Rosa Menni nacque a Milano il 13 maggio 1889 in una famiglia benestante, di idee progressiste. L’appartenenza alla facoltosa borghesia permise alla giovane di entrare in contatto con numerose personalità della cultura, dell’arte e dello spettacolo.
Nel 1905 si iscrisse alla Regia Accademia di Belle Arti di Brera, ottenendo il titolo di maestra di disegno per le scuole tecniche e normali il 6 novembre 1911.
Dopo il diploma, con la pittrice Anna Beatrice Hirsch, (nota con lo pseudonimo Anna Beatrice D’Anna) e con la scultrice Gemma Pero, aprì un atelier considerato un unicum tra le artiste milanesi dell’epoca. Seguì per Rosa un periodo di intensa attività, che la vide partecipare a numerose mostre, quasi sempre insieme alle due colleghe. Una rassegna di rilievo a cui intervenne fu la mostra dei giocattoli, organizzata al Lyceum nel 1917 e curata dal critico d’arte Raffaello Giolli, che Menni sposerà il 25 febbraio 1920. La manifestazione si collocava nel filone che sosteneva il rinnovamento dell’artigianato tradizionale attraverso una stretta sinergia tra industria e arte decorativa.
L’interesse sempre crescente verso questo tipo di espressione artistica significò, per Rosa, l’abbandono graduale della pittura e il progressivo abbraccio dell’arte decorativa applicata ai tessuti. Menni da pittrice divenne un’artista/artigiana. Forse stimolata dalla passione per l’esotico che dilagava in occidente, rappresentata dal Secessionismo, si dedicò alla sperimentazione della pittura su stoffa, rifacendosi all’arte giavanese del Batik.
Nella primavera del 1921 avviò il laboratorio e un’omonima linea di produzione artigianale, “Le stoffe della Rosa”. Per Menni, gli anni Venti furono un decennio di grandi soddisfazioni. L’attività espositiva continuò con esiti eccellenti. Fondamentale risultò l’adesione all’Exposition des Arts Décoratifis et Industriels Modernes di Parigi (28 aprile – 25 ottobre 1925), il primo importante appuntamento di settore a cui l’Italia aderì dopo la fine della guerra. In quella occasione le furono conferiti premi prestigiosi.
Dal 19 maggio al 31 ottobre 1925, partecipò a Monza, alla prima Mostra Biennale delle Arti Decorative Internazionali a cura del Consorzio Autonomo Milano Monza Umanitaria (manifestazione che dal 1930 diverrà Triennale, con sede a Milano). Il 18 aprile 1925 il marchio “Le stoffe della Rosa” divenne “società con un unico socio”. La sua maestria fu notata nell’ambito della moda, lavorò per le maggiori maison, come Ventura, Marta Palmer, Nicky Chini, per il sarto Paul Andrée Léonard e per il gruppo dei fratelli Vassena. Disegnò indumenti personali ed elementi d’arredo per Gabriele D’Annunzio. Ricercarono le sue creazioni l’ebanista Eugenio Quarti, gli architetti Gustavo Pulitzer-Finali e Paolo Mezzanotte.
Di prestigio fu la commessa del Teatro alla Scala per la messa in scena, nel 1926, dell’opera Kovancina di Modest Petrovič Musorgskij e rilevante fu il suo contributo per l’arredo, nel 1927, dell’opera Diana e La Tuda di Pirandello. Sempre nel 1927, collaborò con Gio Ponti, Emilio Lancia e Giulio Rosso per la “Domus Nova”, un progetto di arredi di serie, indirizzati alla media borghesia, ideato per il gruppo “La Rinascente”.
Dal 1925, a questa attività, Menni affiancò l’insegnamento del disegno e dell’arte decorativa alla Libera Accademia di Cultura e Arte di Vincenzo Cento, un istituto privato per giovinette. Nonostante i buoni risultati di pubblico e i riconoscimenti ufficiali, “Le stoffe della Rosa” furono sempre una fonte di incertezza economica. La “Grande depressione” probabilmente non fu estranea alla decisione dell’artista di chiudere l’attività. Ciò non significò l’allontanamento dal mondo dell’arte di cui continuò a occuparsi, nella veste di giornalista, per conto di varie testate, comprese quelle ideate dal marito.
Nel 1933, insieme alla giornalista Rina Simonetta, propose a Ottavia Mellone Vitagliano, moglie dell’editore Nino Vitagliano, la pubblicazione di un periodico femminile che venne intitolato “Eva”. Per il settimanale, l’artista (che utilizzò spesso lo pseudonimo Chiara) si occupò essenzialmente di arte decorativa, architettura e arredamento, curando anche parte della corrispondenza con le lettrici. “Eva” fu, per i temi trattati, un foglio innovativo e spregiudicato rispetto al panorama editoriale dell’epoca. Rosa abbandonò la redazione della testata nel 1937, ma continuò come collaboratrice esterna fino al 1948 redigendo due rubriche fisse: La casa delle lettrici di “Eva” e I lavori delle lettrici di “Eva”. Nel contempo, scrisse anche per altre testate come “Fili” della Domus, “Dea” e “La Rivista di Monza”.
Con l’affermarsi del regime per i Giolli, difensori dei valori antifascisti, iniziarono tempi difficili. Raffaello, che insegnava storia dell’arte nei licei milanesi, fu allontanato dalla scuola pubblica. Nel 1940, con il primogenito Paolo, venne mandato al confino a Istonio Marina (Vasto), in Abruzzo. Nello stesso lasso di tempo Menni, insieme agli altri due figli, Ferdinando e Federico si trasferì a Vacciago, una frazione sul lago d’Orta, nella casa di campagna ereditata dal padre. Lì si dedicò alla cura della proprietà e allestì un laboratorio tessile. Dopo il confino la famiglia si ricostituì a Milano.
La coppia venne però arrestata il 14 settembre 1944 in quanto oppositrice del regime. Raffaello fu torturato e picchiato spietatamente. Insieme furono condotti prima al comando delle SS, presso l’Hotel Regina, e poi assegnati al carcere di San Vittore. Al termine, Rosa venne rilasciata, mentre il marito fu destinato a Gusen II, un sottocampo di sterminio di Mauthausen, dove morì tra il 5 e il 6 gennaio 1945.
Il 16 ottobre 1944, il secondogenito, Ferdinando, che si era unito alla Resistenza, veniva fucilato a Cogne dai repubblichini della X Mas. Paolo, invece, dopo il confino e dopo essere stato imprigionato, fu inviato a combattere in Grecia e subì la prigionia in diversi campi di concentramento. Venne liberato nell’ottobre 1945. Federico, il più giovane, trovò rifugio in un collegio.
I mesi che seguirono la Liberazione per Menni furono molto intensi: fu assorbita completamente dall’azione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e diresse, per un certo periodo, l’edizione lombarda di “Noi donne”.
Alla fine del 1946, si recò a San Paolo, in Brasile, dove abitava da tempo la sorella Lina. Lì ebbe l’opportunità di frequentare la comunità di emigrati italiani. Rientrata in Italia, nel gennaio del 1949, si impegnò nel riordino degli scritti di Raffaello, manomessi, e in parte dispersi, durante la perquisizione che precedette il loro arresto. Si prese in particolare cura degli scritti che furono pubblicati con il titolo La disfatta dell’Ottocento, il saggio di maggior valore del marito. Il testo uscì nel 1961, con l’editore Einaudi e la prefazione di Claudio Pavone.
Nel dopoguerra proseguì l’attività di traduttrice a cui, in passato, si era dedicata con il marito, occupandosi di alcuni testi classici, soprattutto di quelli riguardanti la storia della sinistra. Nel 1948 fu pubblicata, per le edizioni Poligono, la biografia di Isadora Duncan con il titolo La mia vita.
Nel 1961, Menni curò per la Televisione Italiana una puntata della serie Enigmi e Tragedie della Storia dedicata a Pia de’ Tolomei. Nel 1964, allo scopo di ricordare la scomparsa del marito e del figlio, riuscì ad avviare la prima edizione del Premio Raffaello e Ferdinando Giolli, manifestazione che intendeva promuovere la critica d’arte e i giovani poeti.
Rosa Menni morì a Melzo il 13 novembre 1975.
Patrizia Caccia, Mirella Mingardo Rosa Menni Giolli (1889-1975). Le arti e l'impegno, enciclopediadelledonne.it, 2020
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023