Incontro Roberta nella sua casa in un oliveto argentato che guarda il mare; lì a fianco c’è il suo studio, dove regna un gatto gigante di 4 metri di altezza: è la commissione di un artista internazionale su cui sta lavorando. Oltre a realizzare sculture proprie, Roberta infatti riproduce dal bozzetto di uno scultore-committente su scala “monumentale”. Ingrandire il bozzetto è sempre stato appannaggio dei “maestri artigiani”, fin dal Cinquecento e non si conosce nessuna altra donna che abbia fatto questo “mestiere”.
Nel suo laboratorio non c’è traccia di pantografo, mi spiega, “quando faccio un ingrandimento devo essere ancora più rigorosa nella copia e cerco di leggere tra le righe dell'artista il progetto dell’artista”.
Dal bozzetto in generale fa l’ingrandimento, calcola altezza, larghezza e profondità e si appresta a lavorare sull’armatura che rappresenta a suo avviso il 60-70% della scultura, poi lo passa al formatore. “Devi avere una capacità tecnica per riconoscere qualcosa che è nell'altro e tirarlo fuori”.
Utilizza marmo, legno, terracotta ingobbiata, malta policroma, resina, bronzo, ceramica karakul, li cambia, si misura continuamente con ogni materiale, compreso, ed è un lavoro recente, il das. Nel 1995 ha diretto i lavori per un grande lavoro di restauro per il Convent of the Holy Infant Jesus in Singapore. Chiamata a recuperare 600 capitelli in malta, malridotti, fatti di stucco e pasta di conchiglie, Roberta ha sperimentato materiali compatibili con la materia originaria, ma adatti a durare nel tempo.
Nel 1967 si è diplomata all’istituto d’arte e nel 1971 all’Accademia di belle arti di Carrara: voleva fare la scultrice in marmo. Ma aveva solo 21 anni e non poteva vivere della sua scultura. Nel 1972 conosce, al bar, Sem Ghilardini, un grande maestro artigiano che dopo qualche scambio di battute la invita immediatamente a lavorare nel suo studio. Negli anni Settanta lo Studio Sem scultori associati era un riferimento: “La gente veniva a Pietrasanta da tutto il mondo con l'indirizzo di Sem e di Esther in tasca” dice Roberta; “Esther Lapointe era una donna straordinaria, anche lei scultrice, nel 1975 cominciò a lavorare con Sem e fece tanto per rendere famosa la cittadina toscana”. Pietrasanta era infatti la meta di tanti scultori del mondo, per la tradizione – sono pur qui le cave che furono di Michelangelo – che per la grande professionalità delle maestranze artigiane locali. Un piccolo centro di provincia, dove la scultura era, ed è, la protagonista assoluta. Da lì passano Sorens, Adam, Mormorelli, Giglioli, Moore, Caravan, Lipscitz.
Roberta in quegli anni di grande fermento lavora il marmo come assistente di Sem, impara e incontra altri artisti. Presto le propongono un lavoro a New York, e mentre è in attesa della carta per andare, Fleming, scultore danese, le commissiona il suo primo lavoro retribuito. Così inizia a ingrandire i bozzetti, e questo le consente di mantenersi. La sua vita si alterna quindi tra lavori commissionati da artisti in qualità di artigiana e lavori di scultura in veste di artista. In questa vita Roberta concilia, faticosamente ma anche felicemente, una importante zona critica: è un pregiudizio diffuso che vuole tenere distinti il mondo dell’artigiano e quello dell’artista e che si ripercuote pesantemente nella definizione di un proprio ruolo: “Se sei fuori casta, nella tua devi stare” “Ma un tempo – sono parole sue - invece nei laboratori c’era una moltitudine di saperi, i ruoli venivano sottoposti a turnazione in modo che tu potessi conoscere e apprendere tutte le fasi della scultura, oggi c’è una specializzazione: o fai il cerista o fai il formatore o l'ingranditore”. La specializzazione conduce non alla visione di insieme del processo scultoreo, ma piuttosto alla parcellizzazione dei processi che sottendono invece proprio il lavoro artistico.
Di questa doppia figura di artista e artigiana in Roberta si apprezzano il valore e l'importanza che lei attribuisce allo stile. Stile è anche rinuncia, rinuncia alla propria ricerca personale e dedizione alla scultura di altri, lasciando una traccia di sé nell'opera; stile è anche miglioramento continuo delle proprie capacità tecniche nell'uso di materiali diversi e improbabili nell'universo delle forme plastiche, non esclusivamente scultoree, come confermano i suoi oggetti artistici di arredo. Stile è anche resistere alle voci che ti vogliono spezzare le energie che metti nel tuo lavoro artistico anche quando fai un lavoro per altri, perché “artigiano significa etimologicamente fare il lavoro con arte”. Roberta ha l'energia fisica e mentale necessarie ad affrontare la scultura, e quel “fattore fisico” non è da sottovalutare, perché ha pregiudicato forse idealmente, ancor prima che materialmente, la pratica della scultura alle donne: ogni pane di creta pesa 25 kg, le armature sono spesso difficilmente removibili. Tutto questo non l'ha mai spaventata.
E sarà per questa originaria diffidenza che gli artisti stranieri sono stati i primi ad apprezzarla: fra la prima mostra personale ad Aspen (Colorado, 1976) e la prima personale italiana a Pietrasanta (1999), insieme a Folon, passano più di vent’anni. Dopodichè il curriculum si arricchisce delle esperienze e degli incontri più diversi; e anche di riconoscimenti, tra i quali voglio ricordare la medaglia di bronzo al Salon de Paris 1991 e il primo premio alla esposizione internazionale di scultura in Avignone 1992.
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Donna Scultura, Comune di Pietrasanta - Assessorato alla Cultura, 2003.
Referenze iconografiche: immagini gentilmente concesse da Roberta Giovannini Onniboni.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023