Anche Irma, come molti di noi, suoi colleghi, tutte le mattine affrontava il viaggio che da Milano la portava alla Villa Reale di Monza, dove aveva sede la scuola in cui insegnava. Si alzava presto perché le lezioni iniziavano alle otto e lei, da buona tedesca, non si sarebbe mai sognata di arrivare in ritardo, e neppure sopportava il ritardo altrui, a maggior ragione quello degli studenti.
Era il 1974 e Irma Blank aveva già 40 anni. Forse non avrebbe insegnato a Monza per tutta la vita, ma adesso, approdata a Milano da un anno, da Siracusa, dove era arrivata ventenne per amore, insegnare lì era esattamente ciò che desiderava fare. In una scuola come quella, i docenti appartenevano alla crème del mondo artistico e progettuale meneghino, da loro poteva imparare ma forse anche insegnare loro qualcosa.
Era soprattutto il contatto con i suoi giovani allievi che le infondeva energia, un’energia creativa, della quale aveva un estremo bisogno in quel frangente della sua esperienza artistica in cui aveva consolidato un modus operandi con cui si sentiva in intima affinità. Irma ancora non poteva saperlo, ma quello che aveva messo a punto sarebbe stato per sempre il suo linguaggio artistico.
La sua cattedra era Disegno dal vero, almeno questo diceva il documento del Provveditorato agli Studi, ma in quella scuola si iniziava a fare della sperimentazione e i colleghi le avevano spiegato che, in realtà, avrebbe dovuto insegnare Educazione Visiva. Educare al linguaggio delle immagini nelle svariate forme in cui esso si manifesta, insegnare della percezione e dei processi della visione, sperimentandoli graficamente, era proprio nelle sue corde, perciò a quell’idea, Irma si era subito entusiasmata, ma partecipare a tutte le riunioni nelle quali si stabilivano le coordinate della nuova disciplina (che sarebbe diventata ufficiale nel 1977) le avrebbe sottratto troppo tempo e lei di tempo non ne aveva. Non ora che era al clou della sua ricerca artistica personale.
In quel frangente della sua vita, Irma preferiva sperimentare, anziché teorizzare. Le interessava il lavoro in classe, non le discussioni. Lo svolgeva con zelo, uno zelo teutonico senza ombra di dubbio, ma anche dettato dall’energia che il creare collettivamente le infondeva, nel corpo a corpo con il disegno.
Irma era convinta che fosse necessario coinvolgere tutto il corpo nel gesto di tracciare un segno: “Io penso che siamo dentro il nostro fare, attraverso il nostro corpo, nel tempo. Il tempo ci accompagna, ma anche noi facciamo lo stesso con lui e, mentre procediamo, ogni accadimento, compresi gli errori, si equilibra, fino a che la vita coincide con un percorso di segni, una via che va dall’inizio alla fine.”
Disegnare, per lei, era come respirare, accompagnava il gesto trattenendo o emettendo il fiato, a seconda che il segno si dirigesse verso destra, o verso sinistra, verso l’alto oppure verso il basso, come fosse un esercizio yoga, quasi una pratica ascetica che coinvolgeva l’intero suo spirito, non soltanto la mente, il braccio e la mano.
«Mi accorgevo che scrivevo ed espiravo. E allora ci ho fatto caso… Ogni segno corrisponde al ritmo della respirazione, cioè scrivere è essere, e vivere. Non c’è più distanza tra il fare ed esistere: si fa perché si esiste. E si esiste facendo», ha dichiarato in un’intervista.
Dopo Monza, Irma avrebbe insegnato ancora per qualche anno al liceo artistico di Brera, in via Hajech, almeno fino a quando la sua carriera artistica glielo avrebbe permesso, con le mostre che iniziavano a susseguirsi a ritmo serrato. Nonostante ciò i riconoscimenti internazionali, purtroppo, avrebbero tardato ad arrivare.
Il suo nome completo era Irmtraud Martha Blank, nata a Celle, a nord est di Hannover, il 24 settembre del 1934, ma da quando si era trasferita in Italia si firmava Irma Blank, più facile da ricordare. La ricerca che aveva scelto di intraprendere era quella sul segno, che doveva significare in sé, in quanto grafema, al di là del suo riferimento concettuale e fonetico.
La corrente a cui le sue opere si ascrivono è quella della Poesia Visiva, afferente all’Arte Concettuale. A partire dalla fine degli anni sessanta, infatti, Irma aveva iniziato a lavorare su calligrafie da lei inventate, private dall’obbligo di un significato, sul crinale che separa (o unisce?) disegno e scrittura, nel comune denominatore del segno. Una “scrittura non verbale”, come l’ha definita lei stessa, fattasi forma per “slittare dalla letteratura alle arti visive”.
Colui che per primo ha intuito il suo talento e che ha sottolineato la singolarità della sua ricerca artistica, definendola “scrittura asemantica” è stato Gillo Dorfles nel 1974, non a caso un filosofo convertitosi alla critica d'arte. Il linguaggio artistico messo a punto da Irma è imparentato con la filosofia, soprattutto con la Fenomenologia nella lezione di Husserl, ci ha spiegato Dorfles. Ma il resto del mondo della critica d’arte l’avrebbe scandalosamente ignorata per anni, così come hanno fatto gli estensori di manuali sull’arte contemporanea, almeno fino al primo decennio del XXI secolo. Quando finalmente il mondo dell’arte si è accorto della sua grandezza e ne ha riconosciuto l’immenso valore, lei era già ultrasettantenne (per la precisione, aveva 77 anni e aveva iniziato ad esporre i suoi lavori quando di anni ne aveva poco più di venti).
A proposito della sua ricerca, così ha dichiarato lei stessa nel 2001:
“Libero la scrittura dal senso e metto in evidenza la struttura, l’ossatura, il segno nudo, il segno come tale che non rimanda ad altro che a sé stesso. Rimanda al serbatoio energetico, alla spinta iniziale, la spinta sorgiva, al desiderio di rivelarsi, di uscire dal luogo della notte, segreto, chiuso. Traccia di pura energia. È la parte portante, la parte perenne, universale, non più legata a nessuna lingua in particolare. Scrittura non verbale, scrittura che rimane in silenzio, verità originaria. La scrittura diventa immagine, manifestazione dell’essere, dell’esser-ci, nell’assolutezza senza forma. Un testo aperto. Un testo per tutti. Per coloro che sanno leggere e per quelli che non sanno leggere. Faccio slittare il testo dalla letteratura alle arti visive. Intanto anche nel mondo che ci circonda l’immagine tende a sostituire la parola.”
I supporti su cui Irma Blank lavorava erano carte, fogli, tele, libri, a volte anche superfici in poliestere e in acciaio inossidabile, e le tecniche da lei impiegate: inchiostro, china, penna biro, serigrafia, e nella stagione del colore, anche pastello, acquerello, olio e acrilico. Dapprima ha sperimentato il rosa e il viola, per poi prediligere, per sempre, il blu, che simboleggia l'infinito e, per lei, anche la scrittura e la determinazione. Ma sopra a tutte le cose, le importava il gesto con il quale tracciare il segno sulla superficie e il tempo che impiegava per farlo, in un corpo a corpo tutto fisico con la necessità di raggiungere, in una sorta di trance, una dimensione spirituale abitata dal silenzio.
Alla fine, i suoi segni sono muti, sono parola tradotta in immagine da percepire con gli occhi. Quello che Irma compie è un percorso che dal suo gesto, attraverso il segno entra nel corpo dello spettatore per il tramite dello sguardo e raggiunge il suo spirito. I suoi segni, insomma, sono essenza pura, pura forma, sono il significato autentico, l’éidos husserliano.
Colpita nel 2016 da un grave problema di salute, Irma Blank ha continuato tenacemente a lavorare (così come un tempo aveva fatto anche Henry Matisse che si legava il pennello alle mani colpite dall’artrite), impiegando solamente il braccio e la mano sinistri.
Oggi, finalmente, la sua opera è tra le più quotate del panorama artistico internazionale e lei è entrata a fare parte del Gotha dell’Arte.
Il suo rigore e la sua determinazione sono stati premiati e con essi il risultato della sua ricerca che, conciliando l’arte visiva con la scrittura liberata dal suo significare, ha conferito loro una dimensione tutta nuova e nuovo senso.
Sue opere sono in permanenza al MART di Rovereto, alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, alla Gam di Torino, al Museo del Novecento di Milano, al Museion di Bolzano, soltanto per citarne alcuni sul nostro territorio nazionale, e molte sono anche in musei in tutto il mondo.
Alla 57° Biennale di Venezia (2017), tra i 120 artisti chiamati a esporre, solamente 6 erano italiani e tra di essi c’era l’ottantatreenne Irma Blank.
Video Vimeo
Un video del 2017 in cui la stessa Irma Blank traccia una genesi del proprio operare artistico.
Maria Luisa Ghianda, La scrittura non verbale di Irma Blank, Doppiozero, 25 maggio 2023.
Riferimenti iconografici:
Irma Blank nel suo studio, Milano, anni Settanta, Courtesy Irma Blank Estate, Milano e P420, Bologna (foto Maria Mulas)
Voce pubblicata nel: 2023
Ultimo aggiornamento: 2023