Una vita strettamente intrecciata alla storia della psicanalisi junghiana in Italia, fin dai suoi inizi, tanto da restituircene i passaggi cruciali e i principali eventi. Una pioniera, così la ricordano. La prima in Italia a svolgere la terapia analitica con i bambini; la prima a interrogarsi sul nesso fra femminilità e psicologia analitica, a riproporre la questione della differenza nella teoria e nella prassi analitica, non dal di fuori ma attenta partecipe del movimento delle donne e del femminismo nella lunga stagione degli anni ’70-’80.
Il percorso per giungere alla professione di analista era stato “lungo e tortuoso”, denso di momenti difficili e passaggi decisivi. Raccontando gli anni della sua formazione, riconosce: «volevo caparbiamente affermare le mie scelte e i miei bisogni, poter seguire la strada che credevo giusta» (1996). Sono stati tratti distintivi della sua personalità, l’esigenza di essere in contatto con i problemi sociali, la prontezza nel cogliere i segni del nuovo e il valore attribuito a esperienze collettive, per lei base di nuove idee e di slanci operativi. Ne trasse la forza di sostenere critiche e contrasti, il coraggio di vivere il conflitto in difesa dei suoi principi e dei suoi progetti innovativi.
Il padre Roberto Gambino, noto avvocato civilista, unico libero professionista in una famiglia di funzionari dello stato. Nato a Palermo nel 1886, si era trasferito a Roma insieme alla moglie Evelina Tocco, già incinta di Mariella, nel 1919. Mariella aveva 6 anni quando nasce l’amato fratello, Antonio (1926-2009), che diventerà uno dei più noti e rigorosi esperti di politica estera della stampa italiana, anche lui appassionato di psicoanalisi.
Nell’autobiografia, purtroppo incompiuta e conservata dalle figlie Marzia e Sabina insieme ai suoi libri, scritti e pubblicazioni, lunghe e vivide pagine raccontano di un’adolescenza, che trascorre in un ambiente borghese, benestante, colto e protetto. «Noi ragazzi vivevamo in modo assai inconsapevole. La nostra principale occupazione era studiare ed essere bravi a scuola. Del mondo esterno alla vita familiare conoscevamo ben poco e, anche se talora ci giungeva voce di qualche arresto o invio al confino, nessuno, nella gran parte dei casi, ci diceva certe cose: i fratelli Rosselli uccisi, il napalm in Abissinia, le stragi in Spagna. Si poteva, dunque, far finta che nulla di grave accadesse».
Tutto cambia a partire dal 1938. Il 15 luglio inizia la campagna razzista e antisemita del fascismo italiano. Il 23 agosto, la perdita improvvisa della madre che muore di una crisi asmatica, nel Grand Hotel di Riccione, all'età di 45 anni. Mariella, allora diciottenne, assume il ruolo di “organizzatrice familiare” a fianco del padre. Poi i lunghi anni bui della guerra e dell’occupazione tedesca di Roma: nella sua casa a Piazza Borghese vivono nascosti una ragazza ebrea, Elena Camiz, e un ragazzo renitente alla leva; lei unisce al lavoro familiare l’esperienza di crocerossina al Policlinico e l’impegno nel portare avanti gli studi presso la Facoltà di Lettere, dove si laurea in Storia delle religioni nel 1945.
«La guerra incalzava, non solo come dato ideologico, ma anche come realtà angosciosa. Di fronte ai feriti, ai dispersi, alla mancanza sempre più pesante di ogni mezzo di sussistenza, c'era poco spazio per occuparsi di ogni cosa che non fosse immediata. Poi, la fine della guerra portò con sé un momento di ubriacante euforia. Era scoppiata in tutti una fame divorante di qualsiasi informazione culturale» (1996).
È in questo clima di ritrovata libertà, di totale rottura con la cultura pietrificata del fascismo, che inizia la diffusione della psicoanalisi freudiana e di quella junghiana e che avviene il suo primo incontro con Ernest Bernhard, figura fondatrice delle scuole di psicologia analitica in Italia.
Bernhard, un medico pediatra costretto a fuggire dalla Berlino di Hitler a causa delle persecuzioni antisemite, era giunto in Italia con la moglie Dora nel 1936. Appena finita la guerra, scelta Roma come sua dimora, attiva la prima scuola informale di psicologia analitica. Diviene il “maestro” di un gruppo di giovani, tra i quali Mariella, che con fervore neofita si raccolgono intorno a lui: sarà la prima generazione di analisti junghiani.
«Volevamo un mondo nuovo e tale era quello che la psicoanalisi ci proponeva: una diversa chiave di lettura dei fatti e dei sentimenti; una rottura con un certo modo di vivere convenzionale e con la cultura cattolica collettiva in cui tutti, bene o male, eravamo sommersi, e di cui ora scorgevamo i limiti, perfino con troppo rigore; una ricerca della propria individualità. Tutto questo naturalmente con molta ingenuità e entusiasmo. Entrare in analisi fu per molti di noi un passo necessario sulla strada di una crescente autonomia, di un’uscita dal mondo dei genitori, pieno di rigide regole ancora ottocentesche, o quasi. L’analisi fu insomma in qualche modo - così credevamo - il genitore perfetto». (Pagine autobiografiche)
Nell’estate del 1948, pochi mesi dopo il matrimonio con Vincenzo Loriga – uno dei primi giovani a formarsi allo Jung Institut di Zurigo – inizia l’analisi con Bernhard, subito complicata dall’essere Mariella «poco incline ad accettarne gli atteggiamenti mistici», in difficoltà nel sostenere il peso del carisma del maestro. Il training prosegue, su consiglio dello stesso Ernest, con Dora. Questo fu un incontro felice, “fondamentale” per la sua vita personale e di futura analista.
Nel 1952, insieme alla piccola Marzia nata un anno prima, raggiunge il marito a Zurigo, dove prosegue i suoi studi con Carl Alfred Meier, successore di Jung all’Istituto, e con Walter Zublin, psichiatra infantile. Nel 1955, poco dopo la nascita della seconda figlia, Sabina, la separazione da Vincenzo e la partenza con le figlie per Ivrea, dove Adriano Olivetti l’aveva chiamata a dirigere l’asilo-nido aziendale.
«Il momento in cui mi ritrovai sola con me stessa e con le mie figlie a decidere della nostra vita fu di estrema importanza» scrive nei suoi Ricordi di Ivrea (1982), raccontando lo sconcerto in cui aveva lasciato parenti e amici e quanto nel nuovo ambiente e nella stessa azienda risultasse inusuale «la vita di una donna che volesse seguire la sua strada personale», quanto complicato fosse quel quotidiano convivere con un mondo fatto di uomini e gestito tutto da uomini.
In quegli anni, faticosi e stimolanti, realizza il progetto di una vera casa a misura dei bambini - l’asilo di Villa Casana - mentre prosegue il percorso di perfezionamento in psicologia infantile, recandosi regolarmente a Berna dove Zublin lavorava. Nel 1961 il rapporto con l’Olivetti si interrompe bruscamente per un conflitto con la direzione aziendale. Il 28 settembre 1961, conclusa la sua formazione di analista, si trasferisce a Milano ed entra, come membro candidato, nell’AIPA (Associazione Italiana di Psicologia Analitica) fondata da Bernard l’anno prima.
Milano, col suo fervore riformista, lo sguardo rivolto all’Europa, le iniziative sociali e politiche innovatrici e progressiste a confronto con il resto del paese, è la città fatta per lei: risponde bene all’esigenza di mettere in pratica la sua passione civile e politica. L’impegno nella professione non le impedisce l’esperienza di organizzare dal 1962 al ‘64 i servizi sociali per l'infanzia della società Italsider a Genova, di assumere nei due anni successivi la responsabilità del servizio di aggiornamento culturale del Programma IARD (Milano), diretto dal prof. Aldo Visalberghi. E per un lungo periodo, dal 1976 al 1990, di impegnarsi come giudice onorario (giudice civilista e penalista) del Tribunale per i minorenni di Milano.
Dal 1966 è membro ordinario dell’AIPA, dal ‘67 dell'International Association of Analytical Psychology (IAAP). Dal 1974: analista didatta, membro del Comitato di direzione della «Rivista di Psicologia Analitica», la prima in questo campo, e socia della Società Italiana di Psicologia Scientifica (SIPS). Nel ’75 contribuisce in modo determinante alla nascita del C.A.P (Comitato di training) e poi della sezione dell’AIPA di Milano. Dal 1977 fa parte del Comitato direttivo del «Giornale Storico di Psicologia Dinamica». Dal 1982 al 1989 è responsabile della sezione milanese per la formazione di nuovi analisti.
Questa sua intensa attività, quasi una dedizione, per l’istituzionalizzazione della psicologia analitica non è stato affatto mossa da spirito ortodosso: l’intreccio è sempre a maglie larghe, per dare spazio a rapporti e scambi con esponenti della scuola freudiana e di altre scuole. Nel 1970, insieme a Paolo Tranchina, Teresa Corsi e altri, fonda il Centro di Psicologia clinica di Milano, dove fino al 1982 partecipa ai gruppi di supervisione analitica diretti da due figure importanti nella storia della psicoanalisi, Gaetano Benedetti e Johannes Cremerius. Rivolge il suo interesse anche nel lavoro psicologico di gruppo seguendo il metodo “Balint”: «Visto dalla parte dell'analista, mi sembra che il lavoro di gruppo presenti tematiche e spunti sempre nuovi e diversi, che metta a fuoco con particolare evidenza certe problematiche di rapporto; e consenta inoltre quell'apertura nel sociale che è uno dei punti critici del nostro lavoro di analisti» (1977).
Infine il suo impegno nei movimenti delle donne e femminili: in particolare due esperienze per lei del tutto nuove. Un gruppo terapeutico di sole pazienti donne, giovani impegnate nel movimento, che intendevano comprendere punti nodali della loro vita emersi nella pratica dell’autocoscienza. Lei come analista era spinta dal desiderio/bisogno di trovare un modo di lavorare nel femminismo, perché la sua adesione non restasse ideologica e culturale, senza una diretta incisione nel sociale (1977).
Un sentimento “misto di curiosità e quasi di sfida” la portano a partecipare, nella primavera del 1979 a una serie di trasmissioni a Radiotre sul tema “Donne e psicoanalisi”, parte di un programma più vasto ideato e condotto da Licia Conte “Noi, voi, loro, donna”. La trasmissione spazierà da problemi che riguardano le diverse tappe della vita delle donne, all’esame di patologie tipicamente femminili e anche ai motivi per i quali le donne vanno in analisi e perché di preferenza da donne. L’intento era «toccare tanti punti diversi, sollevare dubbi, tentare di mettere in crisi qualche situazione statica, di scuotere qualche certezza». L’attirava la possibilità di un lavoro collettivo, ascoltare voci di donne fuori dal setting, rivolgersi a tutti, per parlare dell’esistere problematico delle donne, dire la loro diversità che lei riassumeva nell’essere la loro vita costellata di risa e pianti. «Non che gli uomini non avrebbero altrettanti motivi di ridere e piangere, ma sappiamo anche che hanno una maggiore difficoltà a mostrare i loro sentimenti» (1980).
Vivo, pieno di affetto e gratitudine, è in me il ricordo di lei. E quello della sua casa, aperta, allegra, accogliente, dove si sono ritrovati per tanti anni, decenni, gli amici e gli amici degli amici, suoi e di Sabina e Marzia. Tra i più assidui, negli ultimi tempi: Johannes Cremerius, Cori e Fabio Ranchetti, Grazia Livi, Alessandro e Anna Pizzorno,Cini Boeri, Alfonso Beria D’argentine, Giovanni Rapelli, Marco e Billa Zanuso, Marcello e Stefania Flores D'Arcais, Nicoletta Gentili, Paolo Inghilleri, Pepe e Rosalba Giolitti, Sisa Biadene, Armando Sandretti. Serate indimenticabili.
M. Loriga Gambino, L'identità e la differenza, Milano, Bompiani 1980
M. Loriga Gambino, Ricordi di Ivrea. Una carriera femminile alla Olivetti, Memoria. Rivista di storia delle donne, 6,1982
M. Loriga Gambino, Trasformazioni della psicologia femminile nella società attuale, in AA.VV., Presenza ed eredità culturale di C.G. Jung, Cortina, Milano 1987
M. Loriga Gambino, La psicoterapia infantile, in A. Carotenuto (a cura di), Trattato di psicologia analitica, Utet, Torino 1992, vol. II
M. Loriga Gambino (a cura di), Il mio primo incontro con Bernhard, Rivista di Psicologia Analitica, 54, 1996
Referenze iconografiche: immagine concessa dalla famiglia Loriga.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023