Julieta Elisa Paredes Carvajal, attivista boliviana di origine aymara, nasce nel 1967, a La Paz, capitale della Bolivia. Si definisce “un’aymara femminista lesbica”. Per imposizione paterna, con lo scopo di migliorare lo spagnolo per frequentare la scuola, a soli cinque anni, a Julieta viene proibito di parlare la lingua nativa, l’aymara. Presto abbraccia l’anarchismo e si rivela una ragazza piena di risorse: diventa poeta, cantautrice, graffitista e, successivamente, scrittrice e saggista. Paredes si laurea in Psicologia presso l’Universidad La Cordillera (Bolivia) e consegue un Master in Genere, Società e Politiche, presso la Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales (FLACSO), in Argentina.
A ventitré anni fonda, assieme all’ex compagna María Galindo e Mónica Mendoza il gruppo Mujeres Creando (1990); si tratta di un collettivo al femminile che offre una gamma di azioni concrete e pratiche femministe trasformative, che vanno dalla diffusione di ogni forma di espressione artistica al femminile alla garanzia dell’accesso all’aborto sicuro e legale. Il “palcoscenico” principale delle loro attività è la strada, prediligendo i graffiti e il teatro come forme di espressione. Il collettivo gestisce anche il locale Virgen de los Deseos, che fornisce cibo, alloggio, istruzione e laboratori di artigianato, per favorire l’ingresso delle donne che hanno difficoltà a livello lavorativo.
Inoltre, ha fatto parte dell’ONG Articulación de Mujeres por la Equidad y la Igualdad (AMUPEI) e dell’Asociación Centro de Defensa de la Cultura (CEDEC), presso il Ministero degli Affari di Genere della Bolivia.
Oggi, Julieta Paredes è considerata una delle principali teoriche del “femminismo comunitario”, ponendo il focus sul vissuto e sui corpi delle donne indigene, oppressi ancor prima dell’arrivo dei colonizzatori. Attraverso l’interpretazione della mitologia andina, Paredes conclude che, nelle culture e nelle società precoloniali, già esisteva una versione personale dell’oppressione di genere e, con l’arrivo degli spagnoli, le due visioni si sono unite, a discapito delle donne. Questa confluenza di interessi, volta a neutralizzare le rivoluzioni e le insurrezioni delle donne boliviane viene definita da Julieta entronque patriarcal (giunzione di patriarcati) che potrebbe essere tradotto come “un perfetto sistema di alleanze al maschile”, consolidato fino ai giorni nostri:
“Nell’entronque patriarcal, il razionalismo razzista e la religione cattolica furono imposti come necessari per ridurre le concezioni della vita, del mondo, della conoscenza e del futuro che esistevano prima. La persecuzione nei processi per l’estirpazione dell’idolatria fu principalmente contro le donne indigene delle comunità ayllus e le contadine che continuavano con i riti delle huacas, mentre gli uomini indigeni divennero gradualmente gli assistenti dei sacerdoti catechizzatori e degli inquisitori”. (2018, p. 63.)
Nella sua opera, Hilando fino desde el feminismo comunitario, del 2008, l’intellettuale boliviana discorre sul concetto di uguaglianza tra donne e uomini nel contesto della cultura indigena, sottolineando il ruolo del corpo e della sessualità nella liberazione delle donne; espone altresì le sue critiche nei confronti del femminismo occidentale e del nesso tra patriarcato, colonialismo e neoliberismo:
“Il Neoliberalismo diffonde essenzialmente una grande quantità di propaganda postmoderna di promozione dei diritti umani. Si suppone che le donne, gli indigeni, gli omosessuali, i giovani e i disabili fossero presumibilmente riconosciuti e dotati dei cosiddetti diritti. In realtà, riconoscevano solo le donne, gli indigeni, gli omosessuali, i giovani e i disabili che appartenevano alla stessa classe sociale o pensiero politico, o che, a causa della loro diversità, li servivano economicamente e politicamente senza protestare. I ribelli e i rivoluzionari, invece, non avevano posto in questa distribuzione di benefici. Il Neoliberismo raccoglie le fondamenta della sua ideologia nel concetto stratificante di liberalismo; lo edulcora in modo tale che possa essere digerito come se fosse un prodotto diverso, ma l’essenza fondamentalmente è la stessa. Nel Liberalismo non esistono uguali, bensì cittadini di prima, seconda, terza, quarta, quinta classe, e così via. Il sistema patriarcale ha però attuato una variante del Neoliberismo: cercare di equiparare i cittadini maschi di prima classe con le loro donne che occupano la seconda classe di cittadinanza; da qui, il successo di alcuni progressi che queste politiche neoliberali apportano, soprattutto per le donne dell’alta e media borghesia del Primo Mondo e, per estensione, per quelle dell’alta borghesia dell’America Latina e della Bolivia. Ciononostante, il pesante fardello delle riforme economiche neoliberiste è ricaduto pesantemente sulle donne indigene di classe inferiore e impoverite del cosiddetto Terzo Mondo, di cui il nostro Paese fa parte. Per questo motivo, nel nostro femminismo autonomo boliviano di quegli anni, a proposito del mito dello sviluppo sostenibile, affermiamo che lo sviluppo appartiene ai Paesi del Primo Mondo e spetta ai nostri popoli sostenerlo”. (2008, pp. 115-16)
Con l’obiettivo di offrire una pratica politica che possa sradicare ogni forma di oppressione, come il classismo, nelle sue Opere, la Paredes indaga sulle ancestrali forme di resistenze delle donne indigene e su come implementarle nelle società neoliberali, patriarcali e razziste. Da una prospettiva estetica, denuncia la società boliviana (ma non solo) per aver garantito la continuità del marchio coloniale, classificando i corpi “belli, bianchi e puliti” da quelli “brutti, scuri e sporchi degli indigeni”, andando a colpire anche l’immaginario erotico, il desiderio, la sessualità, l’amore e il piacere.
Sebbene l’opera di Julieta Paredes abbia avuto un grande impatto nel mondo accademico e continui tuttora a essere studiata come un punto di riferimento per quanto riguarda la visione andina del femminismo, costituendo anche un notevole successo editoriale nell’America Latina, è innegabile il suo contrasto con la vita privata. Nel 2017, Julieta è stata denunciata per violenza domestica dall’ex compagna Victoria Aldunate Morales, e ancor prima, nel 2016, per il tentato femminicidio dell’ex compagna Adriana Guzmán, entrambe ricercatrici, saggiste e attiviste lesbofemministe; indagata, la Paredes non comparve alle udienze della magistratura boliviana, rifugiandosi in Brasile. La gravità delle accuse, la consistenza delle prove, le testimonianze raccolte all’interno delle organizzazioni femministe di cui prese parte, nonché la sottrazione di Julieta alla giustizia, portò l’organizzazione Feminismo Comunitario, di cui la Paredes contribuì alla fondazione, così come diverse organizzazioni e collettivi femministi presenti in Cile, Bolivia, Argentina, Guatemala, Messico e Brasile, a prendere le difese delle vittime.
Ciò innescò, nel 2019, una serie di dibattiti sul tema della violenza domestica nelle coppie dello stesso sesso, nonché sulle complicità e l’autoritarismo all’interno delle organizzazioni sociali del campo progressista. Nel luglio 2022, a Santa Cruz, in Bolivia, la Plataforma de lucha contra la violencia hacia las mujeres e la Articulación Feminista Campaña 28 de septiembre, due delle maggiori organizzazioni femministe del Paese scrissero un importante comunicato congiunto, invitando ogni movimento, organizzazione o collettivo femminista a una seria e profonda riflessione interna. Il comunicato riporta:
“Le situazioni di violenza che si verificano tra coloro che appartengono a questo o a qualsiasi altro spazio femminista di donne o di difesa dei diritti umani ci feriscono, ci mettono seriamente in discussione e, per questo, le rifiutiamo con forza. Gli attacchi e le aggressioni tra due persone che si definiscono femministe sono armi del sistema patriarcale e ci sommergono di pregiudizi e favoritismi che non portano ad alcun cambiamento reale e degno di nota. Opteremo sempre per la decostruzione femminista, che ci insegna a metterci in discussione e ci offre la possibilità di lottare contro ogni forma di violenza, da qualsiasi parte provenga”.
Grazie alla forte pressione del movimento femminista boliviano, con una lettera aperta firmata rispettivamente dalle associazioni Colectivas de la Aquelarre Subversiva Cuerpa AutónomA, Mujeres Libertarias Imillas, Colectiva Lésbica “la Décima Musa", Colectivo Ch'ixi, Agitadoras Feministas, Almatroste, Warmis en Resistencia, Salvajinas, Wiñay Wara, ONAEM, Lesbianas de El Alto e Grupo Lésbico Las Arañas, Julieta è stata esautorata dall’incarico governativo che esercitava presso il Ministero della Cultura boliviano, nel 2017. Tuttavia, non senza protesta, è stata nominata rappresentante della Bolivia, presso il MESECVI (Committee of Experts of the Follow-up Mechanism of the Belém do Pará), organo che appartiene all’Organizzazione degli Stati americani (OSA), per prevenire, punire e sradicare la violenza contro le donne. Focalizzando l’attenzione sulla dicotomia tra la teoria e la pratica, l’opera e la vita di Julieta Paredes rappresentano un invito a un’importante riflessione sull’impunità e le complicità con gli abusi perpetrati da persone che godono degli allori di una vita pubblica, spesa a favore di nobili cause, nonché sulla figura delle/degli intellettuali di stampo progressista e il loro agire. La pressione sulle vittime, affinché non parlino, “per non danneggiare la causa”, viene poi a sommarsi alle barriere e ai pregiudizi da loro affrontati, quando decidono di denunciare i maltrattamenti subiti tanto in ambito domestico, quanto nel mondo dell’associazionismo. All’interno della comunità LGBTQ+ e del movimento femminista latinoamericano, il caso Paredes si rivelò uno spartiacque che ha posto interrogativi non solo sui rapporti di potere all’interno delle coppie non eterosessuali, ma anche sulle complicità, minimizzazione e mancata solidarietà con le vittime di maltrattamento psicologico, fisico o abusi intra-familiari, quando compiuti da esponenti di un movimento.
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Voce pubblicata nel: 2024
Ultimo aggiornamento: 2024