Giovanna d’Aragona era figlia del conte Ferdinando di Castellana, duca di Montalto, figlio illegittimo di Ferrante I d’Aragona e di Castellana Cardona. Fu una celebrata bellezza del suo tempo come testimonia il bel ritratto, conservato al Louvre, a lungo creduto di mano di Raffaello ora ritenuto un lavoro di bottega. Agostino Nifo le aveva dedicato un trattatello sulla bellezza indicandola come esempio di perfezione fisica. Nel 1521 Giovanna aveva sposato Ascanio Colonna, duca di Paliano, fratello di Vittoria. Il matrimonio fu particolarmente infelice e dopo la nascita del sesto figlio nel 1535 Giovanna si ritirò a vivere a Ischia abbandonando la vita coniugale. Fu un evento di grande importanza che, dato il rango dei due sposi, mise in agitazione la nobiltà italo-spagnola e la corte pontificia coinvolgendo finanche Ignazio de Loyola il quale, su richiesta del Colonna, inviò un suo emissario, il padre Bobadilla, presso la principessa al fine di persuaderla a tornare con il marito. L’inviato non riuscì nel suo intento; anzi, da Marino, dove al momento risiedeva anche Vittoria, Giovanna scrisse a Carlo V per pregarlo di darle i mezzi per poter vivere separata dal marito. Successivi interventi non ebbero esito migliore, lo stesso Ignazio di Loyola si recò a visitare la principessa ad Alvito, dove allora risiedeva. L’intervento del fondatore dei gesuiti ci dà la misura dell’interesse che la questione del matrimonio aveva suscitato. Giovanna resisté a tutte le pressioni, sostenuta in seguito anche dal figlio Marcantonio che ancora giovanissimo godeva già di stima e rispetto generali. Il disaccordo con Ascanio non interferì nell’amicizia tra le cognate che rimase sempre salda, sostenuta anche dai comuni interessi religiosi e spirituali; Giovanna continuò sempre a seguire e gestire la politica familiare come dimostra il suo atteggiamento durante la “guerra del sale”. Nel 1540 un breve di Paolo III aumentava notevolmente il prezzo del sale. Ascanio Colonna si rifiutò di acquistarne al nuovo prezzo, iniziò una contesa che vide Giovanna prendere posizione nell’interesse della famiglia. Da Ischia, dove si era ancora una volta rifugiata con i figli per sfuggire ai dolorosi eccessi di una lotta sempre più aspra, inviò, per mezzo del vescovo dell’isola, una lettera al pontefice al quale chiedeva di tutelare le popolazioni dagli eccessi della sua pur giusta ira. Il vescovo era all’epoca Filippo Gerri che era stato segretario del cardinale Morone. Giovanna indirizzò al papa Paolo III una lettera rispettosa, ma anche ferma e dignitosa. L’epistola è in forma circolare, inizia e finisce con dichiarazione di umiltà e devozione e si sviluppa come una orazione ciceroniana attraverso la quale la scrivente, con il tono umile e rispettoso che la sua posizione le impone, sembra voler ricordare al vicario di Cristo quale debba essere il suo atteggiamento: «Chi serà pio, chi serà misericordioso, se pietà e misericordia non si trovasse in lo erede legitimo possessore de le sacrosante divine chiavi». Nonostante così nobili esortazioni l’ira del papa non si placò e Ascanio rientrò in possesso dei suoi feudi solo dopo la morte di Paolo III. Anche con Paolo IV (Carafa) le ostilità tra i Colonna e il papa non si sopirono, tanto che il papa ordinò a Giovanna di non allontanarsi dalle case di Roma, una sorta di arresti domiciliari con la proibizione assoluta di combinare matrimoni per le figlie, che il pontefice intendeva, forse, riservare ai nipoti. La signora fuggì con le figlie dalla incomoda residenza e si rifugiò a Tagliacozzo, e tornò a Roma solo dopo la morte del papa salutata come trionfatrice dalla popolazione.
La duchessa di Paliano non era nota solo per la sua bellezza ma era anche rispettata per il carattere fermo e per l’alone che le avevano costruito attorno gli umanisti da lei sempre protetti. Se si escludono le lettere non abbiamo conoscenza di opere scritte da Giovanna, ma attraverso quelle che le furono dedicate possiamo valutare la sua presenza attiva come protettrice dei letterati che a lei si rivolgevano. Poco prima delle sua fuga da Roma Girolamo Ruscelli le aveva intitolato una raccolta di poesie che molto probabilmente circolava già per la città, omaggio che di solito veniva reso a personaggi defunti e particolarmente meritevoli: una sorta di tempio da erigere alla memoria.
Certamente la personalità di Giovanna, la sua vita complessa e complicata dalle disavventure coniugali, e dalle contese con ben due pontefici, le avevano guadagnato notorietà, stima e rispetto già in vita, tanto da annoverarla come parte della comunità di letterati e poeti. Ruscelli, che non peccava di falsa modestia, paragonò il suo Tempio a quelli costruiti da Omero per Achille e da Virgilio per Enea. L’anno successivo Giuseppe Betussi pubblicò in Firenze un dialogo fra lui stesso e Ruscelli, il libro è intitolato a Giovanna ed è dedicato alla cognata Vittoria Colonna.
Non solo patrona delle lettere Giovanna fu anche una delle prime persone a sostenere il nuovo ordine dei gesuiti al punto da donare il terreno in Roma, sul quale fu edificato il primo collegio dell’ordine, dove oggi sorge la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale.
Giovanna morì a Roma l’11 settembre 1575.
Agostino Nifo, (Augustini Niphi Medicis), a Ilustrissimam Joannam Aragoniam Tagliacozzi principem De pulchro liber, Romae, ap. A. Bladum a. D. 1591
Giuseppe Betussi, Immagini del tempio della signora donna Giovanna d’Aragona, alla Illustrissima Signora donna Vittoria Colonna, Firenze, Torrentino, 1556
B. Croce, Il “De Pulchro” di Agostino Nifo. In Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, Bari, Laterza 1952
Referenze iconografiche: Raffaello, Ritratto di Giovanna d'Aragona, 1518 circa, Museo del Louvre. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023