Quando nel '95 mi sono trovata nella situazione – emotivamente complessa – di ricordare mia mamma mi sono servita di una coralità di interventi; anche qui intreccio tre voci diverse, per raccontarla. Affido al suo curriculum, scritto forse verso il 1985, trovato tra le sue carte, il compito di esporre la parte della vita professionale e dell'impegno politico e sociale:
Luisa appartiene a quella generazione di donne che ha conosciuto per prima l'emancipazione: negli anni della guerra e del dopoguerra, quelle di noi che avevano studiato al liceo e all'università, che erano entrate a far parte dei gruppi intellettuali e politici antifascisti, erano state accolte come le benvenute. [...]. Eravamo preparate, eravamo brave, e ci sosteneva la passione di un rinnovamento che si manifestava a tutto campo. Accettare le regole maschili del gruppo era obbligatorio. Assumerle era una sorta di promozione. I nostri compagni ci valutavano con il loro metro di qualità. Come donne, ci trattavano con la cavalleria che avevano imparato da bambini. Certe “debolezze” femminili non erano ammesse [...].
Senza rendercene conto, stavamo mutando la nostra identità: c'era molto da imparare, e si buttavano via senza pensarci doti femminili che apparivano solamente ingombranti.[...]
A tutte noi era toccato scoprire che l'emancipazione, il valore personale raggiunto e riconosciuto, erano una sorta di esistenza parallela, poco coniugabile con la vocazione familiare. La si metteva da parte, in attesa di tempi migliori, e intanto si sperimentava la condizione femminile nelle sue antiche radici e nelle sue precarie mutazioni.
Sulla famiglia c'era molto da riflettere, studiare. Quelle di noi che avevano acquisito gli strumenti culturali per farlo, ci si sono dedicate in zone diverse del sapere. Luisa ha partecipato, allora, ai lavori del Centro per la Riforma del Diritto di famiglia e in particolare alla Commissione per i figli nati fuori dal matrimonio.
“Sempre senza emolumento alcuno”, annota lei nella scarna autobiografia. Perché così voleva l'etica della solidarietà socialista e umana della presenza civica, della donazione di sé e del proprio impegno professionale a favore dei “deboli”. Era un modo per legittimare la propria autorevolezza di persona/donna? Così si chiedeva alle emancipate prima che l'ondata femminista denunciasse i costi che le donne stavano ancora pagando per acquisire il merito di cittadinanza in un mondo governato dal potere maschile e da un codice virile.
Quella era una strada obbligata, per tutte noi che volevamo (ingenuamente, anche) utilizzare le nostre lauree, i nostri diplomi e tutto quanto avevamo imparato sui libri e nella vita. Ma l'onda lunga del femminismo ci raggiunse, e ci mostrò quanto fossimo divise, tra famiglia e lavoro, tra identità sessuale e identità civile. Il confronto con le figlie, negli anni Settanta, ci rivelò brutalmente a quante autocensure, a quanti edificanti sacrifici ci fossimo sottoposte per ottenere credito, per conquistare un'attendibilità sempre negata. Luisa ottenne un riconoscimento ufficiale per le ore, i mesi, gli anni che aveva dedicato al suo impegno civico: nel giugno 1985 fu insignita Ufficiale all'ordine al merito della Repubblica italiana: un particolare dimenticato della sua esistenza.
Sentiva, ormai, che le strade dell'emancipazione femminile corrono troppo distanti dalle vene profonde dell'esistenza femminile. [...] Divenne Consigliere e poi Presidente dell'Unione Femminile Nazionale, dal 1970 fino alla morte. E grazie alla sua attiva amministrazione i conti tornarono in attivo, il vecchio edificio di Porta Nuova fu ripulito, restaurato. Quella casa delle donne ritrovò con Luisa la sua antica vocazione, la sua autonomia, la sua integrità. E si aprì ad altre associazioni femminili milanesi (l'Associazione per gli Studi storici di Elvira Badaracco, la Libera Università delle Donne) che qui trovarono ospitalità e nuove energie per continuare l'opera di approfondimento e diffusione di una cultura femminile e femminista.
Luisa seppe individuare, negli ultimi tempi di vita, chi poteva succederle nel difficile governo dell'Unione Femminile Nazionale. Affidò a Annarita Buttafuoco il compito di proseguire, e oggi l'Unione è ricca di attività fiorenti nelle quali si sono inserite le docenti di storia.
Infine, io avevo scelto la fotografia, un piccolo percorso sul tema del ricordo, e una breve nota di riflessione: