“Sì, nessun fiore meglio della mammola gentile si addice a simboleggiare la vita modesta e laboriosa, tutta virtù e sacrifici di questa nobile donna”,
così Emilia Mariani, maestra e scrittrice, nel 1899, scrive di Luisa Riva Casati nel libro "Memorie e figure" della collana “Biblioteca illustrata degli Scolari”. Una lettura educativa rivolta ai giovani per ricordare gli eroi del Risorgimento italiano e a Luisa, grande eroina dell’amor patrio, è dedicato il primo profilo.
Eppure anche lei come le tante donne comasche e non solo che parteciparono alla liberazione della Lombardia dagli Austriaci, sostenendo la causa del Piemonte sabaudo (“le figlie del Lario sono figlie mie” disse Carlo Alberto), cadde nell’oblio. La storiografia del Novecento se ne dimenticò nonostante che, tra i patrioti ispirati da Mazzini, le donne avessero un ruolo paritario con gli uomini affiancandoli nella lotta per l’Unità d’Italia. Furono in prima linea con quella gaiezza da cospiratrici che caratterizzò il patriottismo femminile, quando presero parte agli scontri sulle barricate e impugnarono il fucile, e soprattutto raccolsero fondi, cucirono bandiere, prepararono indumenti, bende e quant’altro per i soldati in battaglia, sostennero gli uomini con fervore e slancio, li nascosero se in pericolo, animate dalla stessa fede per la giusta causa.
Tuttavia in tempi più recenti altre donne impegnate nella ricerca storica con la stessa passione hanno ridato parola a molte di queste eroine silenziose. Ed è senza dubbio una bella storia di vita quella di Luisa, sia sul piano pubblico che privato. Nata nel 1807 in una famiglia benestante che la fece studiare, impegnò i suoi anni a realizzare gli ideali in cui credeva. Fu sempre dalla parte degli umili, preoccupata di confortare i sofferenti e i bisognosi a cui dava speranza aiutandoli nelle tribolazioni quotidiane della loro esistenza, “un nobile spirito che irradiava luce” scrive sempre la Mariani. Avversa ai soprusi di chi dominava una terra i cui cittadini desideravano la libertà, coltivò gli ideali politici risorgimentali con fermezza e coerenza condividendo il dolore degli esuli, quelli che ancora oggi si ricordano- Mazzini, Saffi, Quadrio, Dall’Ongaro, Sacchi, Melegari - e quelli dimenticati: la sua generosità, il suo affetto e premura non mancarono mai, “la sua borsa e la sua casa non furono mai chiuse”.
Corteggiata da molti giovani, affascinati dalla sua bellezza e intelligenza, cui univa singolari e raffinate virtù, sposò Giovanni Isacco Casati, nel 1827, che accettò quell’amore ardente che lei nutriva per la patria e per chi si batteva per essa. Si trasferì a Lione per alcuni anni perché il marito, pur essendo di origini comasche, era migrato in Francia dove la famiglia d’origine gestiva un rinomato caffè-ristorante, frequentato da italiani impegnati nel commercio della seta. Questa attività imprenditoriale fu ceduta ben presto a un parente per cui la famiglia Casati Riva tornò a Como con la piccola Adele che negli anni successivi ebbe altre tre sorelle, Maria Leopoldina, morta in tenera età, Elena e Alina, nata nel 1841 dopo pochi mesi dalla morte improvvisa del padre. Vedova e con un cospicuo patrimonio, Luisa dedicò tutta se stessa ad aiutare i bisognosi: “un nastro superfluo è un delitto, finché vi è un povero che non ha pane!” era il motto della Casati, destinata ad alimentare il culto della patria e della libertà e a educare le figlie secondo i valori in cui credeva, distinguendole da quelle impegnate soltanto nella vita mondana della loro classe.
Le prime vittorie sabaude nelle Prima Guerra d’Indipendenza e successivamente la nascita della Repubblica Romana generarono fiducia ed entusiasmo in un riscatto dal giogo straniero per una Italia finalmente libera; tuttavia esse ben presto s’infransero nella rinnovata tirannia. La disillusione, lo sconforto generarono una svolta rivoluzionaria nella vita di Luisa: dapprima il ritorno degli austriaci a Como ancor più determinati a detenere il comando basandosi sulla repressione, la spinse ad abbandonare l’Italia, diventando lei stessa (e le figlie) un’esule che peregrinò in Francia, Svizzera e Belgio. E ancora, la fine della breve esperienza della Repubblica Romana, sedata violentemente dalle guardie papaline, allontanò Luisa dalla pratica della religione cattolica, un passaggio importante, riferito da Francesco Dall’Ongaro, che la portò a aderire con convinzione al credo mazziniano "Dio e Popolo" (messo anche all’inizio della sua epigrafe) che non ammetteva nessun intermediario tra Dio e l’Umanità.
Luisa e Giuseppe Mazzini si conobbero all’inizio degli anni ’50, proprio negli anni dell’esilio svizzero: grande fu la loro amicizia, lei provava per lui “un figliale affetto”. L’incontro avvenne forse, come scrive Jessie White Mario nella sua biografia su Mazzini, “in Losanna centro e conforto dell’emigrazione (dove) era la casa della Signora Luisa Casati”, più probabilmente nella casa di Zurigo nel quartiere Hirslanden, zona di passaggio e di soggiorno per i profughi politici che lì vi trovavano sollievo, consolazione, riparo. Questa sua abnegazione che si faceva sempre più intensa divenne pericolosa e con le figlie di nuovo tornò in Francia dove avevano diritto di domicilio legale, ma ormai anche quella non era più una terra libera sotto il regno di Napoleone III e quindi lì le Casati non potevano vivere.
Si spostarono in Belgio, a Bruxelles, ultima tappa prima di salpare verso l’ Inghilterra (testimonia questo desiderio una lettera che Luisa inviò a Mazzini nel maggio del 1855 per procurarsi i documenti), ma una malattia di Luisa di origine epatica correva più dei suoi propositi, impedendole di vivere in una nazione liberale. Morì il 2 dicembre 1855, confortata dagli affetti più cari, e venne sepolta nel cimitero evangelico con la partecipazione di pochi fidati amici con i quali aveva combattuto con fermezza.
Piena di affetto, di sincero dolore e vicinanza, la lettera inviata da Mazzini alle figlie: “serberò perenne memoria di lei…la terrò come una delle mie Sante…”, convinto, come gli altri amici patrioti, che Luisa avendo trasmesso “una fede così salda, certa, durevole” avrebbe continuato a vivere nel loro ricordo. Ed è proprio il culto del ricordo della sua vita, delle opere di bene da lei condotte, a costruire uno sprone, una guida per i famigliari, gli amici, le generazioni successive, a fare di Luisa uno degli esempi da riscoprire del Risorgimento. Profetiche, ma veritiere, furono le parole di Francesco Dall’Ongaro che nel commemorare Luisa scrive: “Nel commiatarci da te getteremo ciascuno un pugno di terra sulla tua bara e vi semineremo in primavera i fiori del tuo paese, perché il tuo corpo vi germini, come il tuo spirito è germinato e germinerà nei tuoi figli e nei tuoi nepoti di generazione in generazione”.
La vita della figlia Elena Casati Sacchi e delle nipoti Ada e Beatrice Sacchi ne sono una conferma.
Carlo Volpati, Un’eroina comasca del Risorgimento: Luisa Riva Casati, dalla rivista “Como e la sua Provincia”, n.11, novembre 1928.
Francesco Dall’Ongaro, Alla memoria di Luisa Riva Casati. Brusselle, J. Briard, 1856.
Emilia Mariani, Memorie e figure, Milano, Vallardi, 1899.
Referenze iconografiche: immagine tratta da un articolo di Carlo Volpati, Un’eroina comasca del Risorgimento: Luisa Riva Casati, dalla rivista “Como e la sua Provincia”, n.11, novembre 1928.
Voce pubblicata nel: 2022
Ultimo aggiornamento: 2023