Ogni volta che scrivo un romanzo, la parte del corpo che lavora più intensamente sono le orecchie. Posso sentire il rumore dell’esplosione di una stella che scompare ai confini dell’universo, oppure il lamento di una persona morta tra le ceneri di un forno crematorio in un campo di concentramento. A tutte queste anime offro un posto dove stare, il racconto. Per me scrivere equivale a compiere questa missione
È con questi termini che Ogawa Yōko definisce il proprio mestiere di scrittrice, che sente al pari di una missione, come se avvertisse la necessità di trasformare in parole le storie di tutti coloro che una voce per raccontarsi non ce l’hanno più. Considerata una delle maggiori rappresentanti della letteratura giapponese contemporanea, presenta al suo pubblico storie uniche per tematiche e rappresentazioni della realtà, che spaziano dal grottesco all’horror e dal fantastico al concreto esasperato, al punto che risulta difficile inserirle all’interno di un preciso genere letterario. I suoi racconti e i romanzi non sono ambientati nella Tōkyō vestita di neon e ipermodernità, bensì in luoghi non meglio precisati che aiutano a conferire alle atmosfere di per sé già surreali toni ancora più fiabeschi – caratteristica probabilmente favorita dalla scelta di risiedere con il marito e il figlio ad Ashiya, una tranquilla cittadina del Kansai, e dalla sua incompatibilità con tutto ciò che è cultura “pop” o tecnologia. È proprio nella fiaba e nel racconto che bisogna infatti cercare le radici dell’inclinazione letteraria di questa scrittrice. Ogawa Yōko conosce ben presto l’universo dei libri grazie alla nutrita biblioteca del padre, un luogo che ai suoi occhi di bambina sembrava avere del magico e nel quale erano presenti sia voluminosi tomi di medicina che enciclopedie illustrate e libri provenienti dall’estero, tra cui diversi racconti per ragazze quali Piccole donne, Senza famiglia e Il giardino segreto che divora subito con grande avidità. L’ambiente familiare costituisce dunque il primo terreno nel quale la piccola Yōko comincia a coltivare la sua passione, uno spazio che fornisce una notevole ispirazione al suo universo letterario, grazie anche alla fede religiosa dei genitori, seguaci del Konkōkyō(L’insegnamento della luce divina) nonché responsabili della relativa chiesa nella città di Okayama, dove ospitano fedeli e bambini orfani. Secondo il Konkōkyō, tutte le cose sono strettamente correlate l’una con l’altra e il kami, la divinità, risiede in questo stesso mondo, cancellando così la possibilità di un “aldilà”. Per comunicare con la divinità è necessario l’intervento di un toritsugi o medium, ruolo esercitato anche dal nonno di Yōko. Non è un caso se nelle opere di Ogawa troviamo sia la presenza di grandi biblioteche che quella di famiglie numerose e, in particolare, la figura di un fratello più piccolo, spesso malato o debole, così come la messa in discussione di concetti basilari quali lo spazio e il tempo, il normale e l’anormale in contesti come la società o la famiglia. Ne è un buon esempio il racconto La casa della luce (1991), che nella versione italiana è incluso nell’omonima raccolta insieme a Diario di una gravidanza (1990) e Dormitorio (1991), pubblicati a pochi anni dall’esordio letterario: Quando la farfalla si sbriciolò (1988), rielaborazione della tesi di laurea, che la scrittrice discute presso la facoltà di Lettere dell’Università Waseda di Tōkyō. Durante gli anni universitari viene a contatto con le opere di scrittori come Murakami Haruki, Yamada Eimi e il premio Nobel Ōe Kenzaburō, ma ciò che realmente la spinge a intraprendere la carriera di scrittrice è da ricercare in un “incontro” avvenuto diversi anni prima: quello con il Diario di Anna Frank, la lettura che più di tutte la segna come scrittrice e che nel 1994 la spinge a intraprendere un viaggio in Europa per seguire le tracce della sua autrice preferita. L’idea secondo la quale senza quel diario non potremmo conoscere i pensieri più intimi della giovane di origine ebrea, simbolo dell’olocausto, si insinua nella mente di Ogawa Yōko al punto da farle comprendere quale dovrà essere la sua missione: restituire, attraverso le parole, una voce a tutti coloro che non hanno la possibilità di raccontarsi, di stringere legami e trovare un posto nel mondo. Preservare la memoria. Ecco allora che prendono vita i protagonisti (nella maggior parte dei casi si tratta di donne) di opere come L’anulare (1994), nella quale si parla per l’appunto della creazione di “esemplari” da conservare, Hotel Iris (1996), Vendetta (1998), Profumo di ghiaccio (1998), La formula del professore (2004) o Nuotare con un elefante tenendo in braccio un gatto (2009), per citare quelle pubblicate in lingua italiana. Tutti i personaggi che animano questi racconti presentano delle imperfezioni, talvolta compiono atti crudeli e sembrano vagare in uno spazio che assume i connotati di un eterno presente e che appare circoscritto, quasi claustrofobico, incapaci di trovare un posto nel mondo – esattamente come nell’esperienza di alcuni bambini ospiti di un orfanotrofio o in quella della giovane Anna Frank. "Attraverso il processo chiamato racconto - spiega Ogawa - tutte le cose che normalmente non sono visibili prendono forma, è questo l’elemento che più mi attrae di una storia".
Ogawa Yōko, La casa della luce (trad. Mimma De Petra), Il Saggiatore, Milano 2006
Ogawa Yōko, L’anulare (trad. Cristiana Ceci), Adelphi, Milano 2007
Ogawa Yōko, La formula del professore (trad. Mimma De Petra), Il Saggiatore, Milano 2008
Ogawa Yōko, Una perfetta stanza di ospedale (trad. M. Matteri e Y. Matake), Adelphi, Milano 2009
Ogawa Yōko, Profumo di ghiaccio (trad. Paola Scrolavezza), Il Saggiatore, Milano 2009.
Voce pubblicata nel: 2018
Ultimo aggiornamento: 2023