Una bella donna bionda dal fisico imponente. Ampio cordiale sorriso. Diana Bracco è nata a Milano (3 luglio 1941), ma le radici sono istriane (“che significa essere determinata, tenace e gran lavoratrice. Insomma, non mollo facilmente”). Erano tre sorelle: Diana, Adriana e Gemma.
Il padre scelse Diana come erede ideale per mandare avanti l’attività di famiglia. La Bracco, per intenderci. Il colosso chimico biomedicale e farmaceutico a capo del quale erano già stati il padre e il nonno. Degli anni del liceo, Diana ha un ricordo significativo
"Il professore di greco e latino, Canesi, preparatissimo. Aveva perso l'uso delle gambe, si muoveva reggendosi con le stampelle. Eravamo alla fine della terza liceo. Mi chiamò per definire il voto con cui ammettermi agli esami di maturità. Dovevo tradurre un testo mai visto, senza l'uso del vocabolario. Che fare? Applicai la ferrea logica e in qualche modo uscii dall'impasse. Canesi mi disse: va bene ti dò 9, ma sappi che nessuno ti darà questo voto all'esame. Aveva voluto premiare la mia volontà di risolvere ad ogni costo il problema."
Dopo il liceo classico, Diana avrebbe voluto iscriversi a medicina, ma il suo futuro di capitana di azienda impose chimica. Su suggerimento di suo padre, si iscrisse dunque a Pavia a Chimica (“una materia complessa che mi appassionò profondamente. A distanza di tanti anni posso dire che quella decisione si è rivelata felice per l’importante supporto che mi ha dato lungo tutto il corso della mia carriera imprenditoriale”).
A Pavia, all’Università, Diana conobbe Roberto de Silva che sarebbe diventato suo marito e in seguito cofondatore del marchio di cosmetici Bracco de Silva. Fu un matrimonio molto felice, fino alla scomparsa di lui (2012). Non ebbero figli.
La storia della famiglia Bracco si intreccia con la storia dell’industria chimica italiana. All’inizio degli anni Venti il nonno Elio lasciò la natia Quarnaro per trasferirsi a Trieste. Associatosi alla ditta tedesca Merck di Darmstadt, si stabilì in seguito a Milano dove, nel 1927, fondò quella che sarebbe diventata l’impresa di famiglia. Il padre di Diana, Fulvio, proseguì gli studi iniziati a Trieste, si iscrisse a Pavia alla facoltà di Chimica e Farmacia, assolvendo contemporaneamente il servizio militare e l’“apprendistato” presso la Merck. Laureatosi, nel 1934 fu assunto e un anno dopo nominato direttore tecnico. Il suo fine era dedicarsi alla ricerca, nella quale aveva sempre creduto. Sotto la sua guida, il gruppo conquistò un ruolo di primo piano nel settore dell'imaging diagnostico, risultando presente, oltre che in Europa, anche in Giappone e negli Stati Uniti tramite joint-ventures e società. Nel 1937 Fulvio Bracco aveva sposato a Milano Anita Coppini conosciuta ai tempi dell’università.
Diana ricorda: “Papà è sempre stato molto severo con sé, però non con le figlie. In verità, l'educazione era affidata alla mamma. Lui usciva presto di casa e rientrava tardi, noi sorelle mangiavano alle 8 in compagnia della mamma e poi via a letto. I genitori cenavano per conto loro. Erano affettuosi, ma rispetto a quelli d'oggi meno espansivi. Però ci sono sempre stati, quando necessario.” Diana Bracco si definisce doverista e grande lavoratrice. "Cresciuta in una famiglia di formazione asburgica ho un fortissimo senso del dovere. È vero che un tempo eravamo tutti mediamente doveristi. Quello che ci chiedevano di fare, facevamo. Se potessi tornare indietro chiederei solo a mio padre di lasciarmi fare più esperienze all’estero. È il consiglio che do a tutti miei giovani nipoti. Andare all’estero apre la mente.”
Vanto della Bracco è di essere una impresa familiare alla quale ogni generazione ha apportato un nuovo tassello: il nonno Elio capì le potenzialità del mercato; il padre Fulvio ebbe il merito di puntare sulla ricerca e di realizzare un’industria integrata, creando nuovi stabilimenti produttivi; Diana ha creduto con forza nell’innovazione e nella internazionalizzazione del Gruppo. “Le imprese familiari hanno una linfa vitale, un’anima diversa. Sono orgogliosa che Bracco, nei suoi 95 anni di storia, abbia dato lavoro a tante generazioni di collaboratori.”
Capitano d’industria a 360 gradi, Diana Bracco, diventata direttore generale nel 1977 dopo anni di dura gavetta, è ora Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo chimico e farmaceutico che, nel 2020, fattura 1,3 miliardi di euro nel campo delle scienze della vita e della diagnostica per immagini.
Il suo curriculum gronda riconoscimenti e titoli: Laurea honoris causa in Farmacia (Università di Pavia) e in Medicina (Università Sacro Cuore di Roma), Cavaliere del Lavoro, Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana, prima e unica donna Presidente di Assolombarda, vicepresidente di Confindustria per R&I. Membro del di Amministrazione dell'Università Bocconi di Milano. Tra gli incarichi istituzionali più prestigiosi quelli di Presidente di Expo 2015 Spa e Commissario Generale del Padiglione Italia. “L’Expo è la cosa più difficile che io abbia fatto. Certo, la burocrazia italiana non aiuta. Ma lì c’era l’idea dell’Albero della vita che trovò molte resistenze e che io lo volli contro tutto e tutti, vincendo tempi di realizzazione strettissimi. È diventato l’icona dell’Expo. Lo considero proprio un mio successo personale. L’Expo è stato il mio maggior impegno e il miglior risultato. Ricordo con gioia e commozione il senso di comunione di intenti che provammo a Parigi in occasione dell’assegnazione dell’Esposizione all’Italia. E ricordo molto bene quel 14 agosto 2015 in cui pioveva a dirotto sull’area dove da lì a pochi mesi sarebbe dovuto sorgere Palazzo Italia. Sembrava irrealizzabile, invece ci siamo riusciti. E lo abbiamo fatto bene. Il fascino che ha Milano adesso, si è creato sulle ali dell’Expo."
Eletta all’unanimità presidente di Federchimica e di Assolombarda (prima donna nella storia delle due associazioni) è in seguito stata scelta da tre presidenti di Confindustria (Antonio d’Amato, Emma Marcegaglia, Giorgio Squinzi) come vice presidente, con la delega per Ricerca & Innovazione. Da anni protagonista della battaglia per la diffusione in Italia della cultura scientifica, per riportare in Italia uno dei tanti cervelli andati a lavorare all’estero ha creato il Premio Felder, una borsa di studio del valore complessivo di 1 milione di euro in 5 anni (lo scienziato Ernest Felder, grande chimico scomparso nell’aprile 2018 a 98 anni, è stato per anni capo della Ricerca di Bracco ).
Strenuo l’impegno di Diana Bracco nel promuovere le donne alle quali raccomanda di “non accettare mai il pregiudizio che vorrebbe le donne meno adatte alle professioni tecnico scientifiche, le cui competenze sono invece sempre più richieste dal mondo del lavoro. La società è dura ad accettare le novità. Pensiamo ai medici, in particolare ai chirurghi, professioni in cui le donne eccellono. Ma spesso bisogna convincere anche il paziente, non solo il primario. So, perché provato di persona, che il ruolo della donna 'in carriera' non è semplice. Ma bisogna guardare sempre avanti”. Proprio per far comprendere l’importanza dell’expertise femminile in settori come Science, Technology, Engineering and Mathematics, percepiti ancora come dominio maschile, il Centro Diagnostico Italiano (fondato da Fulvio Bracco nel 1975, di cui Diana è presidente) ha curato la mostra fotografica di Gerald Bruneau, Una vita da scienziata, ideata a partire dal progetto 100 donne contro gli stereotipi.
Nel 2016 (con l’Osservatorio di Pavia, l’associazione Gi.u.li.a. e la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea) la Fondazione Bracco presieduta da Diana ha lanciato online una banca-dati con cento nomi e cv di esperte di Stem (science, technology, engineering and mathematics), i settori storicamente sottorappresentati dalle donne e al contempo strategici per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese, perché “le donne portano in questi àmbiti novità, freschezza e anima”.
Diana è in prima linea nel sostegno ai giovani. In Bracco hanno un osservatorio privilegiato. “Facciamo selezioni basate sul merito, quindi ci confrontiamo con ragazzi ad alto potenziale. I giovani sono bravi.” Per sostenere le nuove generazioni sono allo studio il progetto pluriennale Diventerò-Fondazione Bracco e, a Baranzate, periferia multietnica di Milano, un progetto di integrazione e di lotta alla povertà educativa.
Le origini marinare della famiglia Bracco hanno trasmesso a Diana una forte passione. La catena di capitani di mare si spezzò quando il bisnonno, che percorreva l'Adriatico trasportando le merci dall'Austria verso il Sud della Dalmazia fu sorpreso da una tempesta. Allora ci si imbarcava ignari del meteo e il bisnonno perse la nave. Tornò sulla sua isola di Lussinpiccolo, vicino a Pola e si ritrovò sconsolato a lavorare in Comune. Anziano, comprò una barca a vela che chiamò Chérie. Partiva da Fiumicino, e quando gli chiedevano dove volesse andare, rispondeva sempre "basta che si vada per mare.” Anche Diana si era “fatta” una barca: uno yacht di 40 metri, if Only, considerato una barca d’epoca. Nel 2017 scoppiò a bordo un incendio e il natante, fortunatamente evacuato dall’equipaggio, si inabissò a settecento metri di profondità. Sta sul fondo del mare, come la nave del bisnonno.
Imprenditrice illuminata, Diana Bracco è anche una mecenate che non rinuncia a coltivare le sue personali inclinazioni: per l’arte in tutte le sue forme, i libri, la pittura ma soprattutto la musica e l’opera lirica. È stata membro del Consiglio di Amministrazione della Filarmonica della Scala di Milano e dal 2012 è nel Consiglio di Amministrazione dell'Accademia della Scala e del Museo Poldi Pezzoli. È stata la prima italiana nella storia ad essere chiamata a far parte del Trustee’s Council della National Gallery of Art di Washington (2011-2015). “Mi sforzo sempre di trovare il tempo per visitare una mostra o andare a un concerto alla Scala. Da mio padre ho imparato che non bisogna dimenticare di essere una persona completa. Nelle mie giornate e nei viaggi di lavoro mantengo sempre viva la curiosità e l’interesse per la cultura. Anche l'anima deve essere nutrita. Negli anni, Bracco ha sostenuto progetti molto belli come il restauro del grande organo storico del Duomo di Milano al quale abbiamo subito aderito perché ci sentiamo profondamente milanesi.”
Nonostante la nostalgia per la terra (e il mare!) istriani (“in casa si parlava dialetto milanese e istriano”) i Bracco si sono integrati perfettamente nella realtà lombarda (“Milano ha accolto la mia famiglia e ci ha dato moltissimo: sento un dovere di restituzione”). Un tocco di frivolezza dell’imprenditrice Diana Bracco: le spille. Ne possiede una collezione imponente. Ma “non sono tutte vere – si affretta a precisare – Tante sono bigiotteria. Alla mostra di Caravaggio, mi ha colpito un orecchino di Giuditta e Oloferne. Si vede una perla agganciata all'orecchio con un nastrino nero. Io già mi immagino quel nastrino in smalto. Me lo farò fare dal gioielliere di fiducia. È nella vecchia Milano. Ci andava anche mia mamma”.
Infine, una passione segreta, ma non troppo: la piccola Azienda Agricola del Botolo, sulle collina di Nizza Monferrato, creata dal marito Roberto de Silva, originario di lì. 13 ettari di vigneti nel cuore della produzione di vini di qualità che hanno dato fama all’Italia. “Una terra incredibile lavorata dovunque dall’uomo con fatica, un filare dopo l’altro, per chilometri di colline soleggiate e meravigliose. Quando mio marito è mancato, mi è parso naturale occuparmi in prima persona del Botolo…”
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2020