Brutto nome quello di bizzoca (pinzochera o beghina), spesso da noi attribuito, sin nella novellistica, alla “familiare”, comunque sinonimo di pseudo devota, faccendiera, sempre in combutta col prete pasticcione e i suoi giochi di potere: da evitare come la peste.
In un lontano passato la beghina ebbe ben altra fama: pia, casta, modesta, consolatrice nel dolore, infermiera a domicilio senza stipendio né contributi, ricercata da clero e laici. Vivendo in perfetta libertà, senza vincoli particolari, sola o in minuscole comunità di preghiera e mutua assistenza.

Ne sappiamo qualcosa per il mondo germanico, da noi resta un ‘enigma storico’ cui urge dare attenzione. Siamo appena agli inizi con questa storia, bimillenaria come quella delle religiose: realtà tutt'altro che insignificante, ancorché difficile da decrittare, interpretare. Qualche traccia ne resta. Basta volerla scovare.
Anche perché la beghina implica una scelta spirituale di ‘grande attualità’.
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Così si esprimeva Romana Guarnieri in un articolo su “L’Unità” nel 1997, indicando, col suo modo intenso e diretto, la sostanza di una ricerca durata una vita.

Era nata a L’Aia il 2 novembre 1913, da Iete van Beuge e da Romano Guarnieri, insegnante di Lingua e Cultura Italiana nelle università di Amsterdam e Utrecht. Il matrimonio tra la bella figlia del direttore del Conservatorio di Nimega e il giovane italiano, appassionato studioso e frequentatore degli intellettuali legati alle riviste fiorentine del primo Novecento, durò pochi anni, soltanto fino alla fine della prima guerra mondiale. I due figli furono separati al momento del loro divorzio: Romana venne in Italia nel 1925 con la madre e il suo nuovo compagno, l’architetto Gaetano Minnucci, mentre Leonardo rimase col padre in Olanda, prevalentemente in casa dei nonni materni.

A Roma la giovane Guarnieri frequentò il liceo classico e, una volta conseguita la maturità, si iscrisse alla facoltà di matematica dell’Università La Sapienza, ma ben presto passò a quella di Lettere, nell’indirizzo di germanistica, data la sua conoscenza, come lingua madre, del nederlandese.

Al 1938 risale l’incontro con don Giuseppe De Luca (1898-1962): alla ricerca di una guida per dipanare dubbi e problemi da cui si sentiva travolta, si trovò a tu per tu con una delle intelligenze più fini del Novecento che, senza forzature e con parole semplici ed efficaci, la portò sulla strada della conversione al cattolicesimo, a conoscere Gesù non come legge ma come Grazia, non come dovere ma come amore, e poi su quella della riflessione e dello studio.
La loro ‘singolare amicizia’ durò fino alla morte del sacerdote nel 1962 e fu un intenso sodalizio che Romana racconta in un libro pubblicato nel 1998: “episodi salienti dei miei ventiquattro anni con don Giuseppe De luca. Nessun progetto iniziale, nessun ordine purchessia ha presieduto alla loro stesura, proceduta un po’ come la stessa mia vita à la bonne de Dieu (che a guardarci bene non è un brutto vivere)”.2

La giovane studiosa, che si sposta rapidamente a cavallo della sua motocicletta, intraprende il cammino di studi avventurosi e inediti che don De Luca le prospetta rifiutando, nonostante le rimostranze della famiglia, la cattedra istituita per lei (prima in Italia) di Lingua Nederlandese all’università ‘La Sapienza’. Su richiesta di don De Luca, studia la figura del sacerdote e poeta fiammingo Guido Gezelle e pubblica per Morcelliana, nel 1941, il suo primo libro, Guido Gezelle. Vita del poeta e saggio delle sue poesie. A seguire traduce, sempre per Morcelliana, Cinque Poesie, Cinque Visioni e Cinque Lettere di Hadewijch d’Anversa, beghina vissuta tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo.

La ricerca è narrata nell’intenso carteggio che i due scambiano per anni, gli anni di un percorso spirituale e intellettuale profondo e non privo di tormento, come lascia trapelare Romana in una lettera:

Non mi so rassegnare a questa vita fra nebbie, senza un orizzonte. D’altronde ho paura della mia debolezza, che mi lascia in balìa di passioni che possono finire con lo sfuggire ad ogni controllo... La via diritta. Non è facile trovarla, specie quando si odiano tanto i compromessi. O con noi, o contro di noi. E oltre a tutto s’aspira ad un sereno equilibrio.3

Parte da questa intesa anche l’incontro con la letteratura dei mistici del Medioevo. Proprio a Romana si deve la prima conoscenza di mistiche, non solo d’oltralpe, come Chiara da Montefalco, Angela da Foligno, Hadewijch d’Anversa, Margherita Porete e molte altre, studiate con l’attenzione volta soprattutto alla Caritas (Minne) e alla sua presenza nella loro vita religiosa.

Le fonti manoscritte sono lo strumento diretto e privilegiato di ricerca e, in piena guerra, nel 1944, all’interno della Biblioteca Vaticana Romana scopre un “singolare trattatello mistico” che aveva avuto l’attenzione di diversi studiosi, pubblicato e attribuito a Margherita d’Ungheria. Era noto a Simone Weil che ne parla negli Scritti di Londra e ne ricava l’idea che “è necessario essere nell’eterno per vivere nel tempo”. Da una traduzione latina dell’Ottocento era stata tratta l’edizione in italiano, e un’edizione inglese del 1927 era apparsa in una serie dedicata a opere di devozione, ma, dice Romana, «spesso siffatti testi si pubblicano più in grazia della loro leggiadria che non per un riguardo a ciò che furono, cioè ‘libri di vita e di battaglia'».4

Libro di vita e di battaglia il Liber speculatissimus, nuncupatus speculum simplicium animarum a cui Romana si dedica, comprendendo subito che si tratta di un’opera, non solo qua e là contaminata d’eresia, ma addirittura di una “specie di vangelo del verbo quietista, diffuso con virulenza grave per l’Europa sul finire del secolo XIII e i primi decenni del secolo seguente”.5

È curioso il modo con cui Romana viene in contatto con il libro. In una imprecisata mattina di settembre o ottobre del 1944, insieme a don De Luca, nella sala manoscritti della Biblioteca Vaticana, si vede porgere dal maestro un “modesto codicetto”, dal titolo Speculum animarum simplicium in voluntate et in desiderio commorantium. «Vedi un po’. Sembra roba tua»:

Mi trovai fra mano un minuscolo pergamenaceo della fine del Trecento o dei primi del Quattrocento: mutilo nei primi fogli, qua e là stinti dall’acqua, e tuttavia di buona pergamena e fattura; non privo di una certa eleganza, con gli ampi margini, i titoli dei capitoli in rosso e i capilettera alternatamente in rosso e in blu. Tutto questo, insieme alla gotica scrittura del tardo Trecento, grande, regolare, con pochissime abbreviazioni, tale da poter essere decifrata con facilità anche in condizioni poco favorevoli alla lettura, mi fece pensare a un codicetto ‘da bisaccia’, di quelli che mercanti, monaci vaganti o religiosi in missione apostolica erano soliti portarsi appresso, dato il modesto ingombro e il peso lieve. 6

Il testo, anonimo ma fedele per certi aspetti alla tradizione cortese e alla retorica medievale e il suo favore per l’allegoria, oltre che in stretta connessione con la tradizione di pensiero ortodosso ed eterodosso in cui si inserisce, racconta il dialogo tra Amore come amore per Dio, Anima che è Margherita stessa in conflitto con Ragione “disorientata nella sua tranquilla sicurezza, anzi sgomenta per gli strabilianti assurdi consigli, dati da Amore all’Anima, contrari a tutto quanto la Chiesa insegna in ordine alla salvezza”.7 La disputa, vivace e ardita, include anche altri personaggi, come Fede, Timore, Speranza, Volontà, Cortesia…

Cercando di vagliare le ipotesi sulla paternità o maternità del volume, Romana Guarnieri si accorge, da molti indizi, che, se non è uno scritto di donna, è di certo scritto per donne, e si colloca dunque in quell’area dei beghinaggi dell’ultima parte del tredicesimo secolo, in cui vissero poete e sante, “eguali le dottrine, eguale il paese, eguale il tono secco e fanatico”. Sente, alla lettura, una profonda sintonia con i testi ai quali si era abituata e comprende che si stratta dell’opera di una donna colta, raffinata scrittrice, dotata di competenze teologiche profonde. <br>Riconosce fin dai primi capitoli il tono quietista e

per la via misteriosa e incontrollabile delle associazioni o intuizioni che dir si voglia, mi sovvenne il racconto fatto dal biografo di Ruysbroeck Enrico Pomerio della dura lotta sostenuta intorno al 1330-35 dal suo biografato, ancora giovane prete a Bruxelles, contro la setta dei seguaci di una misteriosa quanto infernale beghina, tale Heilwig Bloemardinne, donna colta e aristocratica, morta a Bruxelles nella prima metà del Trecento e vissuta in fama di grandissima santità presso i suoi molti e potenti ammiratori e fanatici discepoli… In numerose operette purtroppo perdute… la beghina in questione avrebbe trattato dello ‘spirito di libertà’… Ricordare questo e sentirmi folgorata dal pensiero che il volumetto che avevo tra mano potesse contenere l’uno o l’altro di questi testi smarriti fu tutt’uno. […] Da quel momento fu tutta un’ansiosa ricerca. Invano. […]
Senonché consultai il ‘Corpus documentorum inquisitionis haereticae pravitatis neerlandicae’ e qui scopersi l’esistenza di un processo a un’altra beghina, questa di lingua francese, originaria dello Hainaut, morta sul rogo a Parigi, quale eretica ‘relapsa’, una buona ventina d’anni prima della Bloemardinne brabantina, per non aver voluto sconfessare un suo libro, ripetutamente condannato dalle autorità competenti. Ahimè, anche di questo testo del quale non si dava il titolo, sembrava perduta ogni traccia.
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Tra le carte del processo, Romana, scopre una serie di frammenti tratti dal suo manoscritto e le diventa facile collegare a esso il nome della beghina, ‘pseudomulier’, colta, forse di alto lignaggio, Margherita Porete, o Porette, o Poirette, che già era stata condannata una prima volta tra il 1296 e il 1306, a Valencienne, sua città natale, per un suo libro giudicato eretico. Nonostante i rischi aveva continuato a diffonderlo tra i suoi seguaci fino ad essere raggiunta dall’inquisizione parigina, retta dal domenicano Humbert de Paris, noto per la sua ferocia nel processo contro i Templari qualche anno prima. Per due anni Margherita rifiuta di abiurare e viene condannata al rogo, sul quale muore il 1 giugno 1310 in Place de Grève, a Parigi.

Si chiude così il cerchio di una ricerca tenace e appassionata, di cui Romana annuncia la scoperta su “L’Osservatore Romano” del 16 giugno 1946. Per i vent’anni a seguire, ricerca nelle biblioteche di tutta Europa e identifica la versione in medio-francese del Miroir des simples âmes, che pubblicherà nel 1964 in appendice al numero IV dell’“Archivio italiano per la Storia della Pietà”, fondato insieme a Giuseppe De Luca e diretto poi, alla morte del sacerdote, dal 1962.
Anche le Edizioni di Storia e Letteratura furono un’idea comune, nate per dare spazio a libri altamente specialistici in ambito storico, letterario e filologico.

D’altra parte proprio De Luca, in una lettera a Prezzolini (8 ottobre 1937), aveva detto: “Da anni, come posso e nell’ombra, studio e guido gli studi cattolici in Italia verso un risorgimento, se sarà possibile”, celando appena la sua insofferenza per le condizioni della vita intellettuale italiana. I volumi pubblicati già nei primi anni, in piena guerra, sono una sfida alla atroce e drammatica situazione dei tempi; la tendenza ad allargare la collaborazione a studiosi stranieri in lingua originale era il segno di una volontà di sprovincializzazione della cultura italiana: nel suo ufficio, in Palazzo Lancellotti, univa la vastità del suo sapere e dei suoi interessi alla forza della sua umanità. “Prete, e prete qui a Roma, ho voluto, e mi è riuscito, con le mie Edizioni, di raccogliere – in un silenzio rigoroso, fuori da ogni strombazzatura – le più grandi menti a un convito della dottrina più alta e rara, ma più silenziosa: non tutti invocano Gesù, ma tutti, qui, lo sentono presente9

Romana Guarnieri collabora attivamente ai progetti di don De Luca, convinta che ogni strada da lui indicata porti l’attenzione ai temi più importanti del tempo presente. Le mistiche, con “la loro esistenza tribolata, tra sospetti, calunnie, inquisizioni e roghi”10 diventano il suo obiettivo di ricerca, consapevole dell’originalità e modernità di un cammino a cui si intrecciano gli studi di Luisa Muraro, Gabriella Zarri, Lucetta Scaraffia, Emma Fattorini, Adriana Valerio, Rosetta Stella, Cettina Militello e altre, impegnate nella rifondazione della parola delle ‘madri’.
E per il contributo delle donne alla storia della filosofia e della cultura medievali non dobbiamo dimenticare il grande lavoro svolto da Mariateresa Fumagalli alla conoscenza del pensiero di Ildegarda ed Eloisa e di Mariri Martinengo sulle poete e trovatore.

Nel salotto di via delle Fornaci, sul Gianicolo, queste si affiancano agli intellettuali di eterogenea provenienza che Romana era solita incontrare; insieme, sotto la sua guida amabile e severa, danno vita alla rivista di politica e spiritualità “Bailamme”, nutrita delle differenze e delle passioni di straordinari studiosi, pensata e scritta con la consapevolezza della difficoltà di ragionare intorno alla democrazia, di coniugare Dio e mondo.

Da qui Romana Guarnieri comincia a definirsi ‘beghina’, una beghina della contemporaneità che, come quelle medievali, viveva nel mondo, fedele al suo compito di studiosa e al suo ruolo di educatrice e direttrice spirituale, sul confine tra erudizione e pietas. Con gli occhi sempre pronti ad osservare il presente, morì il 23 dicembre 2004.

Note


1 R. Guarnieri, Con occhi di beghina, Marietti 1820, Genova 2003, p. 27.
2 R. Guarnieri, Una singolare amicizia. Ricordando don Giuseppe De Luca, Marietti 1820, Genova 1998, p. 7.
3 Carteggio Guarnieri-De Luca, presso l’Istituto Veritatis Splendor, in Fondazione Lercaro, Bologna.
4 R. Guarnieri, Donne e Chiesa tra mistica e istituzioni, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2004, p. 241.
5 Ibidem, p. 242.
6 R. Guarnieri, Una singolare amicizia, cit., p. 181.
7 R. Guarnieri, Prefazione storica, in Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, ed. San Paolo, Milano 1994, p. 36.
8 Ibidem, pp. 186-187.
9 Lettera all’amico Capovilla del 13.11.1960, in Giovanni XXIII in alcuni scritti di Don Giuseppe De Luca, a cura di L. Capovilla, Morcelliana, Brescia 1963, p. 110.
10 R. Guarnieri, Amiche mie beghine, in Ruah. Il femminile di Dio, Stampa alternativa, Roma 1997, p. 39.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Romana Guarnieri

R. Guarnieri, Una singolare amicizia, Marietti 1820, Genova, 1998.

R. Guarnieri, Amiche mie beghine, in Ruah. Il femminile di Dio, Stampa alternativa, Roma, 1997.

R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca. Tra cronaca e storia. Edizioni Paoline, Milano, 1991.

R. Guarnieri, Con occhi di beghina, Marietti 1820, Genova, 2003.

R. Guarnieri, Donne e Chiesa. Tra mistica e istituzioni, Ed. di Storia e Letteratura, Roma, 2004.

M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, Ed. San Paolo, Milano, 1994.

M. Bugada, R. Molinari, N. Roveri (a cura di), E i libri e le anime, Ed. di St. e Lett., Roma, 2023.

L. Capovilla (a cura di), Giovanni XXIII in alcuni scritti di Don Giuseppe De Luca, Morcelliana, Roma, 1963.

G. De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, Edizioni di St. e Lett., Roma, 1962.


Voce pubblicata nel: 2025