Era il 4 agosto 1917 quando davanti al Tribunale Militare della Spezia comparve un gruppo di donne delle frazioni a monte di Massa accusate di reato per avere, “fatto manifestazione ed emesso grida sediziose quali 'vogliamo a casa i nostri mariti', 'non vogliamo la guerra' e simili” nella frazione di Canevara, nel maggio dello stesso anno. Si aprì un’indagine che portò sul banco degli imputati le donne sediziose, identificate come promotrici della ribellione.
E così Laurina De Angeli classe 1892 di Anselmo e Chiarina Antognoli (Casette), Olivia De Angeli classe 1884 di Antonio e Rachele Giannetti (Casette), Pierina Isola classe 1889 di Primo e Severina Aschieri (Forno), Amabile Alberti classe 1888 di Paolo e Cesira Vivoli (Forno), Elena Alberti classe 1886 di Massimiliano e Teresa Conti (Forno), Gilda Fruzzetti classe 1890 di Francesco e Luigia Balloni (Forno), Ermelinda Conti classe 1898 di Angelo e di NN (Forno), Ernesta Alberti classe 1895 di Modesto e Maria Alberti, (Forno), Giannina Vivoli classe 1884 di Almiro e Vittoria Fruzzetti (Forno), Maria Michelucci classe 1885 di Pietro e Angela Fruzzetti (Forno), tutte incensurate tranne Amabile Alberti – condannata più volte a piede libero – finirono sul banco degli imputati del Tribunale di Guerra di La Spezia.
Nella sentenza del tribunale si legge che il giudice non ritenne raggiunta la prova della loro reità. Infatti, le accusate non avevano il proposito di emettere grida per le strade ma di unirsi, a Massa, ad altre donne per una manifestazione pubblica davanti la Prefettura. Il gruppo venne raggiunto dai Carabinieri mentre si recava a Massa e, ai consigli bonari di tornare a casa, le donne rispondevano che non volevano la guerra, che volevano i loro mariti a casa o che almeno fosse aumentato loro il sussidio. Poiché le accusate si trovavano in prossimità della frazione di Canevara le parole pronunciate ad alta voce, secondo i Carabinieri Reali, avrebbero potuto esercitare influenza sui residenti. E così scattarono le denunce e le indagini per le sovversive.
La clemenza del giudizio si può anche attribuire al fatto che le donne non fossero considerate soggetti politici per cui ogni forma di protesta era percepita come qualcosa di irrazionale e punibile con maggior leggerezza. Questo importante documento storico dimostra il coraggio di queste donne, che scesero in strada, in prima linea, per gridare il proprio “no” deciso alla guerra.
Ho parlato di questa storia con una persona speciale, Ernesta (classe 1912), figlia di Amabile Alberti, l’unica sussidiata, all’epoca dei fatti, ad essere pregiudicata e condannata altre volte a piede libero. Ernesta è un anello di congiunzione tra la generazione femminile della prima e della seconda guerra mondiale.
Era una donna straordinaria, mia mamma. Era come un uomo, dico, per il temperamento forte e fiero, ma generosa come solo una donna può essere. Me la ricordo bene mia mamma... quando per le strade del paese riuniva gruppi di donne per discutere sul da farsi per portare avanti la protesta contro la guerra. Lei era, come dire, la 'capa'. Era lei che andava avanti. E le altre la seguivano. Cosa pretendeva il Re? Le donne volevano i loro uomini a casa e avevano ragione. Come fa una donna a volere la guerra? È normale che sia contro, ci sono i figli di mezzo. E mia mamma era una battagliera, ma per le cose giuste. È nelle piazze e nelle strade di Forno che si formò il primo nucleo di quelle donne che gridavano no alla guerra e che poi raggiunsero in corteo la Prefettura. Per quello furono processate.
Me la ricordo bene mia mamma... quando per le strade del paese riuniva gruppi di donne per discutere sul da farsi per portare avanti la protesta contro la guerra. Lei era, come dire, la 'capa'. Era lei che andava avanti. E le altre la seguivano. Cosa pretendeva il Re? Le donne volevano i loro uomini a casa e avevano ragione. Come fa una donna a volere la guerra? È normale che sia contro, ci sono i figli di mezzo. E mia mamma era una battagliera, ma per le cose giuste. È nelle piazze e nelle strade di Forno che si formò il primo nucleo di quelle donne che gridavano no alla guerra e che poi raggiunsero in corteo la Prefettura. Per quello furono processate.
Amabile non fu processata solo per quel fatto. Ricorda Ernesta:
So che era stata coinvolta in altre questioni e aveva avuto a che fare più volte con giudici e tribunali. Perché era un tipo che non sopportava le ingiustizie e le angherie. E si esponeva, non aveva paura di nessuno. Per esempio, fu tra le promotrici degli scioperi alla Filanda, proprio nei primi anni del Novecento. E organizzò manifestazioni in paese contro gli orari disumani a cui erano sottoposte le compagne del cotonificio. Si dice che furono alzate persino le verghe della tranvia che passava nella strada. Lavoravano dodici ore al giorno in quella fabbrica, senza considerare che a casa avevano i figli. Mia madre era una donna sana e forte e aveva allattato non so quanti bambini. Insomma, aveva fatto anche la nutrice, per guadagnare qualcosa. Glieli portavano lassù, alla Filanda, tra un turno e l’altro. E la sera, quando tornava a casa, dopo la giornata di lavoro, allattava i suoi figli. Sette ne aveva messi al mondo, tra cui due gemelli che morirono.
Ernesta va avanti e descrive lo spirito indomabile che animava sua madre: di notte cuciva, le piaceva cantare gli stornelli e amava molto le tradizioni.
Amabile fu protagonista anche di un’altra vicenda: liberò dalla prigionia alcune ragazze, tra cui sua figlia, in quanto accusate di aver rubato macchine per cucire dentro la Filanda di Forno quando era in mano alla Marina Militare di La Spezia (1942). Alcune donne, dopo la chiusura della fabbrica di cotone, avevano avuto l’opportunità di lavorare per i marinai: cucivano giacche, pantaloni, attaccavano bottoni. E nel periodo in cui si recavano alla Filanda, misteriosamente sparirono alcune macchine da cucito. Così le giovani lavoratrici finirono sotto accusa, arrestate dalle guardie e condotte nel carcere del Castello Malaspina. Fu Amabile che una sera decise di scuotere la popolazione di Forno e scovare la verità. Come piace ricordare a Ernesta, sua madre “era di lingua buona”: percorse vicoli e piazzette urlando con quanto fiato aveva in gola: “Chi ha preso le macchine deve tirarle fuori altrimenti le ragazze prigioniere al Castello Malaspina saranno uccise. Sono ragazze innocenti e sappiamo che le macchine sono nascoste qui, in paese”. Urlò fino a notte inoltrata. E all’indomani, le macchine da cucito erano tutte in strada. Ottenne così la liberazione di quelle giovani lavoratrici che avevano rischiato la vita per un’accusa infondata.
Su proposta degli studenti del Liceo Classico Pellegrino Rossi di Massa una via della città (l'attuale via del Monco) sarà presto intitolata ad Amabile Alberti 1.
Voce pubblicata nel: 2016
Ultimo aggiornamento: 2023