Dalla prima regione di liquida oscurità, nella seconda regione di aria e luce ho redatto le seguenti note con il loro misto di fatti e verità e memorie di verità con lo sguardo sempre rivolto alla terza regione, dove il punto di partenza è il mito.

La memoria non è un dato oggettivo, eterno, la memoria è fuggevole, malleabile e scrivere la propria autobiografia non ci rende né oggettivi, né eterni. A partire dalla propria vita Janet Frame ha scritto opere che trascendono la dimensione individuale e aprono quell’universo di somiglianze e risonanze dove ogni lettore può riconoscersi anche se non è mai stato una ragazzina neozelandese nata negli anni Venti del secolo scorso, non è una persona né timida né creativa, non è mai stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico.

In un’intervista Frame dichiarò che: “Davvero, se vuoi scrivere devi essere disperato… La cosa che ti spinge a sederti e scrivere deve essere qualcosa che ti perseguita”.
La persecuzione della Frame non è soltanto la realtà dalla quale lei si sente lontana, estranea, anche la scrittura fa parte della persecuzione e ne è al contempo la cura. La dimensione meta letteraria delle sue opere è lampante perché la scrittura è uno dei suoi temi fondamentali insieme alla riflessione sulla creatività e al significato dell’essere una donna che scrive.

Nella sua trilogia autobiografica Un angelo alla mia tavola, scritta tra il 1982 e il 1985, la scrittrice rende con vividezza il mondo oppresso di una grande povertà famigliare, la Grande Depressione degli anni Trenta, una vita di privazioni, cibo scarso, dolore. Una vita trascorsa in una casa senza riscaldamento, tra debiti, la malattia del fratello che il padre si ostinava a negare, le tragiche morti delle due sorelle Myrtle e Isabel, entrambe annegate in circostanze molto simili, la prima quando la scrittrice era ancora una ragazzina.

Quando Janet ha tre anni la famiglia, come facevano tutte quelle che erano “gente delle ferrovie” si trasferisce a Glenham, nel Sud. Caso abbastanza raro tra le scrittrici del Ventesimo secolo, Janet cresce con una madre poetessa, che diventa nota a livello locale e in una famiglia umile ma che sa dare il giusto valore all’istruzione e alla letteratura.

La poesia diventa in quel periodo fondamento della sua vita:

Scrivevo poesie su tutto quanto mi circondava. Ne scrissi una sulla sabbia, sul cielo, sulle foglie, sull’arcobaleno (avendo cura di elencare i colori esatti: arancio, giallo, rosso, violetto, un bel verde e blu).

La beatitudine infantile si infrange sulla cruda morte della sorella maggiore Myrtle che annega in un pomeriggio in cui Janet è impegnata a studiare. Gli anni della Seconda guerra mondiale segnarono pesantemente anche la vita della famiglia Frame. Mentre Janet cresceva aumentava il disagio sempre più grande nello stare con gli altri essere umani e la ricerca della compagnia di creature che umane non erano e un desiderio di cambiamento radicale, di maturazione, la portò a bruciare tutti i diari e i taccuini con le poesie.

Finalmente Janet si trasferisce a Dunedin dagli zii Isy e George e la compagnia più reale di quel tempo è quella dei poeti, tutti ormai morti da tempo. Il tempo era diviso tra le lezioni alla facoltà di Magistero, le passeggiate in città e le visite al cimitero dove si sedeva tra le lapidi per comporre poesie. Infelice per i suoi denti, per la goffaggine e nonostante la pubblicazione di un primo racconto, tentò di suicidarsi con le aspirine, fatto che raccontò in un’autobiografia richiesta per il corso di psicologia.
Il professore le propose dopo averla letta un periodo di ricovero in ospedale. E così la giovane scrittrice iniziò la sua carriera da folle, un’identità che la protesse per diversi anni dalle difficoltà della vita quotidiana e la fece sentire legittimata a essere una scrittrice, visto che tanti altri grandi artisti avevano sofferto di malattie mentali.

Nel romanzo Dentro il muro, racconterà tutto ciò che avrà visto e vissuto negli otto anni successivi di ricoveri dopo la prima diagnosi di schizofrenia. Fino al 1954, anno dell’uscita dall’ospedale, Janet visse in uno stato perenne di paura e infelicità. Fu grazie alla sua attività di scrittrice e alla pubblicazione della raccolta di racconti La laguna e del premio prestigioso che le venne attribuito, che si salvò da una lobotomia che le sarebbe stata fatale.

Uscita dall’ospedale psichiatrico si installò in una roulotte nel giardino di June, la sorella più piccola, che le fece conoscere lo scrittore Frank Sargeson, forse l’incontro più importante di tutta la sua vita. Accettò subito di andare a vivere nel capanno che c’era in fondo al suo giardino così da poter scrivere in santa pace. Con lui condivideva il tempo dei pasti e le numerose amicizie che si rivelarono importanti anche quando decise di viaggiare in Europa e fu lui che la esortò a mandare a un editore il suo romanzo Gridano i gufi che dopo sole due settimane venne accettato per la pubblicazione. Una mattina di un giorno di dicembre June e suo marito arrivarono per annunciarle che sua madre era morta di infarto alle dieci e mezzo.

I preparativi per il suo viaggio continuarono comunque, chiese grazie a Frank una borsa di studio e partì per l’Europa soffrendo il mal di mare per tutto il tempo. Giunta a Londra, fece amicizia con Patrick, un irlandese che abitava nella sua stessa casa. La sua presenza era fonte di sollievo per l’aiuto materiale che l’uomo le forniva, ma anche di continua irritazione perché pretendeva di dettarle regole di vita sulle persone da frequentare e sul lavoro da fare.

Dopo qualche mese Janet riuscì a riprendere il viaggio verso Ibiza, sostò una notte soltanto a Parigi, una notte a Barcellona e finalmente raggiunse la tanto agognata isola. Prese in affitto una stanza nella casa di una tipica famiglia del luogo e imparò a condividere la loro frugale vita quotidiana. Senza macchina da scrivere, che era rimasta al deposito bagagli della stazione di Parigi, senza luce sufficiente per leggere e scrivere, Janet stentava a vivere quella vita da scrittrice su cui aveva tanto fantasticato. L’isola era bella come l’aveva immaginata, il Mediterraneo reale si confondeva con quello cantato dai poeti e l’apprendistato della vita a Ibiza fu comunque molto intenso. Iniziò finalmente a scrivere il nuovo romanzo Zio Pilade e continuare a fare le passeggiate che tanto la ispiravano.

L’isola le fece anche il dono del primo amore e della scoperta del sesso con Bernard un giovane americano che voleva diventare pittore e che era amico del suo amico Edwin. Fu una grande passione interrotta dalla partenza dell’uomo che le lasciò però il dubbio di essere incinta. Così era e mentre Janet si dibatteva tra il desiderio di maternità e il sacrificio che diventare madre avrebbe richiesto alla scrittura, cadde da una sedia e perse il bambino. Da Ibiza si trasferì a vivere ad Andorra per risparmiare, di nuovo condivise una vita di una famiglia e trovò un nuovo corteggiatore nel contrabbandiere Mario detto El Vici, un milanese che la chiese in moglie.

Fu proprio quella svolta possibile nella sua vita che le fece decidere di tornare a Londra dove il solito solerte Patrick la accolse. Sapeva di avere molte questioni da dirimere, riuscì a trovare un’agente letteraria, a contattare tramite lei degli editori inglesi e anche a decidere di farsi ricoverare di nuovo per capire se davvero fosse schizofrenica. Dopo qualche tempo, indagini varie, colloqui e un elettroencefalogramma, l’équipe medica decretò che lei non aveva mai sofferto di schizofrenia e non avrebbe mai dovuto essere ricoverata in un ospedale per malattie mentali. In questa nuova condizione trovò la forza di recidere il legame con Patrick dicendogli che sarebbe partita per gli Stati Uniti e iniziò una terapia con un nuovo psichiatra, il giovane dottor Cawley. Chiese una nuova sovvenzione per poter continuare a scrivere e affittò una stanza nella casa di un’altra famiglia. Fu in quella nuova situazione di instabilità che decise di raccontare le sue esperienze nei manicomi neo-zelandesi: “registrando fedelmente ogni episodio, i pazienti e il personale che avevo conosciuto, ma prendendo a prestito da quanto avevo osservato fra i vari pazienti per costruire il personaggio centrale di una “pazza” più credibile, Istina Mavet, la narratrice”.

Il libro venne scritto in fretta, Janet aveva rinnovato il metodo di lavoro sperimentato quando viveva con Frank, usava un quaderno per segnarvi i progressi e i titoli dei capitoli. Visse per qualche tempo la vita da scrittrice che tanto aveva sognato, ma presto ne ebbe però abbastanza e decise che solo la vita in campagna faceva per lei. Diventò la custode-affittuaria di un cottage nel Suffolk ma solo per scoprire che tutto il lavoro che doveva dedicare alla proprietà interferiva con la scrittura. Così prima del nuovo inverno tornò a vivere a Londra e accettò l’aiuto del suo editore nel pagarle una quota dell’affitto. Ma anche la nuova seconda vita londinese non la appagava. Così Janet ritornò in Nuova Zelanda anche per essere fedele al suo linguaggio: “Sapevo, finalmente, che lasciare per sempre il proprio paese natio può essere un punto di forza o di debolezza o entrambi, a seconda dell’artista, da aggiungere all’inventario di materiale elaborato nella Città degli Specchi, e che per lo scrittore di narrativa essere un esiliato può costituire un impedimento, soprattutto se proviene da un paese che è appena agli inizi della propria tradizione letteraria”.

Al momento dello sbarco, inaspettatamente, trovò la stampa ad aspettarla. Grazie alle pubblicazioni d’oltremare era diventata una celebrità in patria. La sorella e il marito erano andati a prenderla e nel viaggio verso la loro casa, Janet notò i profondi cambiamenti che il paesaggio aveva subito. C’erano state bonifiche e nuove costruzioni, anche la casa di Frank era ormai circondata da altre proprietà immobiliari. Quando andò a trovarlo lui non era in casa ma lei sapeva di poter comunque entrare. L’interno era cambiato un poco, la grande libreria che era appartenuta alle zie divideva il letto dal resto della stanza, i libri e i manoscritti si erano moltiplicati e c’era una nuova poltrona di legno. Dal fruscio della vegetazione capì che Frank stava per rientrare, “Sapevo che era agitato quanto me per quel nostro primo incontro dopo sette anni. Mi sembrava quasi di poter vedere il suo nervosismo, ma ci bastò uno sguardo per comprendere entrambi che eravamo come eravamo stati, e ci riconoscemmo a vicenda dopo sette anni. La tensione si sciolse”.

Dopo la visita da Frank era arrivato il momento di tornare a Willowglen per sistemare le questioni familiari legate all’eredità dopo la morte del padre. Il cruccio più grosso fu la cernita degli oggetti e dei documenti di famiglia. Scelse cosa bruciare e cosa conservare, donò al fratello la sua quota della casa. Nel 1964 Janet ottenne una borsa di studio per le lettere, nel 1965 diventò docente associato all’università dell’Otago dove poté comprarsi un cottage per milleduecento sterline. Avrebbe continuato a scrivere e a confrontarsi con l’Inviato “e perfino adesso, mentre scrivo, l’Inviato dalla Città degli Specchi aspetta sulla soglia, e guarda avidamente mentre continuo a raccogliere i fatti della mia vita. E mi piego ai desideri dell’Inviato”.

Fu proprio grazie a Un angelo alla mia tavola che la Frame diventò una delle scrittrici più note degli anni Novanta del secolo scorso, soprattutto, grazie al meraviglioso film del 1990 diretto dalla regista Jane Campion che sembra essere riuscita a estrarre dal corposo libro l’essenza stessa della Frame e della sua scrittura. Nel corso della sua vita pubblicò undici romanzi, molti dei quali tradotti in italiano, cinque raccolte di racconti , un volume di poesie e uno di storie per bambini e in Nuova Zelanda è una vera e propria icona culturale. Nel 1999 decise di creare il Janet Frame Literary Trust per garantire la continuità della diffusione della sua opera anche dopo la sua morte avvenuta nel 2004 a causa di una leucemia.

Cosa accade dopo la morte di una scrittrice così legata al mondo primordiale della natura che aveva imparato ad amare da bambina? Sarà la natura a parlare per lei:

“Parleranno le tempeste; di loro puoi fidarti.
Sulla sabbia il vento e la marea scrivono
bollettini di sconfitta, gusci imperfetti
presso il memoriale liscio d’alberi d’altura,
alghe, uccello lacero, rasoio affilato, corno d’ariete, conchiglia”.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Janet Frame

Janet Frame in her own words, a cura di Denis Harold e Pamela Gordon, Penguin 2011
Michael King, Wrestling with the angel. A life of Janet Frame, Picador 2000

Opere di Janet Frame

An Angel at My Table (Autobiography 2), Braziller, 1984 (I ed. italiana Un angelo alla mia tavola, Neri Pozza, 2010)

Faces in the Water, Pegasus Press, Braziller, 1961 (I ed. italiana Volti nell’acqua, Neri Pozza, 1961)

Living in the Maniototo, Braziller, 1979 (I ed. italiana Vivere nel Maniototo, Marco Tropea editore, 1996)

Owls Do Cry, Pegasus Press, 1957 (I ed. italiana Gridano i gufi, Guanda, 1994)

The Lagoon and Other Stories, Caxton Press, 1951 (I ed. italiana La laguna e altre storie, Fazi editore, 1998)

Towards Another Summer, Vintage, 2007 (I ed. italiana Verso un’altra estate, Neri Pozza 2012)

The Carpathians, Braziller, 1989 (I ed. italiana La leggenda del fiore della memoria, Robin edizioni, 2007)

Scented Gardens for the Blind, WH Allen, 1963 (I ed. italiana Giardini profumati per i ciechi, Guanda, 1997)

J. Frame, Parleranno le tempeste. Poesie scelte, gabrielecapellieditore 2017 (pubblicato in Italia e in Svizzera con poesie scelte da The Pocket Mirror e The Goose Bath)



Voce pubblicata nel: 2016

Ultimo aggiornamento: 2024