Nell’anno 1345, Heinrich von Nördlingen scrisse in una lettera a Margaret Ebner:
ti invio un libro che si chiama La luce fluente della Divinità [...] è il tedesco più meraviglioso e singolare, e il frutto dell’amore più profondamente commovente che abbia mai letto in lingua tedesca.
Das flieβende Licht der Gottheit (La luce fluente della Divinità) appare nel mondo di lingua tedesca come la prima opera mistica in prosa volgare, della quale non si possiede una traduzione o un libero adattamento di un modello latino. La stessa Mechthild von Magdeburg commenta la paternità vernacolare dell’opera: “Ora mi viene meno la lingua tedesca. Il latino non so” (II, 3, p. 67).
Come per la maggior parte degli autori medievali non si sa molto della sua vita, ad eccezione di qualche informazione che viene fornita ai lettori dalla sua opera. Il toponimico, che le viene attribuito dalle fonti, testimonia che Mechthild von Magdeburg nacque a sud-ovest di Berlino, a Magdeburgo, tra il 1207 e il 1212. Apparteneva ad una famiglia agiata e colta, non di estrazione nobile; si ha però l’impressione che conoscesse l’ambiente. Dei suoi genitori non si sa nulla con certezza e potrebbero essere morti già durante la sua infanzia, anche se non viene menzionata la loro scomparsa.
In ogni caso, Mechthild sottolineò che per i suoi parenti e amici era sempre stata “la più cara” (IV, 2, p. 148), vivendo durante la sua infanzia l’esperienza positiva di sentirsi desiderata e amata. Nei momenti di crisi spirituale si lamentava con l’Amato divino di averla strappata dal mondo, dai suoi onori e dalle sue ricchezze, dal benessere che sembrava aver conosciuto in giovinezza e che avrebbe potuto gustare per tutta la vita: “(Anima): Signora Minne, mi toglieste onori terreni, ricchezze terrene e tutto il mondo” (I, 1, p. 30).
All’età di dodici anni abbandonò la vita mondana, dopo essere stata salutata dallo Spirito Santo. Qualche anno più tardi lasciò la sua famiglia, sconvolta e tormentata da quest’esperienza avuta da adolescente, trasferendosi nella città di Magdeburgo per vivere secondo il suo desiderio, in esilio e in povertà, come si legge nel prologo dell’opera latina:
Che, conducendo un’infanzia innocente e immacolata, e avendo ricevuto un’anticipata ammonizione dal Signore nella giovinezza, abbandonò tutto ciò che avrebbe potuto possedere, vivendo come esule in terra straniera in una povertà volontaria.(Prol. 1, 36-38)
Indegna peccatrice, nel mio dodicesimo anno di età, mentre ero sola, lo Spirito Santo mi salutò con un beatissimo fluido, in modo che non mi sarebbe mai più stato possibile di incorrere in un grande peccato quotidiano. […] Allora, per amore di Dio, mi trasferii in una città dove nessuno mi era amico, tranne una persona sola (IV, 2, p. 148).
La donna visse nel pieno del carisma beghinale e seguì lo stile di vita delle beghine, che ‒ come è noto ‒ ebbe origine nella diocesi di Liegi. Diventata a sua volta una beghina, entusiasta dello stile di vita, visse nel silenzio, gratificata dalle esperienze mistiche eccezionali che tenne nascoste fino al 1250, quando il suo confessore, il domenicano Heinrich von Halle, la incoraggiò a dedicarsi alla redazione della sua unica opera, Das flieβende Licht der Gottheit.
Dieci anni prima di morire, Mechthild si spostò nel convento benedettino-cistercense di Helfta a sud-ovest di Magdeburgo. Non è chiaro perché abbia deciso di trasferirsi presso il convento; tuttavia, questa decisione avrebbe avuto senso per la sua salute: così avrebbe potuto ricevere più facilmente delle cure. Inoltre, la donna aveva attirato su di sé delle inimicizie per aver denunciato i vizi e le perversioni soprattutto dei canonici del capitolo di Magdeburgo, ma anche di alcuni domenicani. Mechthild, come molte beghine, attirò su di sé le persecuzioni della gerarchia ecclesiastica.
Il suo percorso di vita è quello tipico delle religiosae muliere. Entrare in un convento significava una maggiore cura fisica e un opus Dei più ricco, ma comportava anche nuovi obblighi. Trasferirsi nel monastero di Helfta fu per Mechthild un’umiliazione, in quanto aveva rifiutato tutte le comodità del chiostro: “Nel mio cuore provai compassione per il crucio di questo convento in cui vivo. Allora parlai durante la notte, nella solitudine del mio cuore, a Nostro Signore: “Signore, che te ne sembra di questa prigione?”. Nostro Signore rispose: “Anch’Io vi sono prigioniero” (VII, 53, p. 351).
Morì nel 1282, circondata da importanti cistercensi come la Madre Badessa Gertrud von Hackeborn (1232-1292), la Priora, sua sorella Mechthild von Hackeborn (1241-1298), e un’altra Gertrud, la futura Santa Gertrud die Groβe von Helfta (1256-1302), che descrisse nel Libro V della propria opera, Legatus divinae pietatis, il trapasso della beghina:
Quando la sorella M., di felice memoria, si avvicinava alla fine della sua vita, e questa [M.] pregava insieme con le altre, tra le altre cose disse al Signore: ‘Perché, o amantissimo Dio, non ci esaudisci quando preghiamo per lei?’ Il Signore rispose: ‘Il suo spirito è così separato da quello umano, che non può essere consolato da voi in modo umano’. E lei chiese al Signore: ‘Con quale giudizio?’ Il Signore rispose: ‘Ora ho il mio segreto in lei, come lo avevo un tempo con lei’. E mentre lei cercava di capire in quale modo si sarebbe risolta la situazione, il Signore disse: ‘La mia intima maestà entrerà in lei’. Allora questa chiese: ‘Con quale fine finirà?’ E il Signore rispose: ‘Con la mia divina potenza la assorbirò, come il caldo sole asciuga la goccia di rugiada’. E quando questa chiese perché il Signore permettesse che lei errasse nei sensi esterni, il Signore rispose: ‘Perché voglio essere conosciuto di più nell’intimo che nella superficie delle cose’. E lei disse: ‘Questo, con la tua grazia, persuaderà più facilmente i cuori di ciascuno’.
Come già precedentemente accennato, non si conosce molto della vita di Mechthild von Magdeburg, ma la sua Das fließende Licht der Gottheit fornisce ai lettori una ricca visione della sua vita spirituale. L’opera, suddivisa in sette libri e 267 capitoli, è composta in parte in prosa e in parte in poesia, con un’impostazione dettata dall’ispirazione divina. Il tema principale è l’amore per Dio – tra l’anima sposa e lo sposo celeste - e per questo amore Mechthild è capace di rinunciare a tutto, compresa sé stessa. Tuttavia, all’interno dei sette libri emergono diverse tematiche, tra cui spicca l’escatologia, che permea l’intera opera.
Secondo la teologia moderna, l’opera di Mechthild von Magdeburg potrebbe rientrare nel genere delle rivelazioni private. Ci troviamo di fronte all’emergere di un nuovo genere letterario, che si è sviluppato a partire dal XIII secolo e che si discosta completamente dal genere agiografico delle “vite” del secolo precedente. Si tratta di testi in cui Dio si rivolge agli individui, sia uomini che donne, attraverso immagini e parole comunicate direttamente all’estatico/a oppure tramite un redattore.
Das fließende Licht der Gottheit è composta in basso tedesco medio, lingua madre di Mechthild; tuttavia, al giorno d’oggi non si dispone più del manoscritto originale. L’opera è giunta fino a noi attraverso una ventina di testimoni, redatti in vari dialetti delle regioni meridionali e centrali, evidenziando così l’ampia diffusione del testo nell’area di lingua tedesca. I primi sei libri sono stati da subito tradotti in latino sotto il titolo Lux divinitatis.
Nemes Balázs J. / Senne Elke unter Leitung von Ernst Hellgardt (Hg.), Mechthild von Magdeburg, ‘Lux divinitatis’– ‘Das liecht der gotheit’. Der lateinisch-frühneuhochdeutsche Überlieferungszweig des ‘Fließenden Lichts der Gottheit’. Synoptische Ausgabe, Berlin / Boston 2019.
Ruh Kurt, Storia della mistica occidentale. Mistica femminile e mistica francescana delle origini, vol. II, Milano 2002.
von Magdeburg Mechthild, La luce fluente della Divinità, Schulze-Belli Paola (a cura di), Firenze 1991.
Voce pubblicata nel: 2025
Ultimo aggiornamento: 2025