Una delle donne più silenziose che abbia mai incontrato, io che amo le parole, ci lavoro e ad esse affido grande parte della potenzialità di cambiamento della vita, delle relazioni e della politica.
Nanda Lanfranco, forse proprio per questa idiosincrasia per le parole, e di conseguenza per il dialogo, la discussione, il confronto, la comunicazione verbale ha capito in età avanzata, dopo aver pagato come molte donne della sua generazione il pegno del ruolo dovuto di moglie e di madre, che sarebbe stata l’immagine fotografica a sciogliere, almeno in parte, il suo bisogno di esprimersi.
Nata a Genova da una famiglia molto povera (il padre era contadino e successivamente entrò al Comune di Genova come usciere, la madre casalinga, un matrimonio combinato come era usanza, che per fortuna funzionò) Ferdinanda Riccarda Mercedes (di cognome Garaventa prima di prendere il cognome del marito Sergio), i suoi due nomi dopo il primo ereditati della nonna materna, donna elegante e colta che Nanda ha molto ammirato e dalla quale ha ereditato stile e portamento, trascorre l’infanzia sulle alture del genovesato con la famiglia sfollata da Genova per via della guerra.
Calcinara di Uscio, sopra Recco, nella Valfontanabuona, porta del levante genovese che subì il pesantissimo bombardamento da parte dei Tedeschi che la rasero al suolo nel 1943, è stata per tutta la vita di Nanda Lanfranco un luogo amato e odiato allo stesso tempo.
La piccola casetta contadina fatta di pietre, dove solo alla fine della guerra si potè affiancare un pollaio e qualche conigliera, nella quale abitò nella prima infanzia con le sorelle del padre, la madre e a tratti altri parenti anche loro in fuga dalla città ostaggio della guerra sarà per tutta la vita il luogo dal quale allontanarsi per emanciparsi ma anche quello che più di altri ispirerà le sue immagini, e quindi al quale tornare.
Divisa tra il lavoro di documentazione delle opere degli artisti e delle artiste, in Italia e all’estero, e quello della sua ricerca espressiva personale Lanfranco ha costruito lentamente e con precisione il suo archivio virtuale e materiale di immagini, in versione analogica e digitale, che oggi rappresenta una delle fonti più ingenti e documentate del mondo dell’arte contemporanea in un arco temporale che va dagli anni ’70 fino alla prima decade del nuovo millennio.
Non ci sono artisti contemporanei della sua generazione che Lanfranco non abbia documentato, e il suo archivio, che verrà ora curato e custodito dai nipoti Anteo e Cielo Lenzi Lanfranco costituirà una fonte preziosa per chi vorrà conoscere e attingere a questo lungo e fecondo momento storico dell’arte europea.
Lanfranco muove i primi passi nel mondo dell’arte frequentando a Genova alcuni corsi su arte e fotografia, verso la metà degli anni ’70, tenuti da un ancora sconosciuto Germano Celant, che diventerà uno dei più acclamati critici d’arte in Europa e nel mondo. Da lì nasce la curiosità per il processo fotografico e la sua alchimia: nel piccolo bagno di casa a Genova, nel quartiere della Foce, Nanda Lanfranco inizierà a sviluppare i suoi primi negativi, per poi cominciare a frequentare gli appuntamenti dell’arte in Italia.
Da quel momento, come ha osservato Anna Costantini nel suo ricordo su «Il giornale dell’arte» “da un punto di vista tecnico si precisa la sua preferenza per il formato quadrato e, in particolare, per la Hasselblad, con la sua caratteristica ripresa dell’immagine dall’alto, non frontale, che è un modo per la fotografa di guardare dentro sé stessi e creare così un doppio sguardo, il proprio e quello dell’obiettivo”. Quel corso segna l’inizio dell’amicizia e della collaborazione con Celant, che resterà un punto di riferimento per tutta la sua vita artistica e documentarista.
Nel 1975 fotografa le performance di Laurie Anderson a Genova e l’anno seguente, alla Biennale di Venezia, quelle di Marina Abramović e Ulay. Collabora per anni con la galleria genovese Samangallery, gestita dalla critica d’arte Ida Giannelli, dove conosce Michelangelo Pistoletto e ne documenterà il percorso.
Per oltre trent’anni sarà presente, anche per Il giornale dell’arte, alle varie mostre di Venezia e Kassel, ma accanto alle occasioni canoniche come queste in veste professionale Lanfranco tesserà rapporti personali con alcune artiste e artisti dei quale documenterà, oltre alle opere, anche la vita privata, costruendo una galleria di immagini personali ed intime con i compagni e le compagne di vita, talvolta la madre e il padre, o gli animali domestici e la natura, rigorosamente in bianco e nero. Allo stesso tempo, accanto alla documentazione del lavoro artistico altrui, Nanda Lanfranco inizia ad autorizzarsi, una volta consapevole della sua capacità di maneggiare la macchina, a fare foto per se stessa, creando un pantheon di opere personali e, se pur per un breve periodo, a esporre e produrre testi di sue immagini. Sarà sempre recalcitrante a fare mostre, nonostante i numerosi inviti di gallerie e lo sprone della famiglia, perché eccessivamente schiva e indisponibile all’inevitabile relazione e interazione con le persone che fare una mostra necessita.
Il percorso di rare mostre e alcune pubblicazioni inizia dunque nel 1985 con la collezione essi sono e, successivamente, dei corpi. Le immagini ritratte, dense di sensualità perturbante, sono incredibilmente quelle delle statue marmoree del Cimitero monumentale di Staglieno di Genova, dove portò anche Paolo Poli per alcuni ritratti dell’attore che amava molto.
Così scrive Bruno Corà nella prefazione al primo testo di immagini tratte dai ritratti delle statue: “La foto è una conseguenza della finezza dell’occhio che cristallinamente non tradisce l’oggettiva finezza del reale, anzi se ne compiace esaltandolo e segnalandolo. E l’attenzione con cui Nanda Lanfranco ‘dice’ quel che sente sugli oggetti per quel che sono senza alterarli è rara”.
Sempre nei primi anni Ottanta, con una serie di nature morte fotografiche con oggetti che emergono in maniera quasi impercettibile dal buio, inizia il processo di passaggio dal ritratto dei corpi marmorei alla natura in decomposizione, fino poi ad arrivare ai corpi veri. Tra il 1987 e il 1989 nasce un nuovo ciclo fotografico intitolato Tempo rubato (Allemandi Editore, Torino 1989), nel quale le immagini di corpi di donne e uomini emergono dal buio. Ancora Corà annota nel testo: "Se questa fotografia è il risultato di quanto sfugge al buio, se è il discreto esserci dei corpi che la luce annuncia e manifesta aderendo appena ai loro orli e sfumando via se ha questo carattere riservato che la Lanfranco esprime nel rapporto con le persone e cose, l’immagine fotografica e allora anzitutto privata meditazione intorno all’amore e alla morte”.
I corpi dei ritratti di questa collezione saranno quasi tutti di donne e uomini vecchi, gli anziani e le anziane di Calcinara e di nuovo, qualche anno dopo, saranno i boschi di questa campagna vicino alla prima casa dell’infanzia a costituire il palcoscenico materico di legno e foglie delle sue ultime immagini, alla ricerca del segno che il tempo lascia e modella sulla corteccia degli alberi. Nel 1991 tiene una mostra ad Aosta, curata da Alvar Gonzaléz-Palacios, basata sulla sua produzione ritrattistica dedicata agli artisti con i quali ha lavorato, intitolata Foto di gruppo.
A partire dal 1985 e fino alla metà degli anni Novanta realizza un ciclo di immagini dedicate ai Tarocchi, ricreando gli Arcani Maggiori e gli Arcani Minori sulla base di una personale ricerca simbolica e compositiva, quest’ultima legata al concetto di mise en abyme (Allemandi Editore, Torino 1995).
Così commenta Charles-Henry Favrod nella prefazione del catalogo di Mise en abime:
"Chi conosce Nanda Lanfranco sa bene quale profonda esigenza la anima, sa della sua risolutezza, della sua propria regola del gioco, del suo codice di vita. A fine partita divide con noi tutto ciò che ha provato: sontuoso nel nero, nel bianco, nel grigio, il miracolo della fotografia”.
Difficile. Mia mamma Ferdinanda, per il mondo Nanda, lo è stata sempre, ma il regalo di poterci essere e accompagnarla alla fine della sua vita me lo ha concesso, senza mettersi di traverso come di consueto. Mano nella mano ho raccolto l’ultimo respiro di colei che mi ha dato la vita, ed è stata custode dei miei primi respiri. Ora io divento la custode dei suoi finali, e il cerchio si chiude.
Articolo in sua memoria su «Il Giornale dell'arte» L'opera fotografica di Nanda Lanfranco commentata da Antonella Russo, su «Scintille Magazine»
Voce pubblicata nel: 2023
Ultimo aggiornamento: 2023