Marguerite Baranktise, detta Maggy, è nata nel 1957 a Ruyigi, nella Repubblica del Burundi, un piccolo stato africano che conta circa dieci milioni di abitanti. È un’attivista per i diritti umani, appartenente alla minoranza etnica Tutsi.
Maggy è una disobbediente sin da bambina. Alla scuola primaria si rifiutò sempre di essere svegliata alle 6.30 del mattino per recitare le preghiere. Sosteneva che non si poteva pregare a ore fisse:
Dicevo alle suore che sarei andata a pregare quando avrei sentito che era il momento.
Maggy continuò a disobbedire. Rifiutò di sposarsi o di entrare in convento, come si addiceva ad una donna in età da marito.
Non sono diventata una religiosa perché non era la mia vocazione, anche se mi piaceva pregare. Mettevo in pratica la religione in tutti gli atti della mia vita, andavo all’ospedale, aiutavo gli orfani. Anche al liceo frequentavo ambienti cattolici e partecipavo ad azioni caritative. Ma è vero anche che non ero capace di obbedire. Era una dote che non avevo. In quanto religiosa, sei tenuta ad un’obbedienza totale. Non avrei potuto andare in convento […] io voglio testimoniare la mia fede come laica nel mondo […] che bello sarebbe se il mondo avesse capito il messaggio di quel pazzo di Nazareth.
Il messaggio a cui si riferiva le era stato trasmesso da sua madre. Questo il suo ricordo:
La mamma era una donna molto buona, sempre allegra persino quando si è ammalata. Durante i sei mesi in cui l’ho vegliata prima che morisse, non l’ho mai sentita lamentarsi. Quando ero piccola, a volte la sua bontà mi irritava. Bisognava sempre che dividessimo tutto con gli altri… ai suoi occhi le parole di Cristo valevano solo se venivano messe in pratica. L’uguaglianza tra le persone, la condivisione, l’ascolto della sofferenza dell’altro, la difesa dei più deboli, tutti questi valori erano essenziali per lei.
Con la fondazione della Maison Shalom nel 1994, Maggy mise in pratica gli insegnamenti di sua madre: accoglierà e aiuterà più di cinquantamila tra bambini e bambine di qualsiasi condizione ed etnia, cercando di ricucire una moltitudine di vite sconvolte da odio e violenza.
Verrà definita l’“Angelo del Burundi” e riceverà il premio Nobel per i bambini nel 2003, insieme ad altri riconoscimenti a livello internazionale. La sua storia è stata raccontata nel libro di Christel Martin, Madre di diecimila figli, edizioni Piemme.
Il 21 ottobre 1993 è la data dell’inizio dell’incubo: il nuovo presidente Hutu venne assassinato e iniziarono le vendette contro i Tutsi. Il Burundi precipitò nel caos, il sangue scorreva a fiumi tra le due etnie e in quattro giorni le cifre ufficiali dichiararono cinquantamila morti.
In questo desolante quadro si staglia nitida la figura di Maggy, che intervistata anni dopo ha ricordato la necessità di mantenersi salda nei suoi principi di umanità, anche mentre l’orrore si diffondeva.
Nonostante le azioni terribili perpetuate anche nei confronti della sua famiglia, Maggy ha sempre sostenuto di non avere nel suo cuore odio per l’etnia Hutu che aveva commesso quel crimine.
Nella lunga intervista rilasciata alla giornalista Christel Martin, Maggy racconta il giorno in cui scoppiò la rivolta in Burundi.
Andavo avanti e indietro per cercare di portare assistenza sia ai tutsi che agli hutu…tutt’intorno le colline bruciavano… All’alba del 24 ottobre […] sono stata una delle prime a vedere la folla degli assalitori […] ‛Scappate, scappate, ci attaccano, correte a nascondervi’ ho detto a tutti […] ho visto una folla armata di bastoni, pietre […] Ho chiesto loro di fermarsi ma mi hanno schiaffeggiato gridando ‛ancora tu e le tue idee, bruceremo tutto’. Poi mi hanno picchiata. Hanno bagnato di benzina il soffitto e gli hanno dato fuoco […] allora mi hanno legato su una sedia, mi hanno strappato i vestiti e hanno assassinato gli hutu, uno per uno, davanti a me, in cortile. Li facevano a pezzi davanti a me con il machete.
Dopo averle gettato la testa mozza di una donna fra le ginocchia, uno degli assalitori la liberò in cambio delle chiavi del magazzino. Per Maggy fu terribile vedere delle persone che conosceva commettere omicidi di efferata violenza. Nell’intervista continua:
Allora ho pensato che forse potevo salvare qualche bambino dando dei soldi agli assassini. Soldi in cambio della vita di un bambino. E la forza mi tornava. Sono entrata e ho preso i bambini che erano nell’edificio in fiamme […] correvo, tendendo un po’ di soldi a questo o a quello […] cercavo di distrarre gli assalitori, di indicare quello che potevano saccheggiare per tenerli occupati […] con venticinque bambini avanzavo sulla strada […] si sentiva ovunque la morte […] le mie lacrime si erano seccate ma sentivo una forza incredibile […] quando ho capito che tutti i miei bambini erano stati risparmiati, non ho pensato più che ad una sola cosa: occuparmi di loro.
Dal 1993 al 1998 il Burundi cade in una lenta agonia, è un Paese distrutto che stenta a rialzarsi. Maggy non smette di lottare per migliorare le condizioni dei suoi bambini e inizia a denunciare le ruberie del governo. Diventa troppo scomoda, una persona da eliminare, ma non ha timore.
Anche l’ipocrisia con cui alcuni praticano la religione la infastidisce: li redarguisce aspramente.
In tutta Europa, verrà soprannominata “Pas question” (Neanche per idea), perché questa era la sua risposta ad ambasciatori, mediatori e personalità politiche che le suggerivano comportamenti più diplomatici.
L’accusano di essere pazza, anche le organizzazioni internazionali stentano a dialogare con lei: Maggy non è incline ad alcun compromesso e non esita a denunciare misfatti e incapacità organizzative. Disobbedisce alle regole che ritiene inadatte e inefficaci in quel contesto. E lo fa per anni e anni.
Il 16 giugno del 1997, in occasione della Giornata Mondiale del bambino africano, l’UNICEF distribuisce mille bandiere nel campo profughi di Butezi. Mentre si prepara la cerimonia, Maggy è incaricata di distribuire le bandiere ai bambini che dovranno sventolarle al passaggio delle autorità.
Per lei è una follia, i bambini hanno a malapena degli stracci per coprirsi. Si ribella a quella imposizione di facciata ma la zittiscono dicendo che deve solo eseguire quell’ordine.
Anche in questo caso, decide di disobbedire. Si organizza con altre donne e cuce a due a due le bandiere ricavandone delle mutande. I bambini sfileranno con i colori dell’UNICEF, ma sulle natiche.
Un anno dopo, il sottosegretario dell’ONU in visita in Burundi chiede di incontrarla. Dopo quel colloquio riceve il premio internazionale per i diritti umani dal governo francese. Il giorno della cerimonia esclama forte e chiaro:
Spero che la mano che oggi mi dà questa medaglia cessi di fornire armi al mio Paese.
Tanti di quei diecimila bambini che lei ha salvato hanno studiato e alcuni sono rimasti tra i suoi più stretti collaboratori.
Maggy rimane ad oggi scomoda e disobbediente. In un’intervista del 2015 ha dichiarato che il presidente Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005,
È un assassino, uccide il suo popolo. È stato eletto in modo illegittimo, ha violato la Costituzione per farsi confermare per la terza volta […] ogni giorno vengono uccisi 20 giovani tutsi, lui è hutu, la stima è di mille persone uccise e anche Amnesty International ha scoperto nove fosse comuni. Sono state deportate ufficialmente 260.000, ci sono 600 persone in prigione ma nella realtà non si sa quanti siano i reclusi, i torturati… sappiamo che viene usato l’acido per sciogliere i corpi.
Ci sono migliaia di donne violentate. La Corte penale internazionale dovrebbe arrestare Nkurunziza.
E ancora un’altra dichiarazione del 2016:
Il presidente del mio Paese ruba tutti i soldi ricevuti dall’Unione Europea, non ne mandate più. Lui li usa per pagare la milizia assassina.
Ovviamente Maggy non è più in Burundi: vendo denunciato crimini e misfatti perpetrati dal governo, contro di lei è stato spiccato un mandato di arresto. Nel 2015 è stata costretta a fuggire in Ruanda e a trasferire lì tutte le sue attività. E anche lì ha fondato una Maison Shalom.
In un’intervista del 2016 ha dichiarato:
Ho sempre amato la canzone Immagine di John Lennon, immaginare e poi agire. Da quando ero bambina volevo migliorare il mondo, correggere le sue innumerevoli storture.
Ancora oggi la sua voce indignata si alza contro i potenti del mondo, contro le politiche migratorie che definisce inefficaci e indegne. Marguerite Baranktise continua a suggerire di risalire alle cause che inducono le popolazioni a migrare. E continua a denunciare come la ricchezza del pianeta è nelle mani di un ristretto gruppo di persone che sottraggono benessere e speranza di una vita dignitosa alla moltitudine.