«Ho pensato spesso di essere la donna più intelligente che sia mai esistita… 400 milioni di persone dipendono dal mio giudizio», così disse di sé l’imperatrice cinese Tzu Hsi, almeno secondo quanto riferito dalla Principessa Der Ling, in Two Years In The Forbidden City (1911).
Di sicuro Tzu Hsi è stata una delle donne più straordinarie degli ultimi tre secoli, erede, per determinazione e spietatezza, di un’altra sovrana del Celeste Impero, Wu Zetian, salita sul trono nel 690 d.C. e ideatrice della polizia politica oltre che della casta dei mandarini. La critica storica è sempre stata compatta nell’addebitare a Tzu Hsi tutte le sventure patite dalla Cina nel secondo Ottocento. La si è giudicata un’usurpatrice, di presunta origine manciù e quindi “straniera”, ma soprattutto una donna ambiziosa. Colpevole di aver capito troppo tardi di dover modernizzare l’impero. Ma la pessima fama di cui Tzu Hsi gode in Occidente deriva soprattutto da un menzognero libro di memorie, China under the Empress Dowager, scritto nel 1910 da Edmund Backhouse, un americano dai traffici loschi, che visse a lungo in Cina.
Studi recenti indicano che nacque a Xipo, vicino alla città di Beicheng, nella provincia dello Shanxi. La famiglia originaria era forse di contadini cinesi di etnia Han, gli Wang, e la bambina si chiamava Xiaoqian. La mamma morì prestissimo e la futura Tzu Hsi, allora di quattro anni, fu venduta dal padre all’agricoltore Song Siyuan, del vicino villaggio di Shangqin. A 12 anni fu rivenduta al prefetto della città di Lu’an, l’ufficiale manciù Huizheng, che da sempre viene considerato il suo vero padre, anche perché, pur avendola comprata come serva, le si affezionò, l’adottò e le offrì il suo status sociale, dandole il nome di Yulan.
All’epoca sulla Cina regnava la dinastia Manciù, in origine una stirpe di nomadi della Manciuria, la regione a nord-est dell’Impero. Una leggenda narra che ancora adolescente Tzu Hsi si innamorò di un comandante dei portavessilli manciù, Jung Lu, e decise di sposarlo. La sua bellezza attrasse però l’attenzione degli alti funzionari di corte e a 16 anni, nel settembre 1851, la ragazza fu chiamata a corte per partecipare, con altre 58 fanciulle, a una sorta di concorso per diventare una delle concubine del nuovo imperatore Hsien Feng o Xianfeng. Solo le ragazze manciù potevano prendervi parte: la selezione venne affidata alla Prima concubina vedova Kangci. Tzu Hsi si trasferì nella Città Proibita, o in quell’anno, o, secondo altre fonti, nel giugno del 1852.
Il 14 giugno 1853 Tzu Hsi venne ribattezzata Lan, concubina di quinto rango, il più basso. Tra il dicembre del 1854 e il gennaio 1855, salì però di rango e fu rinominata Yi. Nell’agosto del 1855, l’imperatore la promosse ancora, chiamandola Pin. La motivazione ufficiale fu la commemorazione della morte della matrigna dell’imperatore, la vedova di Daoguang, che si era occupata della selezione delle concubine. Nove mesi dopo, il 27 aprile 1856, Tzu Hsi partorì un bambino, Tung Chih o Tongzhi, il solo figlio maschio dell’imperatore Xianfeng sopravvissuto all’infanzia. Ciò le valse il nome di Guifei, concubina di secondo rango. Da qui cominciò la sua inarrestabile ascesa. In realtà l’imperatore aveva perso interesse nei suoi confronti e si era innamorato di un’altra ragazza, Li, la quale avrebbe pagato caro l’affetto del sovrano: Tzu Hsi l’avrebbe fatta scomparire appena nominata imperatrice.
Hsien Feng morì il 22 agosto 1861 a trent’anni, al termine della Seconda guerra dell’oppio, con cui la Cina fu piegata al volere delle potenze europee. Sua moglie, Ci’an, un’ex ancella diventata concubina e poi, dal 1852, imperatrice dopo la morte della prima consorte del sovrano, non gli aveva dato figli. Così Tongzhi, il figlio di Tzu Hsi, un bambino di soli cinque anni, fu proclamato imperatore. Solo allora la sua mamma prese il nome di Tzu Hsi che significa “Materna e propizia”.
Ci’an e Tzu Hsi,divengono le due donne più importanti dell’impero, si accordarono per assumere una reggenza congiunta. Alcuni nobili e influenti funzionari di corte cercarono di opporsi. Le signore si erano però assicurate per tempo i loro alleati, uno dei quali era il fratello di Hsien Feng, il principe Gong. Anche gli ufficiali si schierarono dalla parte delle vedove. Con il loro aiuto, le imperatrici attuarono un vero colpo di Stato, il golpe di Xinyou.
Tzu Hsi fu proclamata non solo Sacra madre ma anche Imperatrice vedova, titolo che, a rigore, spettava solo a Ci’an. In compenso, Ci’an ebbe l’appellativo di Imperatrice madre, e questo, nella complicata liturgia cinese dei nomi, le dava un leggero vantaggio gerarchico su Tzu Hsi. In un primo momento, le due imperatrici cercarono di dividersi la scena. E di farsi accettare come sovrane: il protocollo prevedeva, per esempio che, in quanto donne, dovessero assistere alle udienze dietro a una tenda. Nel 1869 Ci’an, che in genere si occupava molto poco di politica e lasciava fare a Tzu Hsi, prese una decisione che le sarebbe costata cara: fece condannare a morte per corruzione An Dehai, il più temuto degli eunuchi di corte. Tzu Hsi, che l’aveva mandato in missione, non glielo perdonò.
Il 12 gennaio 1875 morì il giovane imperatore Tongzhi, seguito dopo pochi mesi dalla sua sposa, forse incinta, Alute, suicida o, come si sospettò, “suicidata” da Tzu Hsi. Cresciuto nel palazzo come un prigioniero, Tongzhi era arrivato al potere solo nel 1872. Al suo nome è legata la fase di politica conservatrice chiamata la “Restaurazione di Tongzhi”. Tongzhi, dedito all’alcol e al sesso, fu ucciso dalla sifilide. La madre lo pianse ma, infrangendo le regole di corte, che volevano una sola generazione di differenza tra un imperatore e l’altro, impose il nipote Guangxu, un bambino di tre anni adottandolo, questo le permise, sempre con Ci’an, di riassumere la reggenza. Il bambino fragile in salute fu posto sul trono il 25 febbraio 1875 e anche quando, nel 1887, Guangxu raggiunse la maggiore età, chiese ufficialmente alla madre adottiva di prolungare la sua reggenza fino al 1889.
In teoria l’imperatrice si ritirò allora dalla politica attiva e dalla Città Proibita. In pratica, invece, si circondò di una efficace rete di spie e mantenne il controllo. Dalla parte di Tzu Hsi si schierò il padre del nuovo imperatore, il principe Chun, che la stimava e al tempo stesso la temeva. Nel 1885 la reggente l’aveva nominato controllore dell’Ammiragliato, una carica che gli affidava la gestione dei fondi destinati alla Marina. Negli anni successivi, anziché utilizzare i soldi pubblici per riammodernare la flotta, Chun li dirottò sui lavori di restauro e abbellimento del Palazzo d’Estate, abitato da Tzu Hsi. Morì all’inizio del 1891, e ciò rese impossibile metterlo sotto accusa quando, durante la guerra cino-giapponese del 1894-95, la flotta cinese rivelò tutte le carenze e subì umilianti sconfitte.
Tzu Hsi, però, non imparò la lezione perché, nel 1895, anziché usare i fondi pubblici per ricostruire la flotta, utilizzò una cifra astronomica per festeggiare il suo sessantesimo compleanno. Per evitare che una qualsiasi mossa dell’imperatore Guangxu sfuggisse al suo controllo, Tzu Hsi lo fece sposare, il 22 febbraio 1889, con la figlia di suo fratello, Xiaoding Jing Longyu. Il giovane imperatore la detestò da subito e non a torto: la donna si prestò sempre a fare la spia per Tzu Hsi.
In ogni caso Guangxu si lasciò guidare dall’imperatrice, in perenne soggezione e bisogno di approvazione e consiglio. Nel giugno del 1898, però, avviò quella che fu poi battezzata la Riforma dei cento giorni, un tentativo di adeguare l’impero ai cambiamenti che coinvolgevano non solo l’Europa e l’America ma anche il Giappone, l’India, la Russia. A questo tentativo Tzu Hsi, che pure in teoria non si era opposta alla costruzione delle ferrovie e delle fabbriche né all’uso delle armi e delle tecniche militari occidentali, rispose con un colpo di Stato, il 21 settembre 1898, con l’aiuto degli ufficiali anziani. Guangxu, informato, decise di difendersi facendo affidamento su un generale tanto moderno quanto doppiogiochista: Yuan Shikai, capo dell’Esercito di Nuova costituzione. Tzu Hsi si scelse invece come campione Rong Lu, capo delle forze armate della Cina settentrionale e governatore generale dello Zhili. Guangxu fu privato di tutti i titoli, del potere e dei privilegi, i suoi amici furono mandati in esilio o giustiziati. Ufficialmente rimase sul trono, ma fu rinchiuso fino alla morte su un’isoletta che sorgeva nella Città Proibita. Il 26 settembre, con un editto, Tzu Hsi annullò le riforme dei Cento giorni. Subito dopo si trovò a far fronte alla rivolta dei Boxer, una setta ferocemente antioccidentale e anticristiana, con una solida formazione in arti marziali. La rivolta si diffuse nel 1899. All’inizio Tzu Hsi emanò due editti per proteggere i missionari cristiani ed evitare incidenti. Poi cambiò strategia:la corte fu per mesi paralizzata tra la fazione di Tzu Hsi, che simpatizzava per i Boxer, e quella dell’imperatore deposto che intendeva annientarli.
Il 14 agosto un esercito internazionale, composto dai soldati di otto nazioni, raggiunse Pechino: la città fu saccheggiata. La Russia approfittò del caos per occupare la Manciuria. Tzu Hsi fuggì in abiti civili a Xi’An, portandosi dietro Guangxu. Il trattato di pace al quale fu costretta era umiliante e imponeva anche una pesante indennità di guerra. I capi della rivolta e i funzionari che li avevano appoggiati furono, su imposizione degli occidentali, mandati a morte o puniti. Pechino rimase sotto occupazione straniera per più di un anno. Ma, come incapace di comprendere i suoi gravi errori politici, il 29 gennaio 1901 Tzu Hsi, ancora rifugiata a Xi’an, emanò un editto nel quale imputava tutti i problemi della Cina al povero Guangxu e ai suoi funzionari. Con un voltafaccia radicale chiese anche l’adozione delle tecnologie moderne e delle strutture di governo europee. Ma soprattutto invitò i funzionari di grado superiore ad avanzare proposte di riforme. Come spesso è accaduto in Cina, si lavorò subito e alacremente all’attuazione del piano. Nel febbraio del 1902 fu promulgato un decreto contro la fasciatura dei piedi delle bambine. Nel 1906 un nuovo decreto proibì l’uso dell’oppio. Insomma, l’ultimo periodo di Tzu Hsi fu fertile di riforme.
Il 14 novembre 1908 Guangxu morì. Il giorno dopo Tzu Hsi annunciò il nome del successore, individuato in precedenza, tanto che si sospettò che Guangxu fosse stato avvelenato. L’imperatrice, che si sentiva a sua volta in fin di vita per via di un ictus, aveva scelto il piccolo Puyi, passato alla storia come l’ultimo imperatore cinese. Il bambino era il figlio maggiore del secondo principe Chun, fratellastro dell’imperatore Guangxu. Tzu Hsi morì quello stesso giorno, il 15 novembre 1908, tra l’una e le tre del pomeriggio. Il suo funerale costò il triplo di quello di Guangxu. Tzu Hsi lasciò un’immensa fortuna personale, circa 22 milioni di sterline in verghe d’oro e d’argento. Con un ultimo gesto di malizia, dispose che la reggenza non passasse più a una donna.
Mauro Pascalis, L’orchidea che divenne imperatrice, Frammenti d’Oriente n. 3, 1/1998, periodico di CentrOriente, Torino
Katherine Augusta Carl, With The Empress Dowager Of China, Kessinger Publishing, Montana, maggio 2004. (L’autrice era una pittrice americana che ritrasse Tzu Hsi nel 1903 e pubblicò la sua memorie della corte cinese nel 1905)
Der Ling, Two Years In The Forbidden City, Kessinger Publishing, Montana, 2004 (è il diario scritto nel 1911 dalla principessa Der Ling, per due anni prima dama di camera dell’imperatrice e poi, dal 1907, sposa di un americano, Thaddeus C. White) (Link)
Valeria Palumbo, La perfidia delle donne, Bur 2006
Referenze iconografiche: Tzu Hsi nel 1890. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023