Soprannominata Pitòla, insieme al fratello Cristano è stata l’unica di nove figli a raggiungere l’età adulta. Il nonno, dopo aver fatto il minatore, torna dagli Stati Uniti malato di silicosi; il padre parte per la prima guerra mondiale quando lei ha una decina d’anni; la madre proviene da un maso vicino (Sténeghi). Frequenta le scuole austriache di allora: otto anni di elementari, tre dei quali fatti, come tutti, ripetendo la quinta, che era la più alta classe esistente.
Si sposa a 25 anni con Fortunato col quale mette al mondo tre figli; Adelia (1930), Ester (1934), Luciano (1948).
Regnana è un paese di circa 90 abitanti, a 1250 metri sul livello del mare, situato in una angusta valle che collega l’altipiano di Piné alla valle dei Mòcheni. L’altitudine permette solo colture di montagna: patate, cavoli cappucci, alcuni ortaggi. Un tempo anche un po’ di grano, ma niente granturco: siamo troppo alti. La popolazione viveva – fino a pochi decenni fa, prima che i trasporti pubblici e le automobili diventassero più frequenti – del taglio della legna nei boschi, della vendita dei funghi, dell’allevamento del bestiame.
Molte famiglie di Regnana sono state scelte dai servizi sociali della provincia di Trento per avere in affidamento bambini orfani, o figli di genitori che non sono in grado di allevarli. I bambini venivano fatti crescere in semplicità insieme ai propri figli, e in cambio si otteneva un piccolo sostegno mensile in denaro. I bimbi restavano alcuni mesi o alcuni anni, altri anche fino all’età adulta e all’indipendenza. Maria ha allevato tre figli suoi, ha sempre avuto tre mucche nella stalla, e ha ottenuto in affidamento, negli anni, 18 bambini.
L’affidamento venne considerato da Maria inizialmente «una fonte di reddito». I primi piccoli erano più o meno coetanei dei suoi figli. Pitola diviene però presto uno dei punti di riferimento per i servizi sociali di Trento, e viene scelta ripetutamente per l’affidamento dei bambini. Alcune fotografie dei bambini cresciuti sono ancora conservate nei cassetti della camera da letto. C’è chi è tornato qualche volta e chi, come Mariella, si sente ancora parte della famiglia.
Alla domanda se lo rifarebbe, e che cosa abbia comportato un’attività così particolare e impegnativa, Maria risponde che no, non lo rifarebbe. C’è stato troppo coinvolgimento di sentimenti e ogni volta che una bambina/o se ne andava, era una lacerazione per lei/lui, per Maria e per tutta la famiglia ospitante. Vedendo la calma sicurezza con cui risponde a qualsiasi domanda e affronta chiunque, si capisce che Maria è una donna di pochi dubbi. Ha il piglio di chi è abituato a comandare e ad essere obbedito. L’educazione dei bambini è stata per lei qualcosa di spontaneo e naturale, ha seguito con i suoi figli e con quelli degli altri quei pochi e semplici principi che lei identifica con i comandamenti. La spartanità del quotidiano, una volta necessaria e ora diventata abitudine bene accetta, Maria la preferisce a quella che per lei non è che l’inutile concitazione della vita odierna. Ormai libera di dire quello che vuole, sempre, non lesina le critiche al genere umano che ha «avvelenato la terra». È costretta a rimanere seduta vicino alla stufa perché le gambe non la reggono più, ma da lì la sua mente ancora lucida e arguta la sostiene. Spesso chiede alla figlia Adelia di cucinarle cibi di una volta, di cui altrove si è perso il ricordo: trisa, panada, fregolotti…
Da vent’anni pesa sempre uguale: 61 chilogrammi.
Lorenzo Pevarello (a cura di), Registrazione video, Archivio del Museo Storico di Trento
Referenze iconografiche: Foto di Monica Dematté.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023