"Questo mercoledì 29 Messidoro dell’anno I della Repubblica una e indivisibile, fu giustiziata la cittadina Corday, di Caen, cospiratrice e assassina del cittadino Marat, deputato della Convenzione". Così annotava nel suo diario il boia di Parigi, Henri Sanson.
Ma chi era la cittadina Corday? E per quali colpe era stata condannata alla pena capitale?
Figlia di un esponente della noblesse desargentée, piccola nobiltà rurale decaduta, contava tra i suoi avi il grande Corneille. A tredici anni, dopo la morte della madre, venne accolta come pensionante nel convento dell’Abbaye-aux-Dames di Caen.
Irrequieta, quasi selvaggia, abituata a vivere negli spazi aperti delle colline dell’Auge, Charlotte sembrò accettare di buon grado quanto le riservava la sorte e abbracciò con vera abnegazione la sua nuova vita da reclusa, rinunciando volontariamente agli abiti mondani, passando le giornate tra le preghiere e l’assistenza ai malati. Avrebbe sicuramente preso il velo se, qualche anno più tardi, il governo rivoluzionario non avesse abolito gli ordini ecclesiastici e chiuso i luoghi di culto.
Sfrattata dal convento, restò a Caen, ospite di madame de Bretteville, una vecchia zia con la quale condivise una casa tetra e un’esistenza spenta, senz’altri svaghi che la lettura.
Per circa due anni, a tenerle compagnia furono i libri: di Voltaire, Rousseau, Raynal, Corneille, Plutarco e altri autori antichi. A chi le rimproverava di farsi assorbire troppo dal passato, rispondeva: “Vorrei aver vissuto allora. A Sparta e Atene vi furono donne coraggiose”.
Eppure furono proprio quei testi a ispirarle, giorno dopo giorno, idee repubblicane.
Tra l’autunno del 1792 e la primavera del 1793 gravi fatti di sangue scossero la Francia. Durante i cosiddetti massacri di settembre, mille detenuti furono giustiziati come partigiani dell’Ancien Régime. Seguì la morte sul patibolo del re, Luigi XVI, condannato per tradimento della Patria. Infine padre Gombault, il beneamato parroco della famiglia Corday, fu ghigliottinato nella Place de Pilori di Caen.
Questi e altri drammatici eventi segnarono profondamente la giovane ma a spingerla fuori dal guscio, a indurla a un’azione forte fu l’incontro con alcuni girondini scappati da Parigi dopo essere stati sconfitti con le armi dai Montagnardi, il gruppo politico che nella Convenzione nazionale rappresentava la sinistra. Proscritti, quegli uomini rischiavano un’esecuzione sommaria e lei, che già simpatizzava per il gruppo dei Girondini, tanto si accalorò per la loro causa da arrivare a concepire un piano per una vendetta esemplare.
Ecco, dunque, che la suora mancata si assunse la responsabilità di rimettere ordine in quell’ingarbugliata situazione. Nella sua mente abitata dai fantasmi della solitudine, esaltata dalle fantasie di gesti patriottici prese corpo la decisione di assassinare l’uomo che, a suo avviso, era il principale istigatore degli eccidi che stavano insanguinando il Paese: Jean-Paul Marat, deputato di spicco della Convenzione nazionale, Presidente del Club dei Giacobini, medico e giornalista.
Una missione segreta, di cui non fece cenno neanche agli amici della sua stessa fede politica.
Con una scusa partì per Parigi, lasciando sulla sua scrivania una Bibbia aperta alla pagina dove si racconta l’episodio di Giuditta e Oloferne. Giunta nella capitale, si finse fervente ammiratrice dell’Ami du peuple e dopo aver appreso da un vetturino che il tribuno era ammalato, riuscì a farsi dare l’indirizzo del suo domicilio senza destare sospetti.
Attenta a non dare nell’occhio, sostituì il cappello bianco delle sue parti con uno nero, munito di coccarda tricolore, quindi si recò sotto le gallerie del Palais-Royal, dove abbondavano le botteghe. Al numero civico 177 acquistò un coltello da cucina, l’arma del delitto.
Grazie all’espediente di voler parlare al deputato per rivelargli i nomi di certi traditori, Charlotte finì per essere ammessa al suo cospetto. Immerso in una vasca di rame, Marat curava con bagni caldi allo zolfo una grave malattia della pelle. Stava morendo, ma la cittadina Corday non lo sapeva. Come ignorava che non aveva più un soldo, avendo distribuito tutti i suoi averi ai poveri.
Fiducioso e inerme, Marat non fu in grado di difendersi quando l’angelo della morte gli affondò il coltello fino al manico sotto la clavicola destra, squarciandogli la carotide e uccidendolo in pochi istanti.
Al momento dell’arresto, addosso alla giovane fu trovata una lettera indirizzata ai francesi, nella quale li esortava a ribellarsi ai tiranni. Chiudeva dicendo: “Allego il mio estratto di battesimo, per mostrare come la più debole mano può essere guidata dalla completa devozione. Se non riuscissi nella mia impresa, Francesi! Vi ho mostrato la strada, voi conoscete i vostri nemici; alzatevi! Marciate! Colpite!”
Fu comunque grande la sua sorpresa quando i gendarmi la strapparono dalla folla inferocita che voleva linciarla: si sarebbe aspettata un ‘osanna’ e invece le toccò incassare un ‘crucifige’, scoprendo a sue spese che il popolo amava sinceramente colui che aveva appena assassinato.
Condotta dapprima alla prigione dell’Abbaye, poi alla Conciergerie, l’anticamera della morte, Charlotte subì un regolare processo. Rea confessa, rivendicò il suo gesto affermando con orgoglio: “Ho ucciso un uomo per salvarne centomila”.
Sostiene Simon Schama; “per lei fu una questione d’onore dimostrare che il suo sesso era più che in grado, sia fisicamente che psicologicamente, di compiere atti di violenza patriottica”.
Dietro permesso del Comitato di sicurezza generale, ottenne d’essere ritratta in cella da un pittore che aveva notato il giorno prima in aula. Fiera di ciò che aveva fatto, si mise in posa per i posteri, sicura che la sua immagine sarebbe passata alla Storia.
Condannata alla pena capitale, le fecero indossare la camicia rossa destinata ai parricidi, poi la condussero al patibolo, in Place de la Révolution.
Quando la carretta che la trasportava giunse sulla piazza, il boia, Monsieur de Paris, ebbe un moto di compassione e per impedirle di vedere la ghigliottina le si piazzò davanti. Ma lei si sporse per guardare: “Ho bene il diritto d’essere curiosa: non ne ho mai vista una!” esclamò con noncuranza.
Era il tardo pomeriggio del 17 luglio 1793 quando, senza un tremito, una lacrima o un rimorso, Marie-Anne-Charlotte de Corday d’Armont morì.
H. Sanson, Mémoire des Sanson, Dupray de la Nahérie et Ce, Editerurs, Paris, 1862
Simon Schama, Citizens, New York, 1989
Camille Naish, Donne al patibolo, dal rogo alla ghigliottina, Ecig, 1993
Guillaume Mazeau, Charlotte Corday et l’attentat contre Marat: événement, individus et écritures de l’histoire - Revue d’Histoire du XIXe siècle, mars 2008
Referenze iconografiche: Ritratto di Charlotte Corday, litografia del diciannovesimo secolo. Autori: François-Séraphin Delpech e Henry Grévedon. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2015
Ultimo aggiornamento: 2023