Sono sempre stata all’avanguardia, almeno come pensiero 1
Regina nasce il 21 maggio 1894 a Mede Lomellina in provincia di Pavia e svolge la sua formazione artistica fra Milano, diplomandosi all’Accademia di Brera, e Torino, presso lo scultore Giovanni Alloati. Vive soprattutto a Milano, dove si trasferisce nel 1921, ad eccezione di un breve soggiorno a Parigi nel 1937 e a un periodo più lungo a Tirano in Valtellina, dal 1942 alla fine della guerra, dopo aver rifiutato di partecipare alla Biennale di Venezia, per non piegarsi alle restrizioni di orientamento fascista.
Non amava raccontare la sua vita. Atteniamoci dunque al suo carattere riservato per scoprire Regina come autrice, attraverso il suo lavoro artistico, la critica e la storia dell’arte, le parole del marito Luigi, pittore figurativo con il quale espose qualche volta, come pure dei suoi amici, come Vanni Scheiwiller e Gaetano Fermani 2.
Anche la sua produzione va in parte immaginata. Non concedeva il suo lavoro a sguardi che non avrebbero potuto capirlo; non ha realizzato multipli nel timore che l’opera potesse sfuggirle di mano e si teneva lontana da ogni possibile ripetizione meccanica o seriale. Lavorava e sperimentava tantissimo ma, quando lo riteneva sensato, distruggeva le sue opere e di alcune di esse ci restano soltanto delle descrizioni. Fu accolta senza riserve in un mondo prevalentemente maschile, dapprima fra i Futuristi e poi, nel secondo dopoguerra, dal MAC (Movimento Arte Concreta) di Milano. Il suo pensiero era protettivo nei confronti dell’atto creativo ma aperto e inventivo; mostrava interesse per la vita della città, con una curiosità a trecentosessanta gradi, per i nuovi materiali, la moda ma anche per le scoperte scientifiche, come pure per la musica e la natura, da cui era attratta fin da quando era bambina. Seguiva con partecipazione le più diverse espressioni dell’avanguardia internazionale, perfino in anni di chiusura e ripiegamento, come testimonia la sua ricchissima biblioteca. 3
Poetiche e leggere, nate da gesti antiplastici che ricordano i lavori a cucito e l’ambiente domestico, le sue figurine in lamierina - incisa, intagliata o lavorata a sbalzo - sono accompagnate da schizzi e bozzetti con carte tenute insieme da spilli, come veri e propri cartamodelli da imbastire. Il suo è un mondo atipico nel panorama della scultura alle soglie degli anni Trenta, ma al tempo stesso esprime una tensione verso il rinnovamento del linguaggio artistico che desta interesse in Edoardo Persico, il primo a notare nel suo lavoro con materiali insoliti alcune potenzialità evocative e linguistiche di grande modernità4.
Dal 1932 al 1940 l’artista partecipa alle mostre del Movimento Futurista e su invito di Fillia e Marinetti aderisce al gruppo, come unica scultrice. Durante l’intero decennio partecipa alle Biennali di Venezia e si occupa anche di teatro, scenografia e cinema5.
Come Bruno Munari, che condividerà con lei anche l’esperienza del MAC, la sua poetica si tiene lontana da ogni forma di retorica 6.
Dopo la guerra, il suo percorso rimane aperto alla sperimentazione e all’uso di materiali inusuali, come filo di ferro, plexiglas e vetro; la sua produzione si evolve per moto proprio dalle ricerche precedenti. Libera da formalismi e coraggiosa come sempre, Regina esplora le tante vie dell’astrazione che caratterizzavano il dibattito internazionale sulle arti visive. La natura e le forme organiche sono spesso il punto di partenza, come rivelano anche i titoli delle sue opere, ma ben presto l’interesse per la costruzione e lo sviluppo dell’opera nello spazio e nella percezione dello spettatore prende il sopravvento. L’adesione al MAC, la vede partecipe alle attività del gruppo e attenta interprete degli esperimenti di sintesi delle arti promosse anche in collaborazione con il movimento francese Espace7.
In seguito non aderisce ad altri gruppi ma non smette di guardare al mondo che la circonda per lasciarsi ispirare, come nelle opere dedicate agli astronauti o in quelle più genericamente chiamate Struttura, ma anche nel disegno su carta attraverso cui dà spazio ai suoi molteplici interessi 8.
L’ampia retrospettiva organizzata dalla Galleria d’arte moderna di Bergamo nel 2021 fa il punto degli studi, a partire dalla storica monografia del 1971 di Vanni Scheiwiller che ha costituito il testo di partenza per la riscoperta dell’autrice9.
Dalla metà degli anni Settanta, grazie anche all’interesse per le esperienze femminili in campo artistico da parte della cultura femminista, Regina viene inserita in alcuni studi di genere riguardanti il “secondo” Futurismo 10.
Si trattò di presenze sparse, senza contatti, e mai di un gruppo, eppure - come ricorda Lea Vergine nel suo L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 - ebbero un ruolo anticipatore incontestabile per quei processi di emancipazione che si sarebbero manifestati molto più tardi. Regina dovette trovarsi gli spazi e i modi per lavorare ed essere riconosciuta in un ambiente sociale tutt’altro che favorevole11.
Fu la prima scultrice italiana d’avanguardia e gli anni più studiati sono sicuramente quelli del Futurismo ma molti aspetti del suo lavoro anche successivo meritano ancora di essere presi in considerazione. Regina è stata accolta nella grande mostra che il Centre Pompidou di Parigi e il Guggenheim di Bilbao hanno dedicato, fra il 2021 e il 2022, alle numerose donne che hanno praticato il linguaggio dell’astrazione12.
Anche la Biennale di Venezia del 2022 ha presentato alcune sue opere mentre per promuovere la ricerca è stato aperto l’Archivio Regina Cassolo Bracchi di Milano 13.
In un’epoca come la nostra così lontana dal pensiero avanguardistico, studiare l’opera di Regina significa contribuire alla memoria e alla mappatura di una parte dell’arte italiana del Novecento caratterizzata da una tensione progettuale diversificata e pienamente inserita nella società del tempo. Inoltre, oggi Regina ci appare interessantissima anche per il suo approccio al linguaggio in senso lato, rivolto alle relazioni fra parole, immagini e suoni. Il suo contributo, sicuramente alimentato dall’esperienza del Futurismo, dopo i lavori incentrati sul mondo dei non vedenti (Il paese del cieco, 1935), si spinge verso esiti di vera e propria poesia visiva nella serie di disegni e collage dedicata al suono delle campane (1963), o nelle tavole incentrate sulla resa grafica del linguaggio del canarino (1967), che affascinarono anche un cibernetico come Silvio Ceccato e un etologo come Danilo Mainardi14.
Il linguaggio è stato oggetto di indagine di molte neoavanguardie concettuali ma anche in questo caso Regina è anticipatrice e si distingue per sapersi inoltrare in territori sinestetici con grande leggerezza, capace di stupirci in tutti i sensi e con tutti i sensi.
Vanni Scheiwiller, Regina. Con il manifesto tecnico dell’aeroplastica futurista, Milano, All’insegna del Pesce d’Oro, 1971 Luciano Caramel (a cura di), Regina, Milano, Electa, 1991 Paolo Sacchini, Regina. Dagli esordi al Secondo Futurismo, Verona, Scripta edizioni, 2013 Lorenzo Giusti (a cura di ), Regina Cassolo Bracchi, Parigi-Bergamo, Éditions du Centre Pompidou e GAMeC Books, 2021
Voce pubblicata nel: 2024