Paola Gonzaga è la figlia ultimogenita di Ludovico III (1412-1478) e di Barbara di Hohenzollern (1422-1481). Il padre è marchese di Mantova dal 1444 e lo sarà fino alla morte che lo coglierà a 66 anni quando non sfuggirà all’epidemia di peste del 1478. Detto il Turco perché favorevole alla crociata contro gli Ottomani proposta da Pio II nel concilio del 1459 tenutosi appunto a Mantova, nel 1460 nomina artista di corte Andrea Mantegna e chiama Leon Battista Alberti ad abbellire la città e Luca Fancelli a progettare l’Ospedale Grande di San Leonardo. Sotto la sua signoria Mantova diviene una delle capitali del Rinascimento italiano.
Ludovico e Barbara si sposano nel 1437 e hanno 11 figli: 5 maschi e 6 femmine. “Sposi giovanissimi, avevano visto che al loro figlio primogenito, Federico, nato nel 1441, nel crescere s’incurvava la schiena ripetendo la maligna eredità della gobba gonzaghesca, portata in casa da Paola Malatesta […] se non tutti alcuni, i corpicini dei bimbi Gonzaga, che nascevano schietti, col progredire del tempo erano raggiunti dal soffio stregato che li appassiva, deformandoli” 1: un disastro.
La pesarese Paola Malatesta (1393-1449), nonna paterna di Paola, aveva portato in dote non solo ricchezza e intelligenza, ma anche l’inoccultabile tara della “gobba” che diviene l’evidente marchio ereditario di casa Gonzaga e che sarà trasmessa per cinque generazioni fino a Guglielmo Gonzaga (1538-1587). Che si trattasse di cifoscoliosi idiopatica giovanile (malattia forse genetica-ereditaria) o di altra patologia non è certo. Sicuramente ad essere ereditato fu un genotipo che si estrinsecò di volta in volta in difetti scheletrici più o meno evidenti, una forma patologica combinata da rachitismo e cifo-scoliosi, una artrosi deformante, una “spada di Damocle” o “soffio stregato” che segnò la sorte dei figli Gonzaga e che rappresentò una pagina dolorosa nella vita di alcune figlie di Ludovico e Barbara. Se Paola Bianca (1445-1447) muore all’età di 2 anni, alle gobbe Susanna (1447-1481) e Cecilia (1451-1478) viene imposta la vita conventuale (la prima sarà accorta amministratrice dell’Ospedale Grande). Se Dorotea (1449-1467) muore a 18 anni di malaria, Paola detta Paolina si sposa nonostante la evidente deformità. Barbara (1455-1505) detta Barbarina, l’unica indenne da difetti scheletrici si sposa, come la sorella, con un matrimonio combinato con l’aristocrazia germanica.
Paola più che gobba è rachitica e un po’ deforme. Intelligente, vivace e spiritosa, vive a Mantova un’infanzia serena e viene educata alle arti e alla letteratura. A nove anni è raffigurata nella Camera degli Sposi dipinta da Mantegna: è la bambina dal viso triste e allungato, con l’ampia fronte convessa, che al centro della scena porge la mela alla madre. Piccola e bruttina, veste un mantello blu buttato sulle spalle [Figura 1].
Nel maggio 1475 si reca con la sorella Cecilia alle terme di Abano. I genitori provano, se non a sanare la malformazione, almeno a lenire con il fango i dolori artritici delle ragazze. La cura termale è un gioco. Paola, spensierata e affettuosa, ama cantare e “balar a la padoana”, ridere e scherzare; anche se forse è proprio qui che compaiono anche i segni di un “mal di cuore” che la tormenterà per la vita. L’anno dopo, l’11 luglio 1476, viene stilata a Mantova la sua promissio dotis. Il conte Leonhard von Görz (1440-1500), uomo “piaxevolo et zoioso” giunge a Mantova il 24 marzo 1477 e descrive la promessa sposa come “alquanto goba”, mentre il cancelliere patriarcale Paolo Santonino (1440-1508) lascia scritto che è resa un po’ deforme da una spalla più alta dell’altra 2.
Di fatto, però, il conte di Gorizia e del Tirolo, Statthalter (governatore) di Lienz (e, quindi, anche Signore della Pusteria), erede di un vasto territorio che va dal Tirolo orientale fino all’Adriatico, più che piacevole e gioioso, è uomo rozzo e violento. Arriva a Mantova in cerca dell’alleanza con i Gonzaga tanto per contrastare l’espansione territoriale di Venezia, quanto per garantirsi un erede maschio così da evitare l’estinzione del casato. Quel matrimonio è per lui vitale e poco importa della avvenenza della sposa. E a Mantova si sta bene. Leonhard ci resta un mese. Riparte per Gorizia solo quando ha notizia di una scorreria turchesca.
Due anni dopo, accompagnata dal fratello Ludovico (1460-1511), futuro vescovo di Mantova allora diciassettenne, Paola si mette in viaggio per la sua nuova vita. Dopo essere stati accolti il 14 novembre 1478 a Egna dal vescovo di Trento in persona, i fratelli arrivano a Bolzano. Paola, che indossa ancora il lutto per la recente morte del padre, fa giusto in tempo a cambiarsi d’abito che si sposa. Il malessere “di cuore” ripresentatosi il giorno dopo le nozze (16 novembre) fa sì che Ludovico, molto preoccupato, accompagni la sorella da Bolzano sino alla sua nuova dimora che altro non è che l’arroccato e austero castello medioevale di Bruck a Lienz, l’altra capitale della vasta contea goriziana. Quale abissale differenza con la meravigliosa reggia di Mantova!
Paola reca con sé una notevole biblioteca (ove sono presenti Virgilio e Petrarca), ricche vesti, gioielli preziosi, tutti contenuti in quattro splendidi cassoni nuziali di legno la cui decorazione colorata e a bassorilievo è stata fatta su disegno del Mantegna (due di essi ora sono al Landesmuseum Kärnten a Klagenfurt). Inutile dire che sarà un matrimonio molto infelice. Anche se Paola vive in un suo appartamento, si circonda di persone di servizio giunte con lei da Mantova, consulta quotidianamente la sua ricca biblioteca, è abissale il divario tra la grezza personalità del conte, avvezzo fin da ragazzo a fatti d’arme e legato a una mentalità convenzionalmente medievale, e la raffinata cultura umanistica della moglie: “in contrapposto alla menomazione fisica, sta la raffinatezza morale, intellettuale e spirituale, doti di cui furono ornati quasi tutti i componenti di casa Gonzaga” 3. Le poche notizie che arrivano a Barbara di Hohenzollern raccontano una brutta storia fatta di privazioni, angherie e crudeltà: "quelle nozze che le saranno rivelazione di brutalità così violente da farla ammalare, piangere e svenire tra le braccia del fratello come la più ferita delle eroine romantiche […] come creatura debole, ella finirà per difendersi rifiutandosi alle conciliazioni, alle speranze: morirà giovane, intimamente ribelle, sospirando il cielo elegiaco di Mantova” 4.
Dopo un anno dalle nozze nasce una bimba che muore presto. Qualche anno dopo i genitori si fanno raffigurare in preghiera sotto il mantello della Madonna della Misericordia. Il bellissimo e veritiero ritratto è inserito nel ciclo di affreschi che Simon von Taisten (Simone da Tesido: ca. 1460-ca. 1530) dipinge tra il 1490 e il 1496 nella cappella del castello di Bruck. Paola e Leonhard sono di rosso vestiti, inginocchiati in preghiera. Ma se lui giunge le mani in modo speculare e armonioso, così non è per lei che, per aver “l’omero destro più alto del sinistro”, è costretta a sollevare un po’ il gomito per riuscire a ben congiungere le mani [Figura 3]. Siamo certi che Paola non si dispiacque di tale nota realistica. È cosa nota che la committenza della colta e intelligente contessa, che certamente seguì il progetto per il ciclo di affreschi, fruttò a Simone di Tesido la comprensione dell’arte italiana, specialmente attraverso Mantegna.
Altri figli non ce ne saranno. In diverse occasioni i Gonzaga invieranno i loro medici di fiducia per sincerarsi della buona salute di Paola e per curare quella giovane donna così soggetta a collassi e svenimenti. Nel gennaio 1480 è addirittura Barbara di Hohenzollern in persona che raggiunge la figlia a Trento. La riconduce a Mantova per qualche mese. Il matrimonio è in crisi. Paola “non curavasi leij de tornare con el marito”; ma, poi, torna.
La strada che attraversa la Pusteria e la riporta al castello è per lei ormai tristemente nota. A metà strada tra Bolzano e Lienz, nel mezzo di un terreno piano e un po’ paludoso, in un grande prato che a noi oggi pare una meraviglia, Paola, Signora della Pusteria, decide di far erigere una chiesetta fuori Niederdorf (Villabassa) 5 Siamo nel 1490 e Paola ha 27 anni. La chiesa è dedicata a Maria Maddalena.
A quel tempo, e per molto tempo ancora, la Chiesa era solita accomunare nell’unica figura della Maddalena tre distinte donne di cui parla il Vangelo: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta (Giovanni 11: 1-2), la peccatrice senza nome "cui molto è stato perdonato perché molto ha amato" (Luca 7: 36-50) e Maria di Magdala (Luca 8, 2-3). All’esterno della chiesa, sul muro dell’abside rivolta a Oriente (verso Lienz), è dipinta una piccola e giovanissima Maddalena, abito azzurro e mantello rosso, capelli lunghi e biondi, che abbraccia la croce ove Cristo è crocefisso [Figura 4]. È certamente Maria di Magdala, presente in tutti e quattro i vangeli come testimone della crocifissione.
All’interno, sullo stesso muro, è un affresco dai colori ancora molto vivaci [Figura 5]. Diviso a metà, nella parte superiore presenta una Annunciazione; in quella inferiore non è chiaro se rappresenti l’episodio dell’unzione dei piedi a casa di Lazzaro (Giovanni 12, 1-11) o l’analogo episodio a casa di Simone il fariseo (Luca 7, 36-40). Nel primo caso ad essere rappresentata sarebbe la festa per "il ritorno alla vita", nel secondo caso "il perdono"; entrambe comunque celebrate al desco. Nell’episodio del Vangelo di Giovanni si riconoscerebbero oltre a Marta che serve a tavola, a Maria di Betania ai piedi di Gesù, a Gesù stesso, anche Lazzaro e Giuda Iscariota; nell’episodio del Vangelo di Luca, due donne (una che serve e una, la peccatrice senza nome, che unge i piedi di Cristo) e Gesù stesso a tavola con Simone il fariseo. Quest’ultimo episodio tra l’altro era stato affrescato nel 1432 da Lucas Moser (1421-1492) nell’altare della non lontanissima chiesa di Santa Maria Maddalena a Tiefenbronn. Se non è chiaro a quale dei due episodi questo affresco della piccola chiesa si riferisca, è invece evidente che qui c’è qualcosa di straordinario. Oltre alle due donne e a Gesù (seduto accanto a un commensale riccamente vestito e ad altri due uomini), è ritratta in piedi, proprio accanto all’uomo dalle sontuose vesti ornate di pelliccia, un’altra donna, che, per quanto dipinta in modo semplice e decisamente naïve, porta la tipica acconciatura degli Hohenzollern ed è, quindi, volutamente riconoscibilissima. Discosto poi, in piedi, è anche un giovanetto.
Che cosa dunque si è voluto qui rappresentare e dire a chi si ferma a pregare? Forse che Mantova (nella persona dei marchesi Federico e Barbara raffigurati come “committenti”) ricorda il patto concluso nell’ormai lontano 1477 con il conte Leonhard von Görz e che per sempre offrirà "il perdono" nonostante i tanti soprusi? Oppure è Paola stessa che vuole celebrare "il ritorno alla vita" ricordando la madre da poco morta e al contempo santificando un momento famigliare unico e di grande felicità? Forse entrambe le cose. Ad ogni modo, se il significato resta in attesa di comprensione, quel che ci pare certo è che l’affresco di Sankta Magdalena in Moos di Villabassa, di gotico impianto ma di rinascimentale potenza espressiva, stia dialogando con la camera picta di Mantova.
Nel maggio 1495 Paola cerca ancora di curarsi. Non si arrende. Torna ad Abano e poi ancora a Lienz. Dopo poco però muore, nel 1497. Dapprima tumulata nel Duomo di Gorizia dal consorte (che fece anche coniare una medaglia alla memoria), delle sue spoglie si perse poi la traccia nei secoli successivi. Leonardo muore di lì a poco e titolo e territori, come paventato, passano all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo.
Di Paola Gonzaga, ragazza intimamente ribelle, ci resta quindi poco, ma quel poco è – possiamo dire – emozionante.
R. Favaro, Il fango sulla gobba, radiobase 16.1.2012
G. Gerola, voce Simone da Tesido della Enciclopedia Italiana, Treccani 1936
D. Kuzmin, La “goba” Paola Gonzaga ultima contessa di Gorizia, Il Piccolo, 22 gennaio 2017
I. Lazzarini, voce Paola Gonzaga del Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 57, 2001
A. Pazzini, La medicina alla corte dei Gonzaga a Mantova, in «Mantova e i Gonzaga nella civiltà del Rinascimento», Atti del convegno organizzato dall’Accademia nazionale dei Lincei e dall’Accademia Virgiliana (Mantova, 6-8 ottobre 1974), Edigraf, Segrate 1978, pp. 291-351.
R. Sarzi, Le nozze di Paola Gonzaga con il conte Leonardo di Gorizia, in «La Reggia» 2011, 1 (5): 5, in http://lnx.societapalazzoducalemantova.it/2010/it/2011.html
S. Tavano, voce Leonardo (1444-1500), conte di Gorizia, in Dizionario biografico dei Friulani
M. Vickers, The Medal of Paola Gonzaga: a Re-assessment, in The Numismatic Chronicle, 1978, 7 (18): 142-6
Referenze iconografiche:
Prima immagine: La corte dei Gonzaga, di Andrea Mantegna, affresco nella Camera degli Sposi all'interno del Palazzo Reale di Mantova. Immagine in pubblico dominio.
Seconda immagine:
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023