Due paesi della Sicilia ricordano Angela Basarocco: Racalmuto dove nacque e dove le è stata intitolata una strada e Niscemi dove morì e dove l’ospedale porta il suo nome.
Era il 15 novembre del 1914 quando venne al mondo quella che possiamo definire un’antesignana di “Medici senza Frontiere”. A ventuno anni, nel 1935, prende la decisione di diventare suora e Angela diventa così Suor Cecilia dell’Ordine delle Suore della Santa Famiglia. Viene subito inviata a lavorare all’ospedale di Niscemi dove diventerà la giovane Superiora e vi resterà per oltre cinquant'anni. In quei tempi le strutture sanitarie erano identificate come “Opere Pie” e, a parte qualche piccolo contributo pubblico, vivevano di carità e di opere di volontariato. Per Suor Cecilia quell’ospedale sarà la sua casa e per tutta la vita cercherà di alleviare le sofferenze di quell’umanità dolorante che vi si recava per ricevere cure e conforto.
Era pronta a correre in aiuto di tutti, senza alcuna discriminazione. Più avanti negli anni raccontò che una volta era stata costretta di notte a seguire dei banditi per curare clandestinamente un loro compagno che era stato ferito in un agguato. Un altro episodio che si ricorda è quello di una ragazza usata e abusata come prostituta, che venne ricoverata in ospedale. Suor Cecilia, con mille stratagemmi e pretesti, prolungava di giorno in giorno il suo ricovero, per sottrarla agli sfruttatori.
Aveva una notevole forza fisica, la ricordano infatti mentre trasportava in braccio gli ammalati fino al primo piano. Collaborava in chirurgia e furono tante le volte in cui si sostituì al medico per salvare la vita delle persone.
Di lei così hanno scritto:
Suor Cecilia assomigliava a quelle sculture tratteggiate quasi a colpi d'ascia, lasciate apposta grezze, perché l'artista potesse esprimere in modo più efficace le sue intuizioni. L'età del suo volto era indefinita, quasi il tempo non fosse capace di intaccarne i tratti e indebolirne l'energia.
Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, spesso la suora si ritrovava da sola a curare i feriti mentre tutti gli altri scappavano per la paura che una bomba potesse colpire l’ospedale. Nel luglio del 1943, durante lo sbarco anglo-americano a Gela, si rifugiarono nel nosocomio alcuni soldati siciliani e dodici soldati tedeschi. Lei subito li accolse, li curò e li rifocillò come meglio poteva.
Suor Cecilia era come al solito sola quando arrivarono le avanguardie americane che pretendevano la consegna dei soldati tedeschi feriti per giustiziarli immediatamente, dato che erano considerati delle spie. La suora non si fece intimidire e iniziò ad avviare delle trattative. Ottenne che i soldati siciliani potessero allontanarsi per raggiungere le loro case, ma non riuscì a ottenere la liberazione dei militari tedeschi che furono condannati alla fucilazione e furono schierati al muro dell'ospedale con un plotone d'esecuzione pronto a sparare. Suor Cecilia dapprima iniziò a supplicare di non commettere quegli assassini, ma poi iniziò a correre "come una forsennata, con le braccia aperte davanti ai dodici condannati". "Sparate", gridava agli americani, "sparate anche su di me, Iddio vi perdoni". Di fronte a quella scena e al coraggio della donna, calò il silenzio e nessuno sparò. Così i soldati tedeschi in buona condizione di salute furono inviati a Caltagirone, mentre i feriti furono trasportati a Gela e fatti prigionieri.
Per questo suo gesto eroico, in difesa dei diritti umani, nel 1974 le venne conferita una medaglia d'oro al valore civile. Parteciparono alla cerimonia due dei soldati tedeschi che lei aveva sottratto alla morte.
Nel 1985 fu colpita da un cancro ai polmoni, ma dissimulò per un po’ la sua malattia per essere sempre presente in reparto.
Si spense il 20 ottobre 1986 a settantadue anni: è passata alla storia come "l'angelo bianco" e "l'eroina di Niscemi".
Santi Correnti, Donne di Sicilia, Coppola Editore 2001, p. 111
Sul web:
http://www.malgradotuttoweb.it/suor-cecilia-quando-la-fede-e-il-coraggio-raccontano-una-vita-straordinaria/
Voce pubblicata nel: 2015
Ultimo aggiornamento: 2019