«È tempo, in questo tempo, che la Donna, l’altra metà dello stesso pensiero, l’altra stanza nel cuore della vita, prenda il suo turno e inizi a pulsare appieno; e si migliorerà la vita delle nostre figlie femmine, cosa che sarà di massimo aiuto perché migliorino e mutino anche i nostri giovani figli maschi».
19 luglio 1850. Finalmente la costa è vicina, nitido il profilo di Fire Island, a poche miglia da New York. Il viaggio da Livorno, iniziato a maggio, un’avventura senza fine: fermi a Gibilterra in quarantena, il capitano morto di vaiolo. Ora, davanti alla costa, il mare si è fatto grosso e il mercantile Elizabeth non riesce a reggere la furia del vento; si incaglia in un banco di sabbia e si spezza. A bordo c’è la famiglia Ossoli. Margaret, giornalista americana, suo marito, il marchese Giovanni Angelo Ossoli e il loro bambino di nemmeno due anni, Angelino. Bisogna abbandonare la nave; spariscono tutti e tre fra le onde. Margaret Fuller muore così. Ha solo 40 anni, ma alle spalle una vita che merita davvero di essere ricordata.
Margaret è la colta e poliglotta figlia di un noto avvocato di Boston che ne aveva curato personalmente l’educazione, sottoponendola, fin da piccolissima, a uno studio continuo e costante, e verificandone la preparazione ogni sera con interrogazioni severe. Il latino iniziò a impararlo a sei anni, a sette leggeva regolarmente testi di Virgilio e Ovidio. E poi Cervantes, Molière, Goethe, la filosofia, la storia, le lingue moderne. Il prezzo pagato per un'istruzione così serrata fu alto: fin da bambina soffrì di insonnia, di problemi alla vista, di frequenti e forti emicranie. Ma dopo un tale sforzo, quello che lei definiva il suo lato energico, maschile, colto, era cosa fatta. A 18 anni, unica studiosa tra tanti uomini, il suo valore era riconosciuto anche nella prestigiosa Harvard. Se poi aggiungiamo l'assoluta e rivendicata “americanità” che la lega indissolubilmente alla Dichiarazione dei Diritti del 1776 (base di ogni teoria sull'uguaglianza) e la sua adesione al Movimento Trascendentalista con in primo piano le virtù emersoniane di self-reliance (fede in se stessi) e di self-impulse (impulso all'attività), l'anomalo cocktail della sua personalità è pronto.
1840, Boston. Ha trent’anni quando pubblica Woman in the Nineteenth Century, il primo libro scritto in America che parli senza mezzi termini di uguaglianza tra uomo e donna. Eccone un assaggio:
«...the time is come when Eurydice is to call for an Orpheus, rather than Orpheus for Eurydice; .... that she, the other half of the same thought, the other chamber of the heart of life, needs now take her turn in the full pulsation, and that improvement in the daughters will best aid in the reformation of the sons of this age».
«...è giunto il momento che sia Euridice a chiamare Orfeo, piuttosto che Orfeo a chiamare Euridice: ...è tempo, in questo tempo, che la Donna, l’altra metà dello stesso pensiero, l’altra stanza nel cuore della vita, prenda il suo turno e inizi a pulsare appieno; e si migliorerà la vita delle nostre figlie femmine cosa che sarà di massimo aiuto perché migliorino e mutino anche i nostri giovani figli maschi».
In una settimana tutte le copie del libro furono esaurite: 1500 copie, per l’epoca numeri da best-seller, copie pirata anche in Europa. Ma venne giudicato absurd, immoral, scandalous. Troppo dirompente e rivoluzionario per essere accettato. Fuller venne definita arrogante, pedante, aggressiva, sgradevole, mascolina. Edgar Allan Poe, pur ammettendone il carattere geniale, la chiamava «ill tempered old maid», qualcosa come “vecchia zittella isterica”.
Erano davvero in tanti, uomini e donne, a sentirsi minacciati dalle sue idee e dai suoi scritti. Perfino all’interno del circolo intellettuale più vicino e amico, quello dei Trascendentalisti, fucina di scrittori e pensatori che avrebbero fatto la storia letteraria e filosofica d’America. Ralph Waldo Emerson, H. D. Thoreau, Nataniel Hawthorne, Bronson Alcott, padre di Louisa: erano tutti impegnati a tesserne le lodi, ma anche, dopo la tragica e prematura morte, a ridisegnarne in chiave tranquillizzante la biografia. Tanto che Hawthorne in persona fu visto aggirarsi sulla spiaggia di Fire Island, subito dopo il naufragio, intento a raccogliere certi fogli restituiti dal mare. Chissà, fu forse la paura delle parole di questa donna a indurre perfino il grande Emerson (Dean of American Literature) a distruggere molte delle lettere e delle carte di Margaret?
Censure con cui questi uomini di potere sono riusciti a esercitare un forte controllo sulla sua reputazione, fino ai giorni nostri. E se fosse vissuta altri 40 anni? C’è stato perfino chi scrisse che questa morte prematura sia stata una fortuna, altrimenti chissà che polveroni avrebbe sollevato con la sua penna (un altro grande saggio del Trascendentalismo, Octavius B. Frothingham scrisse: «it was just as well so» - è andata bene così).
Ricordarla è dunque necessario.
Ma oltre ad aver contribuito ai fondamenti del femminismo americano, Margaret è stata anche una delle prime donne giornaliste del Paese, la prima a scrivere un libro-radiografia del West, la prima a lavorare per giornali come il «New York Daily Tribune» e il «The Dial Magazine», prima rivista letteraria negli Stati Uniti. La prima a diventare corrispondente dall’estero, inviata per documentare tutti i moti rivoluzionari europei. Prima donna critico e prima traduttrice degli scritti di Goethe in America. La prima a denunciare e a chiedere migliori condizioni di vita per le donne nelle prigioni di New York, nei manicomi e nelle istituzioni. La prima a organizzare sessioni di formazione per le donne, sostenendo (ed era anche questa una rivoluzione) che le donne sono dotate di menti pensanti («women did have minds»).
Da inviata in Europa mandò i suoi pezzi in patria, descrivendo e osservando ogni aspetto della vita del Vecchio Continente: dalle preoccupazioni sociali dell’epoca, alle condizioni di vita dei lavoratori delle miniere di carbone. Intervistò grandi personaggi della letteratura del tempo: Thomas Carlyle, George Sand, Wordsworth, De Quincey. Dei moti del ’48 in Italia, inviò in patria alcune memorabili cronache di guerra. Proprio a Roma, durante le gloriose giornate della Repubblica Romana, decise che scrivere non bastava più.
Determinante qui fu l’incontro con un’altra donna emblematica, Cristina di Belgioioso. Le due si conobbero forse grazie a Mary Clarke o a Giuseppe Mazzini, o forse per intercessione di un’altra buona amica comune, la marchesa Costanza Arconati Visconti. Cristina rimane davvero colpita da Margaret, tanto da chiederle (è molto probabile sia stata lei) di presiedere l’ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina. Qui Margaret incontrò una giovane inglese che aveva interrotto il suo tour europeo proprio per fermarsi a Roma, ad aiutare; era Florence Nightingale, che proprio a Roma decise di dedicare la vita all’assistenza dei feriti e dei malati; aveva 28 anni e sarebbe diventata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.
Non si sa molto dell’incontro tra le due, ma un punto sembra certo: Fuller anticipa al Fatebenefratelli quella riorganizzazione degli ospedali militari che verrà poi messa in atto da Nightingale durante la guerra di Crimea nel 1854.
In tutto questo fermento accade l’inaspettato, Margaret si innamora. È un amore che lei per prima giudica inappropriato. Durante una visita a San Pietro, incontra il marchese Ossoli, più giovane di nove anni, cattolico, nobile e squattrinato. Niente di più lontano. Eppure quest’amore decidono di viverlo e nasce Angelino. La maternità è un’esperienza dirompente, carica di preoccupazioni, ma anche di gioia; nelle lettere di Margaret si leggono sentimenti e disagi talmente attuali da sorprendere. Lei, proiettata nel lavoro e nella sfera politica, nel tentativo di realizzare l’utopia americana in una Italia carica di speranze risorgimentali, si ritrova madre impaurita, “codarda”, che non può fare a meno di preoccuparsi da una parte per il suo futuro, ma dall’altra anche per il figlio. Il suo maternal body desidera semplicemente fondersi con Angelino, ai limiti dell’annullamento del sé[1]. Ancora una volta la soluzione è controcorrente, oltre ogni convenzione. Chi l’ha detto che sia il marito a dover mantenere la moglie? Roma è caduta; gli Ossoli vanno a Firenze, da qui a Livorno dove il 17 maggio si imbarcano sull’Elizabeth diretti verso la più tranquilla America, dove il marchese si sarebbe occupato del bambino e Margaret avrebbe sostenuto la famiglia continuando nella sua attività pubblica (già in viaggio riordina la sua Storia della Repubblica romana). Sarebbe stata un modello per tante. Se solo le secche di Fire Island e un mare in tempesta non l’avessero fermata.
NOTE
1. Come nota Anna Scacchi in Margareth Fuller’s Search for the Maternal.
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Margaret Fuller, Mary Kelley, The Portable Margaret Fuller, Viking Portable Library, Penguin, 1994
Margaret Fuller, Wandering Pilgrim, Meg McGavran Murray, University of Georgia Press, January 15, 2008
Margaret Fuller, Transatlantic crossing in a revolutionary age, a cura di Charles Capper, e Cristina Giorcelli, University of Wisconsin, 2008
Margaret Fuller, Un’americana a Roma 1847 - 1849, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, Edizioni Studio Tesi, 1986, Pordenone
Referenze iconografiche: Margaret Fuller, 1872. Fonte: Humanities and Social Sciences Library / Print Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs. Foto di Chappel. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023