Nelle pieghe dei manuali di letteratura compare di rado, relegata in un angolo, Petronilla Paolini Massimi, poeta e scrittrice attiva tra la fine del 1600 e gli inizi del secolo successivo. Conosciuta anche come Fidalma Partenide nell'ambiente arcadico, Petronilla è un'artigiana delle lettere, considerata in molte occasioni una femminista ante-litteram, in grado di riconoscere le sfide e le violenze che le donne affrontano nella società.

Petronilla Paolini nacque la Vigilia di Natale del 1663 a Tagliacozzo, come testimoniato dalla sua Fede di Battesimo, e come lei stessa afferma nella sua autobiografia.
La poesia fu la passione di Petronilla fin dall'infanzia, ma la sua vita prese una svolta drammatica dopo l'assassinio del padre. Fu l’unica erede di tutti i possedimenti paterni, ma essendo giovanissima e donna, fu presto maritata per preservare la dote minacciata dal fratello del padre. All’età di dieci anni, grazie ad un permesso speciale di papa Clemente X, sposa Francesco Massimi, uomo d’armi di ventisei anni più vecchio, cugino del pontefice e vicino alla casata dei Colonna, forse i mandanti dell’assassinio del padre date le loro mire nei confronti dei possedimenti della famiglia Paolini.

Il marito, castellano di Castel Sant'Angelo, era geloso e violento, e testardo nel privare Petronilla di ogni libertà e bene. La differenza d’età e di vedute rese presto il loro rapporto una mera farsa, tenuto in piedi dai costumi del tempo e dai figli, tre; il primo nato quando la nostra aveva sedici anni (1679).
In questo stesso periodo ebbe modo di conoscere Cristina di Svezia, che di Petronilla avrà grande stima.

Nel 1693, dopo anni di soprusi, e dopo esser stata privata dal marito anche della penna e del calamaio, decise di abbandonare il tetto coniugale con la scusa di andare ad assistere la madre oramai malata ed inferma. In questo spiraglio di libertà, intentò causa di separazione al marito, richiedendo indietro la ricca dote, ma la Sacra Rota, nonostante le clausole matrimoniali lo prevedessero, non accordò a Petronilla la restituzione della sua dote, ma le diede almeno la possibilità di andarsene.

Questo le diede libertà di poter scrivere, tanto che nel 1694 aderì all’Accademia degli Infecondi di Roma. Nello stesso anno compose anche due canzoni autobiografiche: Quando dall’urne oscure e Spieghi le chiome irate. In entrambi i testi emerge l’avversione del destino e della fortuna nei suoi confronti, e il dolore della perdita, proprio in quell’anno, del suo secondogenito. Le difficoltà di esser madre e donna fanno da contraltare alla forza stoica che è intrisa nella sua femminilità: "Temprato alle sventure eroico petto" affermerà nella lirica Quando dall’urne oscure.

Dopo la morte del marito nel 1707, ritrovò finalmente la libertà e la pace, riavvicinandosi serenamente agli studi e riallacciando i rapporti con i suoi figli. In questo clima favorevole e di tranquillità relativa compone il suo testo più celebre: Sdegna Clorinda ai femminili uffici (1709). Il sonetto contiene una sintesi delle sue riflessioni sul ruolo della donna, che terminano con la consapevolezza che non è stata la natura (i fati) a porre le donne in una condizione di inferiorità, ma l’uomo, che attraverso la sua tirannia ha sistematicamente privato la donna delle sue qualità (i doni).

[...]
So ben che i fati a noi guerra non fanno,
né i suoi doni contende a noi natura:
sol del nostro valor l'uomo è tiranno
.

Petronilla si distingue per la sua innovazione tematica. Rifiuta i tradizionali motivi bucolico-pastorali dell'Arcadia e abbraccia una poesia di stampo religioso-spirituale. Nel suo approccio, l'amore è quasi assente, il che rappresenta una rottura rispetto alla tradizione.

Petronilla trascorse i suoi ultimi anni di vita nel convento dello Spirito Santo, a Roma, quello in cui aveva studiato da ragazza, e dove morì nel 1726.

Le opere di Petronilla sono presenti in diverse edizioni dell'Arcadia, ma la poeta è stata a lungo dimenticata per via della doppia censura che ha dovuto subire. La prima è quella sistematica del canone, la seconda è di carattere familiare: i Massimi, infatti, reputavano infamante che appartenesse alla propria famiglia una donna che, attraverso la scrittura, aveva messo a nudo le private vicende familiari. Cercarono quindi di far scomparire il nome di Petronilla.

La critica moderna, partendo dal saggio su di lei di Benedetto Croce del 1949, ha cominciato a riconoscere il suo valore. Nonostante ciò, la sua figura ha conosciuto una vera rivalutazione solo recentemente grazie agli studi di Natalia Costa-Zalessow, Michela Violante, Bianca Di Matteo, Antonella Gamberoni e Francesca Valletta.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Petronilla Paolini

Di Matteo, B., Arcadia al femminile: Vita e opere di Petronilla Paolini Massimi, Casa Editrice Rocco Carabba, Lanciano, 2017

Paolini, P. a cura di Gamberoni, A. & Valletta F., Vita della Marchesa Petronilla Paolini Massimi da sé medesima descritta li 15 agosto 1703, Edizioni Kirke, Avezzano, 2022




Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2024