Dal 1989 in Germania è stata avviata la rivalutazione di Elfriede Wächtler, oggi unanimemente riconosciuta come esponente di spicco dell’Espressionismo. Le sue opere furono bandite dal nazismo e l’artista stessa, catalogata come schizofrenica, finì in camera a gas.

La pittrice era nata negli ultimi mesi del diciannovesimo secolo in una famiglia benestante e manifestò molto presto grande passione per la pittura. Il padre riteneva disdicevole il mestiere di artista, ma Elfriede gli si ribellò con forza: a sedici anni andò a vivere per conto proprio, cambiò il proprio nome in Nikolaus, adottò un abbigliamento e un taglio di capelli da uomo e si iscrisse alla Scuola d’Arte di Dresda; qui frequentò dal 1915 il corso di moda, poi dal 1916 il corso di grafica applicata. Praticò diverse tecniche artigianali e il batik, pagandosi con piccoli lavori da illustratrice la prosecuzione degli studi in Accademia.

Alla fine della prima guerra mondiale la Germania era devastata economicamente, socialmente e politicamente. Questa situazione diede luogo alla rivoluzione di novembre, che segnò l’abdicazione del Kaiser e portò alla proclamazione della Repubblica di Weimar. Le tensioni e le rivendicazioni rivoluzionarie però vennero fortemente ridimensionate dai socialdemocratici al governo. Il conflitto con il neonato partito comunista, fondato da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, nel gennaio 1919 fece esplodere un’altra breve rivoluzione che fu repressa nel sangue. La vicenda si chiuse con almeno 200 morti e l’uccisione clandestina di Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht, personalità troppo autorevoli con cui il governo non era stato in grado di confrontarsi altrimenti. A pochi mesi da questi fatti la Repubblica votò la prima Costituzione democratica della Germania, ma le violenze appena trascorse avevano ferito profondamente la società tedesca.

Pur se in modo faticoso e contrastato, l’economia del Paese si trasformò da fondamentalmente agricola in urbana; l’obiettivo della modernizzazione coinvolse tutti gli ambiti, dall’architettura alla pianificazione pubblica, alla medicina e alle libertà sociali. Furono gli anni d’oro della cultura e delle arti in Germania, prima che i nazisti salissero al potere nel 1933.
Le donne ottennero di votare e si affermò la cultura della Neue Frau, la Donna Nuova desiderosa di libertà e uguaglianza.

Numerose artiste si organizzarono in associazioni decise a valorizzare la propria identità di genere, arrivando a produrre opere audaci e pionieristiche: ad Hannover, per esempio, emersero Hannah Höch, Lotte Laserstein, Jeanne Mammen, Margarete (Grete) Jurgens, Gerta Overbeck-Schenk. Esse divennero figure d’avanguardia, in polemica contro l’accademismo; anche Elfriede aderì alla Secessione di Dresda (movimento sorto nel 1918), frequentando Otto Dix, Conrad Felixmüller e Otto Griebel; in seguito si avvicinò al movimento Dada.

Gli anni dell’istruzione artistica furono per Elfriede Wächtler anche quelli della formazione politica e sociale. Pittori e scultori non riuscivano a vivere di sola arte, ma condividevano le condizioni del proletariato. Lavoravano nelle fabbriche e negli uffici e dipingevano la sera. Elfriede era particolarmente interessata al tema del lavoro, perciò nei primi anni Venti trascorse un periodo presso la cava Schockenbach a Wehlen, dove insieme ad altri artisti si dedicò a ritrarre l’ambiente e la vita degli operai.

A Wehlen la pittrice conobbe anche il cantante lirico Kurt Lohse, con il quale si sposò tempo dopo, poco più che ventenne; il matrimonio però fu particolarmente infelice. Nel 1925 la coppia si trasferì ad Amburgo, città libera che con la sua vivacità conquistò letteralmente la pittrice. Qui Elfriede entrò in contatto con la filantropa femminista Ida Dehmel, che aveva fondato tra il 1926 e il 1927 una comunità di sole artiste, la Lega delle Associazioni di Artiste di Tutti i Generi (GEDOK); a questo movimento aderirono artiste come Käthe Kollwitz, Renée Sintenis e Ricarda Huch; nel ’33 i nazisti avrebbero esautorato da questo ruolo Dehmel, per le sue origini ebraiche. A partire dal 1927 Elfriede divenne protagonista attiva della Lega e contribuì all’organizzazione di numerosi eventi con scopi artistici e sociali; nel frattempo approfondiva le proprie scelte tematiche centrate sulle donne più oppresse e marginalizzate e partecipava a diverse mostre, soprattutto quelle espressioniste di Nuova Oggettività.

Per quanto positiva e prolifica fosse la sua attività artistica, Elfriede dovette affrontare continui affanni: lo stato di indigenza e le continue infedeltà del marito la condussero a un esaurimento nervoso, tanto che nel 1929 l’artista fu ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Klein-Friedrichsberg. Durante la degenza Elfriede ritrasse con grande intensità espressiva le altre pazienti, interpretando il loro stato di miseria e solitudine attraverso forme contorte e colori violenti; le cosiddette Teste di Friedrichsberg colpirono favorevolmente i critici dell’epoca, che assimilarono l’autrice a Grosz, Kokoschka e Schiele. Ma la sua arte incontrò l’intolleranza nazista, che stava distruggendo molte opere espressioniste e costringendo diversi autori all’espatrio.

L’ascesa del nazionalsocialismo coincide con un graduale peggioramento della vita privata di Elfriede. Lasciato il marito, la pittrice dovette rientrare in famiglia, torturandosi ulteriormente alle prese con i vecchi conflitti: nel 1932 le sue crisi convinsero il padre ad internare la figlia nell'ospedale psichiatrico di Arnsdorf, che la definì incurabile e vietò alla famiglia le visite; l’arte rimaneva per Elfriede l’unico rifugio. Nel frattempo il nazismo introdusse nel 1933 la Legge per la Prevenzione della Prole con malattie ereditarie, che autorizzava la sterilizzazione coatta dei disagiati mentali; nel 1935, nonostante le sue proteste e quelle della famiglia, fu la volta dell’artista, che da questo momento cessò di sperare nel futuro e di dipingere. Nel 1939 la Cancelleria del Führer - che eseguiva le disposizioni di Hitler indipendentemente dallo Stato e dal Governo - avviò il Progetto di Action T4; questa operazione fu presentata come una campagna di miglioramento genetico e comprese l’istituzione di luoghi di cura per disabili, dove invece fu attuata la soppressione dei bambini e degli adulti con handicap; la loro morte veniva giustificata alle famiglie attraverso false certificazioni. Elfriede fu sottoposta per circa un anno ad una dieta ipocalorica che la debilitò gravemente; non potendo più lavorare venne messa a morte a luglio del 1940 nel castello di Pirna-Sonnenstein, in Sassonia; il suo decesso fu registrato come dovuto a polmonite con insufficienza cardiaca e parecchi suoi lavori furono distrutti come esempi di arte degenerata. Il numero enorme di eliminazioni suscitò nell’opinione pubblica sospetti e polemiche tali da convincere i vertici ad interrompere l’operazione.

Nel 1929 la critica aveva assimilato in modo generico Elfriede agli Espressionisti, senza cogliere alcune caratteristiche fondamentali che distinguevano il linguaggio artistico dei colleghi maschi da quello che invece lei condivideva con altre attiviste, come Gerta Overbeck. Il rifiuto per gli stereotipi riguardanti le donne di strada, per esempio, accomuna le due pittrici: mentre molti colleghi cedevano ambiguamente al tono beffardo e pruriginoso che la tradizione aveva sempre riservato a questo tema, Elfriede e Gerta non emettevano giudizi ma mostravano unicamente la realtà umana dei loro soggetti, senza moralismi. La prima con il Ritratto di Lissy e la seconda con la rappresentazione di una prostituta che acquista un irrigatore vaginale - a quel tempo uno degli anticoncezionali più usati – descrivono queste donne semplicemente mentre vivono la propria condizione.

Anche il metodo distingueva Elfriede rispetto ai colleghi: questi adottavano un sistema classificatorio che identificava dei tipi umani, utilizzandolo per criticare ferocemente le classi dirigenti; invece la pittrice non costruiva dei campionari ma considerava ogni persona per le sue caratteristiche autonome, e rivolgeva preferibilmente la sua attenzione agli emarginati e in particolare alle donne che vivevano nelle condizioni di maggiore sfruttamento, considerandole con rispetto. Come Otto Dix e George Grosz anche Elfriede raccontava la realtà con linguaggio spietato e crudo; ma rivolgeva ai suoi soggetti uno sguardo empatico, perché dalla stessa realtà e dai suoi orrori si sentiva altrettanto oppressa.

Dalla fine del secolo nei confronti di Elfriede Wächtler si è acceso molto interesse, che si è tradotto in numerosi studi. A lei sono state dedicate esposizioni, pubblicazioni, conferenze, opere teatrali; esiste anche un film per la regia di Valerie Ry Andersen. Ad Arnsdorf le è stata dedicata una casa di cura, varie città tedesche le hanno intitolato delle strade e a Dresda si trova una pietra d’inciampo a suo nome.



Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024