Arpista, concertista, insegnante e ricercatrice ha dedicato la sua lunga carriera alla riscoperta e alla divulgazione del repertorio del suo strumento, in particolare di quello italiano, con pubblicazioni, revisioni, cataloghi e ricerche storiche che hanno colmato un vuoto considerevole nella storia della musica. Numerosi autori hanno scritto per lei e per i suoi gruppi da camera; ha donato la sua raccolta di musiche - che comprende molti pezzi unici, manoscritti e stampe antiche - in parte alla Biblioteca del Conservatorio di Milano, e la parte più sostanziale, più recentemente. a quella del Conservatorio di Brescia, che sta procedendo alla catalogazione. Mirella Vita è la terza figlia di Eugenio Vita, titolare di una ditta di importazione di pellame, e Valeria Josz, pittrice. L'ambiente familiare è sereno, nonostante Mirella sia venuta a colmare il vuoto lasciato dalla morte del fratello maggiore Aldo, vittima nel 1917 dell'epidemia di spagnola, e che la madre non cesserà mai di piangere; l'equilibrata saggezza del padre, la vivacità intellettuale della madre, la loro dirittura morale e la libertà dalle convenzioni faranno di Mirella, fin da ragazzina, una persona retta, indipendente e autonoma nel giudizio. A tutto ciò si aggiunge una rete familiare molto vasta (Eugenio Vita era il primo di sette fratelli, Valeria l'ultima di quattro, e molto stretta era anche la relazione con i parenti di secondo grado), che comprendeva medici, avvocati, insegnanti e artisti: tra i cugini citiamo Claudio Treves e Carlo Levi, mentre la zia materna era Aurelia Josz, fondatrice della prima scuola agraria femminile italiana. Nel 1928 Mirella, che già aveva studiato per qualche anno pianoforte, è iscritta al Conservatorio di Torino nella classe di Arpa di Amedea Redditi Tapella, a sua volta allieva di Carolina Navone, l'arpista preferita da Toscanini. La scelta dello strumento è frutto delle condizioni poste da Mirella: «voglio suonare uno strumento che non sia il pianoforte, che legga su due righi e che possa suonare da solo ma soprattutto in orchestra». Dopo il corso regolare di studi in Conservatorio, parallelamente al quale continua privatamente gli studi letterari fino alla maturità magistrale, che all'ultimo momento non poté conseguire a causa delle leggi razziali e ai due anni di tirocinio da "maestrina" come usava dire allora, è pronta per la professione, e cominciano le prime collaborazioni nelle orchestre torinesi. Siamo nel 1938, e nel corso di una scrittura per una produzione per piccola orchestra del Teatro Regio Mirella viene mandata a chiamare dall'amministrazione; mentre aspetta davanti all'ufficio sente il collocatore, M. De Vito che dice gridando: «Io queste porcherie non le faccio!». Si trattava della richiesta, fatta in ossequio alle leggi razziali appena promulgate, di cancellare la giovane arpista dagli elenchi in quanto ebrea, e di farle interrompere subito il lavoro. De Vito riesce ad averla vinta sui burocrati, e non solo non la cancella dagli elenchi dei musicisti, ma la manda a parlare con il barone Mazzonis, mecenate del Teatro Regio che, già informato di tutto, la rassicura che in “casa sua” di queste cose non ne capitavano, e che dicesse a suo padre che, per ogni problema, poteva rivolgersi a lui. E questo, racconta Mirella, è un quadro fedele di com'era l'Italia di allora. Nonostante queste aperture, è giocoforza, a un certo punto, rendersi conto che per lei una carriera di musicista in Italia è impossibile, ma la sua nascente fama di professionista affidabile le procura un contratto con l'Orchestra Municipale di San Paolo del Brasile: ed eccola a vent'anni attraversare l'oceano senza sapere, vista la sempre peggiore situazione degli ebrei in Europa, se avrebbe potuto tornare. In Brasile Mirella Vita rimane per dieci anni, di cui otto nell'Orchestra di San Paolo e due in quella di Rio de Janeiro, come prima arpa; a San Paolo suona spesso anche come solista. La carriera in Brasile le dà molte soddisfazioni, anche perché è, all'epoca, quasi l'unica arpista professionista nel paese; durante la guerra tutti i grandi direttori europei e americani, non potendo dirigere in Europa, si recavano spesso e volentieri in Sudamerica, quindi la Vita ha occasione di suonare sotto la direzione, tra gli altri, di Erich Kleiber, Gino Marinuzzi, Hermann Scherschen, M. Camargo Guarnieri, Lamberto Baldi. Incontra Toscanini, con cui scambia i ricordi su Carolina Navone, ma non lavora con lui; ha la fortuna di conoscere uno dei maggiori compositori brasiliani, Heitòr Villa Lobos; suona nella prima trasmissione televisiva brasiliana, parecchi anni prima che la televisione arrivi in Italia. Sempre in Brasile conosce suo marito, Hermann Zylbersztajn, nato a Lodz in Polonia e laureatosi a Genova in Chimica e Farmacia; nel 1950 decidono di rientrare in Italia, stabilendosi poi a Milano. La carriera concertistica si svolge da questo punto in poi parallela a quella di insegnante e di ricercatrice. Continua a suonare in orchestra, collaborando con l'orchestra del Teatro Regio e della RAI a Torino, e a Milano con il Teatro alla Scala, la RAI, l'Angelicum, i Pomeriggi Musicali; i concerti da solista sono numerosi, così come quelli cameristici, in duo con il pianista Italo Lo Vetere, con l'arpista Nazarena Recchia, con il flautista Hans-Joachim Koellreuter, con cui aveva già lavorato in Brasile, con le flautiste Marlaena Kessick e Renata Ferri, con il violista Renzo Ferraguzzi, con il violoncellista Attilio Scabbia, con la mezzosoprano Ersilia Colonna. Insegna arpa per 35 anni nei Conservatori, dapprima al Conservatorio di Torino, poi dopo la vittoria del concorso a cattedra in quelli di Bolzano e Verona. Tra le sue allieve si contano le arpiste di alcune delle maggiori orchestre italiane, e concertiste e docenti del calibro di Anna Loro. La decisione di dedicarsi alla ricerca della storia e del repertorio dell'arpa ha radici, racconta Mirella, negli anni di Conservatorio, quando il repertorio solistico dell'arpa era costituito perlopiù di trascrizioni di pezzi pianistici, e un musicologo del calibro di Della Corte, suo insegnante di Storia della Musica, sosteneva, in classe, che l'arpa non avesse repertorio. L'antipatia per le trascrizioni e la necessità di avere pezzi originali per arpa da suonare in concerto e da far studiare alle allieve è stata la spinta per cercare e trovare negli archivi e nelle biblioteche italiane ed europee una messe ricchissima di musica per il suo strumento; la catalogazione per far sì che tutto questo repertorio fosse conosciuto dalle arpiste; la pubblicazione di revisioni, articoli e libri sull'arpa il passo successivo, ed è a questo che Mirella Vita ha dedicato gli ultimi vent'anni, dopo il pensionamento dal Conservatorio. Non solo, le rimaneva da chiarire il perché della fama di strumento senza musica acquisita dalla povera arpa, e anche questo obiettivo è stato raggiunto tramite la ricerca iconografica e testuale. Sintetizzando l'esito della ricerca di anni, Mirella Vita ci racconta che la prima vera arpa della storia è l'arpa di Davide, poiché diversamente da quella raffigurata dagli Egizi è la prima ad essere dotata di una colonna solida, atta a mantenere l'accordatura. I mercanti Fenici si incaricarono di venderle in giro per il Mediterraneo ma, dal momento che la rivalità tra Roma e Cartagine impediva loro l'accesso ai porti dominati da Roma, osarono spingersi oltre le colonne d'Ercole e risalirono fino alle isole Britanniche. Infatti l'arpa irlandese o celtica è sostanzialmente ancora uguale a quella del Re Davide. Nel 270 a.C. i settanta saggi che ad Alessandria d'Egitto tradussero dall'ebraico in greco la Bibbia, non essendo musicisti non si preoccuparono di trovare un termine esatto per tradurre la parola ebraica Nebel che anche in ebraico moderno significa arpa, e la tradussero con Organa, mentre quando nel 70 d.C. l'arpa arrivò a Roma, portata sulle spalle dai prigionieri ebrei dopo la conquista di Gerusalemme e la distruzione del Tempio, venne chiamata Nablum latinizzando appunto l'ebraico Nebel, e Sambyka in greco. San Gerolamo, che conosceva bene sia l'ebraico sia il greco, fu messo in imbarazzo dalla traduzione sbagliata dei Settanta, e non volendo utilizzare un termine popolaresco come Nablum tradusse la parola Organa con Cythara Hebraeorum, ovvero lo strumento degli Ebrei. Questo termine, impreciso tanto quanto Organa, fuorviò tutta la successiva storia della musica, poiché il ben noto antisemitismo medievale fece ben presto cadere la parola Hebraeorum, lasciando solo Cythara, e anche quando dalle isole britanniche l'arpa, che i Romani non amavano, ritornò sul continente nel VII secolo, la confusione di termini continuò. Il resto della storia Mirella Vita lo ha raccontato nell'agile pubblicazione L'arpa: profilo storico e repertorio, una delle molte da lei dedicate alla storia del suo strumento.
Mirella Vita, L'arpa: profilo storico e repertorio, Pizzicato, Udine 2001
Conversazioni di Simonetta Heger con Mirella Vita
Mirella Vita, La musica italiana per arpa (1989)
Mirella Vita, L'arpa, profilo storico (1991)
Mirella Vita, La musica svizzera per arpa (1993)
Mirella Vita, Piccolo dizionario dell'arpa (1995)
Mirella Vita, Un secolo di arpe d'oro (1997)
Mirella Vita, Piccole cronache del secolo XX (1999)
Mirella Vita, Dutch harp music (2001)
Mirella Vita, Storie della storia dell'arpa, e varie antologie di scritti sull'arpa (2001-2012)
Mirella Vita, La musica d'arpa nelle Biblioteche dei Conservatori d'Italia (2011)
Revisioni ed edizioni di musiche originali per arpa di C.Ph.Em. Bach, T.O'Carolan, M. Clementi, G. Donizetti, F.J. Dizi. F. Mendelssohn, F. Pollini, A. Rolla, L. Rossi, G. Rossini
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2012