Maria Corti era una signora dal viso gentile, dai lineamenti minuti, l’espressione trasparente, con qualche inquietudine; e spunti improvvisi di passione mentre parlava. L’ho incontrata molte volte, ho discusso con lei e più di una volta sono stata convinta dalle sue argomentazioni. Diciotto anni fa, nella mia Statale di Milano, ho ascoltato insieme ai miei allievi di filosofia medievale una sua lezione su Dante e Cavalcanti e la passione intellettuale e civile espressa nel nuovo stile di quei poeti.

Maria Corti non aveva famiglia, ma era attiva e serena, curiosa del mondo, mai sola: la circondavano amici e soprattutto allieve e allievi con attitudine affettiva e attenta.

Era nata a Milano e nella sua città è scomparsa nove anni fa. La sua adolescenza non era stata fortunata: aveva perso la mamma molto presto, il padre era spesso lontano per lavoro. Per anni Maria studia in collegio, ma trascorre vacanze serene con le amiche a Lanzo in Val d’Intelvi nell’amata casa di famiglia ora tristemente disabitata e quasi in rovina.

Le piaceva studiare e all’università di Milano ottiene la lode in due lauree, in letteratura latina medievale con Benvenuto Terracini e in filosofia con Antonio Banfi. Amava anche insegnare: appena laureata, a Brescia, a Como e a Milano nella scuola media, e poi all’università di Pavia e in Puglia come assistente incaricata e di nuovo a Pavia, dove vince la cattedra che tiene con tanto prestigio durante tutta la vita…

Erano anni singolarmente prosperi per l’ateneo pavese: con i colleghi e amici Cesare Segre, Dante Isella e D’Arco Silvio Avalle, Maria Corti guida una scuola di italianistica che apre gli studi letterari e filologici alle nuove prospettive dello strutturalismo e della semiotica. Istituisce con singolare lungimiranza il Fondo manoscritti di autori moderni e contemporanei, un archivio ricchissimo, forse oggi il primo del genere in Europa, che raccoglie saggi, romanzi, poesie e appunti manoscritti di autori del Novecento: Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda, Alfonso Gatto, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Anna Banti, Elsa Morante, Carlo Levi, Umberto Saba, Maria Luisa Spaziani, Goffredo Parise, Rita Levi Montalcini, Paolo Volponi, Luigi Meneghello, Alda Merini, Alberto Arbasino sono fra molti altri gli scrittori presenti…

Possiamo avvertire la passione e il rigore che animano questo suo impegno nelle pagine del saggio del 1997 Ombre sul fondo.

Maria era anche un’instancabile scrittrice: i suoi romanzi sono godibilissimi, pieni di humour e sensibile curiosità per gli ambienti e i paesaggi. Indimenticabili certe pagine del Taccuino americano (1986) dove rivive in tutto il suo splendore l’“estate indiana” del New England dove aveva insegnato, la vita vivace dei campus universitari, gli incontri, le conversazioni e gli studi di una stagione felice.

Nei suoi saggi le rigorose analisi dei testi aprono sovente prospettive originali di ricerca e spunti innovativi sia per la critica letteraria che per la storia delle idee.

Per parlare più da vicino di Maria Corti scelgo, dalla ricca bibliografia, un suo scritto importante per me – ma non solo per me - da un punto di vista culturale e anche emotivo, un saggio del 1983, La felicità mentale. Qui Maria ricostruisce le linee di una teoria sostenuta nel Duecento da alcuni maestri di Parigi, una teoria audace nel contesto culturale di quei tempi e condivisa da Dante e dai suoi amici poeti. È possibile per un individuo raggiungere e “gustare” la voluptas intellectualis (felicità mentale) durante la vita terrena anticipando la beatitudine del Paradiso?

Il punto di partenza sta in un capolavoro dell’etica filosofica del Duecento, il De summo bono, opera del maestro delle Arti Boezio di Dacia che affermava l’esistenza di un bene “naturale” comune a tutti gli uomini, anche ai non cristiani, precedente e indipendente dalla beatitudine ultraterrena oggetto di fede per il credente. Il prototipo dell’uomo al quale, secondo Boezio di Dacia, è aperta la possibilità di una felicità “naturale” in vita è il filosofo, ossia colui che si dedica alla ricerca intellettuale e indaga con la sola forza della ragione: è nella meditazione filosofica «che si può arrivare a conoscere la nobiltà della virtù bene superiore a ogni altro bene, e si è in grado quindi di scegliere e gustare il piacere della contemplazione». È una felicità che non nega l’esistenza di altre felicità oltre la vita, ma certamente rivendica con orgogliosa consapevolezza l’autonomia del pensiero dalla fede. Nel 1277 il vescovo di Parigi, “Atene del nord”, rispecchiando la posizione dei teologi (i maestri universitari più potenti), censurò molte tesi dei filosofi “seguaci di Averroè” e fra queste quella, cruciale, che affermava la coincidenza fra felicità e contemplazione intellettuale e filosofica.

Ma l’idea semplice e grande connaturata al vivere civile e alla fiducia nelle doti umane avrà una strada lunga anche se difficile nei secoli dal medioevo alla modernità: il piacere che abita nella vita attiva dell’intelletto è anche indagine sul passato e sguardo sul mondo presente, come ben sapeva e insegnava Maria Corti.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Corti

Fondo Manoscritti dell'Università degli studi di Pavia

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Referenze iconografiche: Maria Corti. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023