Margherita, conosciuta con il cognome del marito Francesco Datini, nacque a Firenze nel 1357 circa. Della sua vita prima del matrimonio con il popolare mercante pratese ci sono poche e frammentarie notizie.

Figlia di Domenico Bandini e Lionora Gherardini, conobbe Francesco Datini ad Avignone, dove la madre aveva cercato rifugio in seguito alla decapitazione del marito accusato di tradimento dal governo fiorentino.
Quando conobbe Francesco doveva avere circa sedici anni e i due si sposarono nel 1376.
Da questo momento Margherita si fece conoscere attraverso le missive che scambiava con il marito sempre in viaggio per lavoro.

Dalle lettere emerge una giovane donna che, trasferitasi a Prato, città nativa di Francesco, si ritrova incaricata della gestione di una casa azienda con servi, serve, schiavi, lavoranti, tutto personale satellitare all’attività di Francesco, uomo dedito esclusivamente al lavoro e all’accumulo di ricchezza. Più volte Margherita esprime con una chiarezza sorprendente il suo disappunto nei confronti del marito per questo suo modo di lavorare come nella lettera datata 18 marzo 1395:

“Io ti prego per l’amor di Dio che, se non hai avviato nulla, tu lasci stare per ora fintantoche’ tu non vedi che queste benedette tasse siano sistemate, e che questo tuo modo di fare debba essere quello delle cose terrene non riesco a capirlo; se vorrai nurare costa’ quell che tu dici, quest’anno dovrrai andarci troppo: e questo perche’ hai sempre fatto alla solita maniera: se uno facesse quell che deve, potrebbe prendersi momenti di piacere al momento giusto; chi non fa cosi’ non se li puo’ pigliare, e tu sei uno di quelli.”

Margherita prende in carico questa gestione complessa in profonda solitudine a causa dell’assenza del marito, sempre in viaggio e insensibile alle richieste di affettività e soprattutto di fiducia nei confronti di Margherita che in tante lettere manifesta ansia mista a sgomento e stanchezza per dover continuamente dimostrare di essere abile e moralmente affidabile:

“Di quell che succeede qui non devi darti preoccupazione alcuna, e se io avessi saputo che tu non l’avresti saputo mai, mai te ne avrei scritto, pensando che ti saresti angustiato non per il fatto che stavo qui, ma perche’ quando c’e’ qualcun altro a fare festa io non baderei alla casa come tu vorresti; di queste tue malinconie sento il peso e mi rincresce: non mi ci posso abituare.”

E ancora:

“Io mi affanno a farti il rendiconto di ogni cosa, ma davveromi dai malinconia quando domandi di quelle cosec he non c’e’ bisogno, che sembra prorpi che hai poca fiducia in me. Io posso ridirti quelle parole che tu mi dissi in una lettera, che avresti presto finito I tuoi giorni, e a me sembra di averli gia’ finite.”

Dalle lettere - inizialmente dettate a uno scrivano perché analfabeta - emerge il sistema di gestione domestico, le relazioni e soprattutto il punto di vista e le capacità soffocate di Margherita, che pur mettendo in chiaro le sue posizioni e idee deve sempre sottostare alla conferma del marito. L’insofferenza di Margherita per dover esprimere i propri pensieri e sentimenti attraverso la mediazione dello scrivano si evincono nelle affermazioni che rimandano a dei chiarimenti che verranno fatti quando Francesco tornerà.

Nonostante il freno inibitorio, sceglie di sottolineare le cose importanti attraverso il passaggio dal ‘voi’ al ‘tu’. Come richiedevano le convenzioni del tempo, Margherita si rivolgeva a Francesco dandogli del voi, ma questa consuetudine salta nelle lettere, molte delle quali iniziano con il ‘voi’ e finiscono in forma diretta e molto schietta:

“Dell’aceto non so perche’ tu me ne domandi, che se io ti dicessi la verita’ non mi crederesti (anche qui la frustrazione ansiosa di dover sempre difendere il proprio operato); s’e’ infradiciato l’aceto, non s’e’ infradiciato per colpa mia ma per il barile poco buono, e lo sa bene la Francesca che di quell oche e’ venuto da costa’ tre anni fa non se n’e’ infradiciata una gocciola; e s’e’ versato non s’e’ versato per colpa mia; eppure quest’anno t’avevo avvisato parecchie volte di tapparlo bene e tu l’hai saputo tappare cosi’ bene che se n’e’ versato mezzo (ma tu stesti cheto la mattina, perche’ tu eri stato te!).”

Questo episodio è tratto dalla lettera datata 22 agosto 1398, una di quelle in cui con più nitidezza vien fuori la personalità di questa donna che attraverso la parola riesce a dar corpo a pensieri alti e profondi che l’uso scritto del volgare restituisce a distanza di centinaia d’anni freschi e attuali, come quando scrive:

“Tu mi dici di non restare sempre bambina e che quello che faremo bene, quello ci restera’: tu dici il vero. E’ un bel pezzo che sono uscita dalla fanciullezza; ma io vorrei che tu non fossi sempre Francesco, quello che sei sempre stato da quando ti conosbbi, che non hai fatto altro che far tribolare prima l’anima e poi il corpo”.

L’intensità e la forza di questa riflessione a “voce alta” sono commoventi e sorprendenti, ma soprattutto occorre ribadire che sono parole, pensieri e constatazioni ancor oggi valide. Quella di Margherita è una lotta quotidiana di auto affermazione.

E proseguendo lasciando spazio alla voce di Margherita senza bisogno di altre mediazioni,

“ (…) nuovamente ho pensato un’altra cosa, per volonta’ di pace con me stessa: che io non desidero altro che far di piacere a Dio e di avere la pace dentro di me; cosi mi sembra che serva al bene e ad un animo buono di non sperare mai di trarre alcun vantaggio da qualcuno, e ogni volta che gli altri agiranno in questo modo si avra’ piu’ pace nell’anima che facendo il contrario.”

Verso i quarant’anni si dedica all’apprendimento della lettura prima e della scrittura poi. Si libera cosí dell’ingombrante mediazione dello scrivano che la obbligava ad una comunicazione quasi in codice.
Il suo stile linguistico scritto riflette l’oralità, dove il parlato si innesta nella struttura del latino con influenze avignonesi creando un registro letterario funzionale a trasmettere sia le cose pratiche sia, soprattutto, i suoi stati d’animo. Come rilevano studiose e studiosi, la comunicazione, la lingua scritta e il lessico di Margherita hanno caratteristiche affini alle attuali modalità comunicative: fa riflettere ritrovare tante parole ancora in uso come piumino, federe, scombina, guardaroba, la toppa della serratura, i guanciali, e molte altre.

Nel 1392, Margherita, che non aveva avuto figli, adottò Ginevra, figlia illegittima di Francesco e di una serva. Le due donne furono legate da un sincero affetto e vissero insieme fino alla morte di Margherita nel 1423, dieci anni dopo la morte di Francesco:

“Per Ginevra non ti preoccupare, perche’ credo che il mal di gola per fortuna non avra’ seguito e non c’e’ bisogno che te ne parli perche’ so che tu sei sicuro che io la tratto eglio che se fosse mia figlia, e cosi’ la cosidero, mia (…)” per la tua Margherita



Fonti, risorse bibliografiche, siti su Margherita Datini

Margherita Datini, articolo di Gianna Picchi su CPR (Centro Ricerche Prato)

D.Toccafondi e G.Cascone a cura di, Per la tua Margherita, scrittura della distanza: lettere di una donna del Trecento al marito mercante, Comune di Prato, Archivio di Stato e Provincia di Prato, 2001



Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2023