Tandem venit amor, qualem texisse pudore quam nudasse alicui sit mihi fama magis. Exorata meis illum Cytherea Camenis attulit in nostrum deposuitque sinum. Exsolvit promissa Venus: mea gaudia narret, dicetur si quis non habuisse sua. Non ego signatis quicquam mandare tabellis, me legat ut nemo quam meus ante, velim, sed peccasse iuvat, vultus componere famae taedet: cum digno digna fuisse ferar. 1
Come è noto, la storia dei manoscritti tibulliani ha rivelato la presenza di materiale poetico che va ben oltre i lasciti di Tibullo. All’interno del Corpus Tibullianum, erroneamente per secoli attribuito all’autore elegiaco, si trova una raccolta di opere appartenenti a diversi autori, tra cui i componimenti del I secolo a.C. di una poetessa romana inizialmente ritenuta solamente una voce narrante, una persona poetica, di Tibullo. Eccezion fatta per i suoi stessi componimenti, infatti, nessun altro testo antico fa riferimento al suo nome o alla sua produzione poetica 2.
Soltanto nell’Ottocento, Sulpicia è stata riconosciuta come poetessa ma il suo riconoscimento ha comportato anche una valutazione peggiorativa dello stile elegiaco dei suoi componimenti: il suo linguaggio non era più considerato di raffinata eleganza tibulliana, quanto piuttosto un “latino femminile” 3. Persino in anni più recenti, autorevoli classicisti hanno fortemente negato l’esistenza della poetessa romana a favore di una chiara autorialità maschile 4.
L'affermazione di Sulpicia come autrice ha comportato quindi due passi distinti: identificarla come figura storica e riconoscerla come poetessa. Si è trattato di lavori di tipo storico-sociale e prosopografico, oltre che di studi di tipo letterario sulla sintassi e sul linguaggio nel tentativo di valorizzarne l’ars poetica. Queste ricerche si sono basate soprattutto sui testi poetici di Sulpicia e ne hanno ricostruito una ipotetica appartenenza all'aristocrazia romana, con un'essenziale connessione familiare con il mecenate Messalla. Questo rapporto le avrebbe garantito un più facile accesso all'istruzione e ne avrebbe favorito il rapporto con i poeti (Tibullo, Orazio e Ovidio) cui il patrono era legato.
Sulpicia è stata identificata come nipote di Servio Sulpicio Rufo (cons. nel 51 a.C.) e di Postumia in quanto figlia dell’omonimo Rufo e di Valeria, sorella di Messalla 5. Queste congetture si basano sui suoi testi stessi: l’elegia 3.14 in cui si riferisce a Messalla e la 3.16 dove si presenta come figlia di Servio. È stato quindi suggerito che alla morte del padre Sulpicia sia stata accolta dal parente maschio più vicino, Messalla, fratello della madre Valeria. Questa relazione giustificherebbe il ruolo autoritario e decisionale del patrono nei confronti di Sulpicia nell’opera 3.14, in cui la poetessa viene costretta a spostarsi lontano da Roma per volere di Messalla.
Se è ragionevole aspettarsi un elemento di realtà dai poemi elegiaci, tuttavia in questo genere poetico la realtà è soprattutto costruzione letteraria e, in linea con quanto fanno Properzio, Tibullo e Ovidio nei loro componimenti, Sulpicia si presenta come il soggetto della narrazione. Come altri poeti contemporanei, l'autrice sottolinea non tanto la sua filiazione, quanto l'importanza sociale del suo status (allo stesso modo, Ovidio fornisce a chi legge il proprio background sociale in relazione alla sua scelta di essere un poeta elegiaco).
Questi dispositivi letterari sono, infatti, orientati a costruire una percezione della realtà piuttosto che a rivelare effettive informazioni biografiche; le invocazioni ai patroni, molto comuni nella letteratura contemporanea, sono in sostanza uno stratagemma poetico per aumentare la "realtà" del poema attraverso la presenza di figure storiche reali e per affermare la persona stessa dell'artista all’interno di un’apprezzata nicchia letteraria 6. Anche il legame con Messalla può essere letto dunque nella stessa prospettiva. Interpretare la relazione con il patrono letterario in termini esclusivamente familiari minimizza il ruolo dell’autrice all’interno del panorama poetico romano.
Così come l’interesse storico-sociale nei confronti di Sulpicia ha messo in secondo piano l’attenzione per gli strumenti letterari utilizzati dalla stessa poetessa, anche gli studi di tipo testuale hanno contribuito, in parte, a sottovalutare il peso del suo corpo poetico. Nel tentativo di dimostrare le sue capacità elegiache, il dibattito accademico si è concentrato infatti su una parte limitata del corpus attribuibile a Sulpicia.
È communis opinio che i testi da ascriverle siano solamente sei brevi epigrammi e che le rimanenti poesie del ciclo (cinque in totale), più lunghe e più convenzionali rispetto al genere elegiaco, siano da attribuire a una pseudo-Sulpicia e/o ad un anonimo “amico”. Nonostante nessuno dubiti della capacità artistica di Properzio o Catullo nel comporre brevi epigrammi così come testi più lunghi e complessi, sembra invece difficile immaginare una simile abilità da parte di una donna 7. Questo approccio ha determinato una divisione del corpus dei testi su/di Sulpicia e un’attenzione maggiore per gli epigrammi rispetto alle elegie pseudo-Sulpiciane.
Come pochissime altre studiose in materia, ritengo invece possibile che tutti i componimenti su e di Sulpicia presenti nel terzo manoscritto “Tibulliano” possano risultare da un’unica mano, proprio quella di una poetessa 8. Le mie argomentazioni, presentate in altre sedi, a favore dell'uniformità del ciclo si basano sulla coerenza della persona creata dall'autrice, incentrata principalmente sui suoi interessi poetici e sulla trattazione peculiare di alcuni tropi dell’elegia.
Leggendo Sulpicia al di là dello stereotipo secondo cui alcune composizioni riflettono semplicemente le pene d’amore tra una donna e il suo amante e usando tra l’altro le stesse lenti adoperate per la tradizione elegiaca maschile, è possibile rintracciare un'attenzione prettamente letteraria (mascherata dall’erotico) in tutto il ciclo degli undici componimenti. Tutti i testi confrontano e utilizzano infatti riferimenti letterari di tipo metapoetico con particolare attenzione all’epica, al teatro, alla lirica greca e ovviamente all’elegia latina.
Ne emerge una figura chiaramente presente sul e dialogante con il panorama artistico contemporaneo e che afferma in maniera unica la propria maternità poetica. La descrizione del corpo della persona di Sulpicia è indistinguibile dal suo corpus letterario e la riproduzione sessuale è generatrice di produzione poetica.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, nessuna interpretazione e nessuno studio, per quanto approfondito, potranno mai chiudere in maniera definitiva il dibattito accademico in merito all’autorialità del ciclo Sulpiciano. Ma è bene ammettere che la storia della tradizione manoscritta e il dibattito accademico già esistente e dominante influenzano il mondo in cui concepiamo l’autorialità (o la diamo per assunta).
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Voce pubblicata nel: 2022
Ultimo aggiornamento: 2023