Ortensia fu un’avvocata, una delle colte ed eloquenti donne romane che presero parola pubblica nei tribunali e nel Foro in età repubblicana, nel I secolo a.C. Non c’erano infatti all’epoca norme che escludessero esplicitamente le donne da queste attività, ma il tradizionale mos maiorum dava per scontato questo divieto. Accanto a lei, si ricordano anche Mesia Sentinate e Caia Afrania, che si difesero personalmente coi loro discorsi di fronte ai pretori. Ortensia era figlia del noto oratore Quinto Ortensio Ortalo (console nel 69 a.C., rivale di Cicerone, esponente dell’oratoria detta “asiana”) e di Lutatia, sua prima moglie. Possiamo collocare la nascita della bambina intorno agli anni 80 a.C. Figlia amata e stimata, Ortensia ebbe un’accurata educazione culturale e letteraria e come il padre si dedicò all’oratoria. Sposò, quasi certamente, Quinto Servilio Cepione da cui ebbe una figlia, Servilia.
Il suo capolavoro fu un’orazione tenuta con successo nel 42 a.C, quando i triumviri (Ottaviano che fu poi Augusto, Antonio e Lepido), impegnati nelle guerre civili contro gli uccisori di Cesare, chiesero a 1.400 matrone romane di contribuire alle spese militari con una tassa proporzionata ai loro patrimoni personali, prevedendo sanzioni per le dichiarazioni false: un fatto riportato tra l’altro nelle Guerre civili di Appiano di Alessandria (4, 32-34). Ce ne parla anche Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium libri IX 8, 3) ed è interessante notare nel suo testo l’espressione “ordo matronarum” ( cioè “la categoria sociale delle matrone”), perché testimonia l’importanza economica assunta da queste donne, che avevano accesso a forme di eredità, e la loro capacità di agire come gruppo organizzato. Non era la prima volta che, a Roma, le donne (soprattutto quelle di condizione più elevata) si mobilitavano in modo compatto: già nel 195 a.C. con veri e propri sit-in erano riuscite a far abrogare la “legge Oppia”, che limitava fortemente la loro possibilità di tenere gioielli e beni preziosi e, soprattutto, di spostarsi liberamente in città col carro, e non solo per cerimonie religiose. A Roma era stato coniato anche un termine specifico per indicare queste donne mobilitate per le loro rivendicazioni: “axitiosae”, agitatrici diremmo oggi, capaci di organizzare delle richieste e delle sollevazioni collettive di matrone ( “consupplicationes”, “consternationes muliebres”).
Torniamo alle mobilitazioni del 42 a.C. contro le tasse (a scopo militare) sui patrimoni delle donne. In un primo tempo, le matrone cercano di far valere i loro diritti attraverso le mogli e le madri dei triumviri, ma ottengono risposte diverse e inefficaci. Affidano allora la loro causa ad Ortensia, perché nessun uomo aveva il coraggio di assumere il loro patrocinio. Essa pronuncia davanti ai triumviri e a un folto pubblico di donne e di uomini un’orazione molto efficace, protetta anche dalla sua fama di figlia di un grande oratore, che grazie a lei sembra rivivere personalmente nel Foro. Ortensia supera il tradizionale divieto di parola pubblica femminile: le guerre esterne e civili, dice, hanno privato le matrone di padri, figli, mariti e fratelli; quindi esse in molti casi non hanno più alcun familiare maschile che le tenga sotto tutela e che le rappresenti davanti alla legge; possono e devono difendersi da sole (del resto, lei stessa era indipendente: non aveva più né il marito, né il padre, che era morto nel 50 a.C.). Se i triumviri limiteranno i beni delle matrone -sostiene - esse non potranno più mantenere la loro condizione economica e sociale. Ma c’è un argomento ancora più stringente: perché mai - dice- le donne dovrebbero pagare le tasse, visto che sono escluse dalla magistratura, dai pubblici uffici, dal comando e dalla vita dello stato?
Lo straordinario e abile discorso di Ortensia suscitò grande stima e ottenne infine un obiettivo importante: il numero delle matrone chiamate a concorrere alle spese militari dei triumviri scese da 1.400 a 400. Sostanzialmente furono tassate solo le donne ricchissime, con patrimoni superiori a centomila denari; e tutti i cittadini maschi con lo stesso abbondante patrimonio dovettero pagare una tassa supplementare, per compensare il mancato introito dei contributi delle donne con redditi inferiori. Fu una vicenda importante, nella storia sociale romana e nella vicenda millenaria dei conflitti tra i generi. Come spesso avviene, la conquista di parola pubblica da parte delle matrone romane non fu definitiva: anzi, vari provvedimenti dei decenni successivi si preoccuparono di sanare l’ “anomalia” con un esplicito divieto di accesso, per le donne, a tutte le cariche pubbliche e alla magistratura. E sappiamo bene quanto tardi questo divieto è stato rimosso, anche nell’Italia del Novecento. Ortensia resta però nella nostra storia come una prima grande avvocata, che ha fatto risuonare nella Roma repubblicana un discorso femminile autorevole, composto con grande arte. Grazie al padre oratore che l’aveva amata, stimata e formata, grazie anche a generazioni di donne romane che già da prima avevano saputo mobilitarsi collettivamente in difesa dei loro diritti.
Appiano di Alessandria, Guerre civili, 4, 32-34
Eva Cantarella, Passato prossimo: donne romane da Tacita a Sulpicia, Milano, Feltrinelli, 1998
Francesca Cenerini, La donna romana: modelli e realtà, Bologna, il Mulino, 2002
Voce pubblicata nel: 2018
Ultimo aggiornamento: 2019