de France (BNF, Département des Manuscrits occidentaux, Parigi).
C’è poi la biografia di F. Wagener, Madame Récamier, Flammarion, Paris 2001.
Tra le pubblicazioni più aggiornate, segnaliamo il catalogo della mostra Juliette Récamier. Muse et mécène, Lione, Musée des Beaux Arts, 27 marzo-29 giugno 2009, Editions Hazan, Parigi 2009.
Ricordiamo che al Castello di Coppet (Ginevra), aperto al pubblico per visite guidate, è possibile vedere la stanza di Madame Récamier, una delle ospiti più assidue di Madame de Staël (www.châteaudecoppet.com).
Referenze iconografiche
Se le carte scarseggiano, moltissime sono invece le immagini. Tra le altre:
F. Gérard, Juliette Récamier, olio su tela, 1802-1805, Parigi, Musée Carnavalet.
J.L.David, Juliette Récamier, olio su tela, 1800, Parigi, Musée du Louvre.
J. Chinard, Juliette Récamier, busto in marmo, 1805-1806, Lione, Musée des Beaux Arts.
A. Canova, Tête idéale, Juliette Récamier en Béatrice, busto in marmo, 1819-1822, Lione, Musée des Beaux-Arts.
F.L. Dejuinne, La chambre de Madame Récamier à l’Abbaye-aux-Bois, olio su tavola, 1826, Parigi, Musée du Louvre.