Discendente da un cospicuo casato originario della Catalogna, Maria de Cardona nacque molto probabilmente a Napoli da Giovanni de Cardona e Giovanna Villamarino. Maria fu una personalità importante del Rinascimento italiano, emblematica di uno stile di vita di alto lignaggio coltivato con attenzione, studio e pratica delle arti. In effetti, i suoi antenati si erano stabiliti nel Regno di Napoli dove, per la costante fedeltà alla monarchia spagnola, esercitarono funzioni rilevanti (uno di essi, Raimondo de Cardona fu viceré di Sicilia e di Napoli). Alla morte del padre Giovanni e dello zio Antonio, caduti nel contesto delle battaglie tra Spagnoli e Francesi che caratterizzarono tutta la prima metà del XVI secolo, Maria ereditò il Marchesato di Padula e la Contea di Avellino: sotto la tutela del nonno Bernardo Villamarino (Luogotenente e Grande Ammiraglio del Regno) e dello zio Pietro de Cardona, affidata alle cure della colta Susanna Gonzaga, trascorse la difficile infanzia orfana anche della madre. La bellezza della fanciulla, il prestigio del casato, il legame con i Sanseverino (la zia Isabella Villamarino aveva sposato Ferrante Sanseverino), fecero di Maria una donna molto desiderata: tra i pretendenti, si fece avanti Antonio de Guevara, figlio del Conte di Potenza: ma, la morte di questi, in conseguenza di un duello, mandò in fumo il matrimonio; sicché, divenne la consorte del cugino Artale de Cardona (figlio di Pietro e Susanna Gonzaga): la prematura scomparsa di Artale nel 1536 pose fine a quell’unione sfortunata anche per la mancanza di figli. Allora furono avviate le intese per giungere al matrimonio di Maria con Francesco I D’Este, figlio naturale del Duca di Ferrara Alfonso I D’Este e della moglie Lucrezia Borgia: nelle trattative s’inserì persino Carlo V che, con una lettera indirizzata alla Nostra, consigliò vivamente lo sposalizio con il rappresentante di casa D’Este (la missiva, inviata da Barcellona nel 1538, sottoscritta con un confidenziale “Yo el Rey”, è conservata in Arch.Stato di Modena, Arch.Segr. Estense, Busta 383, Fasc.71/2023). Le feste nuziali si svolsero nel 1540 presso il Palazzo Sanseverino di Napoli, alla presenza del Viceré Pietro de Toledo; analoghi festeggiamenti avvennero nella città di Ferrara.
Il rapporto tra Francesco e Maria non fu del tutto sereno e felice né fruttò eredi (Francesco ebbe due figlie naturali, Marfisa e Bradamante). Dunque, Maria visse soprattutto nel Regno di Napoli: qui si dedicò con saggezza e profitto alla gestione dei suoi feudi. In particolare, nella Contea di Avellino istituì una fiera annuale, aprì ferriere, riorganizzò l’apparato amministrativo ed edilizio, restaurò alcune chiese; animò i cenacoli culturali di Napoli, di Avellino e di Ischia con le sue doti poetiche e canore, insieme ad altre nobildonne come Vittoria Colonna, Maria e Giovanna D’Aragona, Costanza D’Avalos, Isabella Villamarino: pur nel drammatico scenario della guerra tra Francesi e Spagnoli, queste signore trovarono la maniera di testimoniare quelle “virtù femminili” (grazia ed erudizione), rivalutate nel Rinascimento nel tempo del petrarchismo imperante, del perfetto cortigiano e della donna di palazzo. Suscitarono così anche l’ammirazione di tanti poeti dell’epoca: in particolare, la Nostra accese la fantasia di Giovanni Andrea Gesualdo che le dedicò la sua opera principale (Il Petrarcha con l’espositione di M. Gio. Andrea Gesualdo); di Garcilaso de la Vega che la definì "décima moradora de Parnaso"; di Luigi Tansillo che la celebrò con tre sonetti; di Antonio Sebastiani Minturno che le scrisse oltre quaranta epistole esaltandone la leggiadria e l’alto intelletto; di Giano Anisio che le consacrò un encomio in latino; di Iacomo Beldando che ne abbozzò un ritratto ironico ne Lo Specchio de le bellissime donne napoletane; di Ortensio Lando che la paragonò alla Selvaggia di Cino da Pistoia, alla Beatrice di Dante e alla Laura di Petrarca. Naturalmente, gli elogi di questi Autori devono sintonizzarsi con lo spirito cortigiano del tempo, scandito da toni mirifici e profili magniloquenti; tuttavia, preme rilevare che le qualità cantate dagli ammiratori di Maria (l’altezza d’animo, lo spirito liberale, i costumi gentili, l’ameno conversare, il dire ornato, le parole belle e dolci, la voce chiara, soave, angelica e divina), appaiono confermate dall’analisi delle diverse epistole scritte da Maria. 1
Infine, a riprova del praticato mecenatismo, dell’ameno conversare e dell’eleganza dello stile, è d’uopo riportare un passo di missiva scritta in Avellino da Maria ed indirizzata ad un’altra signora: 2 “… tornate a noi, e sentirete maggior frutto e maggior dolcezza della nostra conversazione che dell’udir cantar i rusignoli: ecci qui, la S. Donna Maria di Tocco, la quale, parla del Regno d’Iddio sì dolcemente, che la innamora ogn’uno che l’ode, e facci venir voglia di morire per andar tosto a fruire le bellezze eterne del grande Iddio. Ecci la S. Principessa di Salerno: la quale con la sua dolce e real presenza e con le sue gentilissime maniere sarebbe atta a rasserenare l’inferno, e ragioir le misere anime de’ dannati. Ci habbiamo poi M.M. Antonio Delli Falconi, gran segretario della natura, il quale ne trattiene con la dottrina Greca, Toscana e Latina in stupor grande: ecci il nostro M. Hortensio pieno di Paradossi…”.
Referenze iconografiche: Medaglia in bronzo con il busto di Maria de Cardona, di Pastorino dei Pastorini. Fonte: https://catalogo.beniculturali.it. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2014
Ultimo aggiornamento: 2023