Edina Altara esordì diciassettenne come ideatrice di una serie di balocchi di cartoncino. La sua ricerca si inseriva in quel movimento di modernizzazione del primo Novecento che prestava attenzione al modo in cui l’arte può incontrare non solo la produzione industriale, ma anche l’espressività popolare. Nella convinzione che l’antica distinzione fra arti maggiori e arti minori fosse ormai inaccettabile, si affermava l’idea che la creatività riguardasse anche gli oggetti d'uso e che i nuovi sistemi produttivi dovessero armonizzarsi con gli antichi saperi artigianali.

Questa congiunzione era già viva tra le artiste e gli artisti dediti alle arti applicate e al design contemporaneo e toccava in particolare i settori dell’illustrazione e del giocattolo. In Sardegna, dove Altara era nata e visse per diverso tempo, questo rinnovamento conobbe discreta fortuna grazie all’apporto di numerosi animatori, fra i quali Eugenio Tavolara. Il fermento isolano meritò considerazione da parte di intellettuali come Ugo Ojetti e Giò Ponti, ricevendo inoltre l’attenzione di Margherita Sarfatti, prima donna critica d’arte nell’Italia fascista.

Nei primi decenni del secolo questa ricerca annoverava in Sardegna anche numerose donne: furono particolarmente attive Olimpia Melis, le sorelle Coroneo, le sorelle Altara: Edina, Lavinia, Iride. Fra loro Edina ha lasciato la traccia più importante, segnalandosi per la fedeltà a se stessa e alle proprie scelte. Nel suo documentato studio sulle sorelle Altara, Giuliana Altea nota che Lavinia e Iride:

approdano all’arte negli anni della maturità, sbocciando in un’aggraziata fioritura tardiva che le porta momentaneamente a deviare da un destino altrimenti tranquillo di spose e madri borghesi; la scelta creativa di Edina è invece una scelta di vita, pagata da ultimo con la solitudine e l’incertezza economica, secondo un copione fin troppo spesso ricorrente nelle biografie delle artiste del Novecento.

Edina Altara fu sempre interessata a sperimentare. Di famiglia agiata, sviluppò in modo autonomo un notevole senso estetico e una manualità allenata al ritaglio prima ancora che al disegno. Si interessava di antiquariato, ma anche delle nuove tecniche produttive, esercitandosi in mille piccole attività, dal ripristino di oggetti antichi alla creazione di complementi d’arredo, alla decorazione, alla pittura; i suoi materiali erano tessuti, carte colorate, frammenti di vetro con cui componeva scene e figure.

Il suo status di artista le venne riconosciuto prima che compisse vent’anni, con un articolo sulla rivista «Emporium» che la poneva sullo stesso piano di artisti ben più affermati. Il concittadino Giuseppe Biasi, pittore informato e curioso, aveva avuto modo di apprezzare i manufatti di Edina e la introdusse alla mostra della Società degli Amici dell'Arte di Torino, dove il re Vittorio Emanuele III acquistò una sua opera.

Sebbene le prime recensioni critiche – basandosi sul mito del "primitivo" – presentassero Edina come l’esponente di un’arte "tipicamente" femminile, cioè prevalentemente istintiva e inconsapevole, la giovane artista era piuttosto aggiornata: leggeva diverse pubblicazioni e conosceva l’illustrazione di orientamento liberty.

Nel 1918 si trasferì a Casale Monferrato e iniziò a collaborare con diverse riviste. Nel 1922 giunsero le nozze con Vittorio Accornero de Testa, affermato scrittore, disegnatore e scenografo noto sotto il nome di Ninon. La coppia era molto ricercata in società, conduceva vita agiata e rimase unita fino al 1934; nel frattempo cresceva, a firma di entrambi, la produzione di illustrazioni, gadget pubblicitari e vari lavori di gusto Deco. In questi lavori Edina realizzava i personaggi e Vittorio Accornero gli ambienti, ma le testimonianze dicono che forse proprio un eccesso di fusionalità minò il sodalizio, terminato intorno al 1935.

Superata una fase di disorientamento, Edina si dedicò a moda, design del tessuto e ceramica. Accantonò il linguaggio per lei limitativo del periodo precedente – basato su una stilizzazione convenzionale e sui colori smaltati richiesti dalla committenza – e si dedicò alla decorazione delle maioliche prodotte da alcune ditte faentine e torinesi; acquisì un tratto leggero e sfumato, con cui dipingeva i bozzetti di figure soprattutto femminili e scene di particolare estro fiabesco, riscontrando considerevole gradimento tra gli acquirenti. Secondo un modello affermatosi nell’ambito del design, Edina progettava ciò che altri avrebbero poi riprodotto. La collaborazione con le aziende del continente divenne meno stretta durante la guerra, per cui Edina si indusse a utilizzare la tecnica a freddo; l’attività fu sostenuta dalle sorelle, che riportavano i suoi bozzetti sui supporti di ceramica. L’iniziativa rappresentò un vero esempio di piccola imprenditoria femminile, capace di consentire proventi sicuri in un periodo difficile come quello bellico. Ma soprattutto fu un modello di collaborazione che assicurò visibilità reciproca, in un panorama – quello italiano – generalmente incapace di supportare il talento delle donne. Proprio come altre artiste prima di loro, le sorelle Altara compresero il valore del sostegno di genere in un percorso di affermazione femminile.

Come stilista Edina collaborò con diverse riviste, mentre l’atelier di moda da lei aperto nel 1934 dovette chiudere a causa della guerra. La collaborazione con la rivista femminile «Bellezza» (la risposta italiana, curata da Giò Ponti, a «Vogue» e «Harper’s Bazaar») le permise di occuparsi anche di arredamento, tanto che negli anni Cinquanta ebbe l’incarico di allestire gli interni di cinque transatlantici, fra cui l’Andrea Doria. In particolare la pittrice decorò i vetri della sala ristorante con diverse nature morte, costruite con pennellate dense che accordano colori caldi e freddi, secondo uno stile quasi espressionista. Durante questo periodo si moltiplicavano i riferimenti di Edina al patrimonio storico artistico, con omaggi alle forme di Massimo Campigli e alla mitologia greca. Tuttavia, ormai il dibattito sull’arte aveva ripreso a considerare secondarie le arti applicate, per cui l’attività poliedrica di Edina Altara venne declassata a mera produzione decorativa.

Negli ultimi anni la pittrice ricevette spesso commissioni per soggetti molto convenzionali, ai quali si adattava suo malgrado pur di lavorare. Come accade spesso alle artiste, dopo la morte il nome di Edina è sembrato quasi scomparire, per poi riaffiorare a distanza di tempo sollevando nuovo interesse nel pubblico: di recente le sono state dedicate diverse retrospettive, che hanno saputo mettere l’accento sulla sua esperienza di imprenditorialità creativa comprendendone le utili ripercussioni per le nuove generazioni.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Edina Altara

Giuliana Altea,  Edina Altara, Nuoro, Ed. Ilisso, I maestri dell'arte sarda, 2006

Il sito del pronipote, Federico Spano:  https://www.blogger.com/profile/01673542587669477017

Servizio RAI https://www.facebook.com/EdinaAltara/videos/1218070301538927/

Servizio tv locale: http://www.videolina.it/video/i5sensidellarte/99414/i-5-sensi-dell-arte-

2016-puntata-12-prima-parte.html

Sito “La donna sarda”

Referenze iconografiche: 

Prima immagine: ritratto di Edina Altara, Immagine in pubblico dominio.

Seconda immagine: Opera in ceramica di Edina Altara, anni '40, custodita nel museo di Ciusa de Nùgoro. Autore: L2212.  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

Voce pubblicata nel: 2017

Ultimo aggiornamento: 2023