“Walther racconta felice che ha trovato la fedele piccola Eva, Siegfried ha trovato la sua Brunilde” 1
Sofia Carlotta Wittelsbach nasce il 2 febbraio 1847 nella residenza della famiglia a Monaco di Baviera, nona figlia del Duca Massimiliano di Baviera e della Duchessa Ludovica, nonché parte del clan di sorelle che diverrà noto nella storia come le “Wittelsbacher Schwestern”, le sorelle che giocheranno un ruolo chiave sullo scacchiere europeo: tra esse si annoverano Elisabetta Eugenia Amalia di Wittelsbach (Sissi), l’ultima regina di Napoli e la principessa Thurn und Taxis.
Sofia vantava una bellezza di poco inferiore a quella della celebrata sorella Sissi. I suoi gusti erano assai difficili da soddisfare: rifiutati come pretendenti sia il duca Guglielmo di Wuttemberg che il fratello del cognato imperatore, Luigi Vittorio, sul cui conto correvano voci poco lusinghiere, tenne come unico corteggiatore il cugino Luigi, erede al trono di Baviera, con il quale condivideva l’amore per i luoghi d’infanzia e la musica di Richard Wagner (Luigi infatti si riferiva a Sofia con l’appellativo di “Elsa” dall’opera “Lohengrin”).
Inondata di attenzioni, la ragazza ricevette la proposta di matrimonio dal cugino nel gennaio 1867 e lo stesso Luigi telegrafò euforico all’idolo della coppia, Wagner, per informarlo personalmente. Nonostante però questo entusiasmo, si iniziavano a notare in Luigi degli atteggiamenti per nulla riconducibili a quelli di un normale fidanzato: distaccato, freddo e distratto, si assentava con sempre maggiore frequenza dagli impegni mondani che erano previsti per due giovani fidanzati del loro rango lasciando la stessa Sofia sola a gestire l’attenzione (frustrata dopo l’ennesima assenza ad un ballo organizzato in loro onore, la ragazza pronunciò la profetica frase “piuttosto (di sposarlo) preferisco buttarmi nel lago”). Ciò che non si poteva ancora sapere era che in realtà il Re di Baviera, proprio come la cugina Sissi e gran parte della famiglia, non solo soffriva della “malattia dei Wittelsbach” – una notevole fragilità psichica ereditaria – ma era anche così ossessivamente devoto alle opere di Wagner al punto da non vedere Sofia come una persona con cui costruire un rapporto, ma piuttosto come la figura angelicata (sulla falsariga della Beatrice di Dante) sulla quale proiettare i suoi sentimenti.
Amareggiata dall’atteggiamento dell’uomo che avrebbe dovuto sposare, Sofia trovò rifugio tra le braccia di Edgar Hanfstaengl, il figlio del fotografo incaricato dalla famiglia reale di scattare le fotografie ufficiali per il fidanzamento della coppia. Coperta dalla sua dama di compagnia la ragazza avviò una relazione clandestina con l’affascinante e mondano giovane. Ma non durò a lungo. Messa alle strette dalla famiglia giunse persino a fingere uno svenimento per coprire la fuga rocambolesca di Edgar da uno dei loro incontri e nel luglio 1867 scrisse “per noi non c’è alcuna speranza e l’unica cosa che ci resta è … rinunciare”. L’ultima traccia cartacea rimasta della loro storia si esaurisce qualche mese più tardi e non ci è dato sapere se la relazione continuò o si spense lentamente: ciò che è certo è che Edgar si sposò solo nel 1882, ben 25 anni dopo.
Sofia e Luigi non convolarono mai a nozze. Soffocato da una situazione definita come “un incubo straziante”, Luigi scrisse a Sofia nell’ottobre 1867 una lettera con la quale ruppe definitivamente il loro fidanzamento: “Mia amata Elsa […] vedo che, come prima, il mio sincero e profondo amore fraterno è radicato nella mia anima, non però quell’amore che è alla base di un’unione matrimoniale”.
La stessa sera Luigi annoterà nel suo diario “Sofia liquidata. Cancellata la tetra immagine”. Per la ragazza si concludeva un altro capitolo, ma reagì con eleganza: era ferita nell’orgoglio, ma soprattutto sollevata di non dover sposare un uomo che, fondamentalmente, non amava; la famiglia invece si sentiva offesa dal comportamento del re e la stessa Sissi scrisse indignata alla madre “non ci sono parole per una simile condotta […] non è lei a doversi vergognare, ma il Re!”.
Senza perdersi d’animo, la duchessa Ludovica, che aveva orchestrato matrimoni per tutte le sue figlie, si mise all’opera: la nuova scelta ricadde sul nipote del re Luigi Filippo d’Orleans, salito al trono nel 1830 e destituito in seguito ai moti del ’48, il principe Fernando duca d’Alençon. Constatata una genuina simpatia fra i giovani, le nozze vennero prontamente celebrate nella casa di famiglia della sposa, Possenhofen, il settembre successivo: l’atteggiamento di Sofia viene abilmente tratteggiato da uno dei partecipanti con la frase “il sì della sposa sembrava dire: per me può andare bene”.
Il matrimonio fu inizialmente felice in quanto la coppia, legata da un sincero affetto, brillava di fascino e veniva subissata di inviti, ma questo periodo di dorata felicità coniugale non era destinato a durare: ben presto Sofia cadde preda della depressione che nemmeno la nascita della primogenita, Luisa, servì a scongiurare. Iniziò un lungo periodo di peregrinazioni: dalla soleggiata Palermo, dove furono brevemente ospiti del marito della duchessa d’Aumale, si trasferirono a palazzo Farnese a Roma, dove si ricongiunsero con due delle “Wittelsbacher Schwestern”, Matilde e Maria Sofia, in esilio dai loro possedimenti che erano stati inglobati dai rivoluzionari italiani, per poi cercare ristoro termale a Merano, dove Sofia diede alla luce il tanto sospirato primogenito maschio (la cui madrina fu Sissi, accorsa in supporto alla sorella).
Sempre più irrequieta e depressa (“la felicità provoca ansia e noi non siamo nati per la felicità”), Sofia, assieme al marito, si stabilì infine a Parigi: ormai una pallida ombra della spumeggiante coppia che aveva tanto affascinato l’Europa anni prima, il duca e la duchessa d’Alençon erano ora noti con l’appellativo di “un couple de tragedie” coniato per loro dalla scrittrice Marguerite Bourcet.
Fu un’improbabile tresca di Sofia con un uomo sposato a spingere Fernando ad internare la moglie in una clinica specializzata in malattie nervose dove la sua depressione venne impropriamente diagnosticata come una conseguenza di un’infezione dovuta alla scarlattina: l’esperienza la fece accostare con inaudito fervore alla religione spingendola ad entrare nel Terzo Ordine di San Domenico in qualità di collaboratrice laica con il nome di Suor Maria Maddalena.
Dedita ormai interamente alla beneficenza, contribuì a organizzare varie attività promosse dai domenicani: in occasione di una di queste, nel maggio 1897, sfruttò le sue relazioni per invitarvi i fratelli Lumiere, inventori delle “fotografie in movimento” e quindi del cinema, la cui presenza aumentò considerevolmente il numero di visitatori. Sfortunatamente però il materiale da loro usato si rivelò altamente infiammabile e presto un incendio divampò nell’edificio occupato: Sofia fu altruista fino all’ultimo occupandosi di mettere in salvo le ragazze al suo fianco prima di provare invano a salvarsi. Morì infatti carbonizzata tra le fiamme e fu riconosciuta tra i cadaveri solo grazie ad un successivo esame della sua dentatura.
La sua morte provocò immenso sconforto specialmente nel marito che l’aveva sinceramente amata: “tutti moriamo di una morte violenta” tentò di confortarlo Sissi qualche mese più tardi. Era il 10 settembre 1897: esattamente un anno più tardi lei stessa sarebbe stata assassinata da Luigi Lucheni.
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023