Margarita di San Rocco, della contrada di San Donato in Lucca, viene arrestata dalle autorità civili di Lucca verso la fine del giugno 1571; subisce la stessa sorte, nei medesimi giorni, Pulisena, anche lei lucchese, di San Macario.
Ad origine del provvedimento c’è una denuncia presentata il 28 giugno al Podestà Alessandro Naselli, ferrarese, ed all’Anziano Giovanni Balbani, da parte di una certa Pollonia, una balia che viveva in città. Pollonia racconta alle autorità una confusa storia di malattie e superstizioni; la donna ritiene di essere vittima di influssi malefici che le causano un malanno dietro l’altro, e sospetta fortemente che le malìe provengano da sua sorella Bartholomea, con la quale è in lite da alcuni anni per via di alcuni mobili lasciati loro in eredità della madre. Bartholomea sarebbe tuttavia solo la mandante, i malefici sarebbero messi in atto, secondo i suoi sospetti, da due donne che ella aveva ricevuto in casa diverse volte, in quanto guaritrici, specializzate nella diagnosi e cura di diverse malattie tramite erbe, formule e rituali vari.
Le due guaritrici sono appunto Margarita e Pulisena, la cui fama è al riguardo abbastanza diffusa, come confermano numerosi testimoni interrogati in quei giorni. Loro stesse, peraltro, non fanno mistero di queste abilità quando vengono interrogate; sanno curare i vermi ed il metrito degli infanti, la febbre, il malvitio (epilessia), il malocchio, sanno disfare le malìe che si trovano nel letto.
Sono però le dichiarazioni di alcuni testimoni ad inguaiare la posizione delle due donne: sarebbero in grado di capire se qualcuno è colto da’ morti, e più di una volta il loro intervento ha causato l’aggravamento del paziente. Particolarmente grave appare quanto si dice di Pulisena: odia i cani, più di una volta ha gettato un cagnolino giù dalle scale; una sera, mentre si trovava a veglia con altre donne, aveva perso i sensi e rimasta a lungo supina sul letto, come morta; quando i vari interventi delle donne l’avevano riportata alla coscienza, aveva detto che quando lei si trovava in quello stato la dovevano lasciar stare, perché “mi fate più male che bene”. Questi, aveva detto Bastiano Paulini, erano indizi chiari di stregoneria, lui anzi a Pulisena gliel’aveva detto che era una strega, perché si dice che le streghe siano nemiche dei cani.
Il Podestà ritiene che gli indizi raccolti siano più che sufficienti per procedere contro le due donne; nonostante le loro dichiarazioni d’innocenza, è noto che chi sa guarire i mali, sa anche causarli. A Lucca poi si vive una realtà particolare: siamo in pieno clima di Controriforma, e da Roma si preme per sottoporre anche la Repubblica lucchese all’autorità dell’Inquisizione per il contrasto all’eresia; sinora si è riuscito ad evitarlo, nonostante la notevole diffusione in città del movimento riformatore; per continuare a mantenere l’autonomia in questo campo, occorre mostrarsi più solerti e severi degli stessi tribunali dell’Inquisizione; occorre indagare su ogni minimo sospetto, arrestare ed interrogare al più piccolo indizio; occorre fare largo uso della tortura.
Margarita e Pulisena vengono torturate la prima volta il 9 luglio; vengono sottoposte al tormento della corda, prima Pulisena poi Margarita; sono sollevate rispettivamente sino a quattro e otto braccia da terra; supplicano di essere deposte a terra, ed entrambe dichiarano di avere già detto tutta la verità: sono guaritrici, non fanno malìe.
Il 12 luglio l’ordine si inverte: tocca prima a Margarita, che sospesa alla corda conferma di non avere fatto malìe, "che Dio mi facci a cecare". Poi viene fatta entrare Pulisena, nei cui confronti i torturatori si accaniscono: visto che non confessa, dalla corda si passa al tormento del fuoco ed allo stiramento (la tavola); le sevizie durano un’ora, ma Pulisena continua a difendere, tra grida e lamenti, la sua verità: “O Dio, Vergine Maria aiutatimi, io non ne ho fatte (malìe)”. La povera donna viene medicata e riportata in carcere.
È ancora la volta di Margarita; è molto probabile che ella abbia assistito alla tortura di Pulisena, oppure che abbia potuto parlarle; di fatto Margarita cede prima ancora di essere sottoposta al tormento del fuoco: confessa. Confessa tutto l’insieme di credenze relative alla stregoneria che erano molto diffuse tra la popolazione e che inquisitori e magistrati laici avevano elaborato in quei decenni, aggiungendovi la presenza del Diavolo. Margarita dichiara di aver fatto morire bambini succhiando loro il sangue, di essere stata ai convegni col Demonio e di aver avuto con lui rapporti sessuali, di avere stregato e mangiato delle vacche, etc. Non soddisfatti, nei giorni successivi gli aguzzini si incattiviscono con Margarita: vogliono che dichiari ancora di più, e per questo viene sollevata da terra con dei pesi di ferro legati ai piedi; si riesce a farle confessare che ha un suo diavolo personale, si chiama Macometto, e che tramite i suoi suggerimenti ha fatto degli incantamenti a danno della balia Pollonia.
Pulisena invece resiste ancora a lungo, nonostante le orribili sevizie alle quali viene sottoposta; trascorrono i mesi di luglio, agosto e quasi tutto settembre prima che si riesca a piegare la sua volontà. Ciò che sorprende è che in questo periodo le viene a mancare l’appoggio di una persona che avrebbe potuto fare molto per salvarla, ovvero il proprio marito GiovanMaria; questi, interrogato a più riprese, non fa invece che confermare diverse accuse ed anzi ad alimentare nuovi sospetti nei confronti di Pulisena, dichiarando addirittura che era stato costretto a sposarla perché lei gli aveva fatto delle malìe per farlo innamorare: “mi conciò così che io venni matto di lei”; addirittura GianMaria dice ai magistrati che la moglie “ha fama di essere maliarda incantatrice et stregha”.
Pulisena crolla il 20 settembre; non per i ripetuti tormenti della corda, della tavola o del fuoco, ma in seguito ad un metodo più subdolo: il tormento della vegghia; le si impedisce per giorni e giorni di dormire, finché ormai impazzita confessa al Podestà ed agli Anziani Bonaventura Dei e Guinigio Guinigi di essere una strega, e di esserlo diventata in seguito al lascito di una sua zia di Pescaglia.
È facile vedere che anche ciò che confessa Pulisena fa riferimento ad un universo di credenze sulla stregoneria estremamente diffuso tra la popolazione. Com’è altrettanto facile capire che Pulisena ammette quelle cose solo per porre fine alla crudeltà cui la si sta sottoponendo, per potersi concedere il sonno; infatti in seguito, riposata, ritratterà tutto, confermando di essere solo una guaritrice, non una strega, e che ciò che ha detto è stato solo per far cessare la tortura: “io non ho fatto stregarie ma ne ho ben medicate et non ho fatto malìe et non le so fare, né ho fatto altro malefitio, et quello che io ho detto l’ho detto per tormento”.
Ma i suoi aguzzini non possono accettare questa ritrattazione; visto che Pulisena è crollata con la tortura della veglia, la si sottopone di nuovo alla privazione prolungata del sonno; anche stavolta la disgraziata cede, e questo porta alla fine del processo. Viene sentita ancora Margarita per indurla a confessare altri misfatti, ma la povera donna, stanca ma ancora fiera, pone fine alla farsa: “se ne trovate (altri reati) fatemi brugiare… se mi volete impiccare impiccatemi, fate di me quello che volete”.
La sentenza viene pronunciata il 2 ottobre, ed è una sentenza di morte, da eseguirsi nella pubblica piazza sabato 13 dello stesso mese: Margarita e Pulisena dovranno “essere strangolate ad un palo con le stipe e legna attorno e di poi subito debbiano essere abbrugiate”.
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Gli Streghi, le Streghe. Antiche credenze nei racconti popolari della Garfagnana, Lucca 1990
Ursolina la Rossa e altre storie. Inquisitori e streghe tra Lucca e Modena nel XVI secolo, Lucca 2007
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Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023