L’8 marzo 2021, Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum di Amsterdam, coadiuvato dai suoi curatori, ha deciso di includere nella celebre Eregalerij (Galleria d’onore) del museo tre dipinti: Serenade((Trad. Serenata)) (1629) di Judith Leyster, Memorieportret van Moses ter Borch((Trad. Ritratto alla memoria di Moses ter Borch)) (1667/1669) di Gesinater Borch (dipinto insieme a suo fratello Gerard ter Borch) e Stilleven met bloemen in een glazen vaas((Trad. Natura morta con fiori in un vaso di vetro)) (ca. 1690-ca. 1720) di Rachel Ruysch.
Judith Leyster nacque ad Haarlem nel 1609 e venne battezzata nella Grote Kerk, la cattedrale della città, chiesa in origine di confessione cattolica e passata alla Chiesa riformata nel 1566 al termine della famigerata beeldenstorm((Trad. Tempesta/tumulto delle immagini e/o statue)), il movimento iconoclasta protestante.
Haarlem, Amsterdam e Leida erano tre importanti città della provincia d’Olanda, una delle Sette Provincie Unite della Repubblica dei Paesi Bassi, che a partire dalla fine del XVI secolo assunsero sempre più rilevanza economica, commerciale e politica, non solo nell’ambito della giovane Repubblica ma anche nella più vasta arena mondiale.
Per la città di Anversa, invece, quegli anni rappresentarono il periodo del grande declino, diretta conseguenza del saccheggio e del lungo assedio subiti per mano di Alessandro Farnese al comando delle truppe del re Filippo II di Spagna, che terminarono nel 1585 con la capitolazione e l’occupazione della città. Basti pensare che tra il 1560 e il 1590 la città vide passare la sua popolazione da 100.000 ad appena 42.000 abitanti, per la maggior parte cittadini che emigrarono nelle liberali, tolleranti e ricche città della provincia d’Olanda.
Tra questi ultimi si trovò il padre di Judith, l’ancora adolescente Jan Willemszn Leyster, che si mosse con la famiglia da Anversa ad Haarlem. In seguito, nella città d’adozione conobbe Trijn Jasperdr, con la quale si sposò. Entrambi provenivano e operavano nel settore della manifattura tessile.
La menzione del cognome Leijtster accanto al nome Jan Willemszn venne riportata per la prima volta in un documento ufficiale nel 1603, come risulta dall’archivio comunale di Haarlem.
L’insegna con la ‘Leij(t)star’ ossia la stella polare((Leijt-ster /leid-ster /leijt-star/leyster, poi sinonimo di ‘poolster’, stella polare, ‘la stella che indica la rotta’. (N.d.A) )), era appesa fuori della loro casa nel Vrankensteeg e vi rimase sicuramente fino al 1669, sebbene i genitori di Judith vi abitarono fino al 1619. Da notare che Jan Willemsz chiamò Leystar anche il birrificio che acquistò nel 1618((Fonte: articolo ‘Judita Leystar, een kloeke schilderes’ (Judita Leystar, una pittrice notevole) di Ellen Broersen, 1993)).
In quell’epoca era frequente che il nome dato alla casa – in questo caso Leijster – o anche all’attività lavorativa svolta dai proprietari dell’abitazione, assumesse la funzione di denominazione identificativa di tutta la famiglia, trasformandosi in cognome – come ad esempio Molenaer o Molenaar per mugnaio, Bakker per fornaio, e così via. Quindi, l’uso che fece Judith del simbolo della stella vicino al monogramma JL per firmare le sue opere, non fu un caso.
I primi anni dopo il loro matrimonio, avvenuto ad Haarlem nel 1594, i genitori di Judith, pur non facendo parte della ricca borghesia mercantile cittadina, godevano comunque di una discreta condizione economica, lavorando nella manifattura e nel redditizio commercio del settore tessile.
I quindici anni successivi alle nozze videro la nascita di nove figli, di cui Judith era la penultima. Purtroppo, dopo una serie di investimenti sbagliati o semplicemente avventati tra cui l’acquisto del birrificio, nel 1624 Jan Willemzn Leyster venne dichiarato fallito. Nei primi mesi del 1625, in seguito al fallimento, vennero venduti tutti i suoi beni immobili, vale a dire le case e il birrificio assieme a mobili e stigliature.
Nel 1628 furono costretti a trasferirsi a Vreeland, un villaggio nei pressi di Utrecht. Le ragioni di questo trasloco vanno ricercate sia nella necessità di sfuggire ai creditori, ma soprattutto all’onta che ormai gravava sul suo nome, dovuta all’espulsione dal consiglio dei gentiluomini della Chiesa, in particolare tra i membri della comunità della Chiesa Riformata che non facevano sconti ai peccatori di simili reati finanziari.
Traslocarono di nuovo nel 1629, andando ad abitare a Molenbuurt-Zaandam dove, per ironia della sorte, Jan Willemszn Leyster divenne esattore delle imposte sulla birra.
Le varie vicende giudiziarie dei genitori di Judith si conclusero in maniera definitiva solo nel 1634 con la sentenza inappellabile di bancarotta fraudolenta. La coppia rimase ad abitare a Molenbuurt-Zaandam fino alla morte.
Questo riepilogo delle vicissitudini della famiglia Leyster dà un contesto al periodo giovanile di Judith e agli inizi della sua carriera di artista.
Fino all’età di quindici anni (siamo nel 1624, anno in cui il padre cadde in disgrazia), Judith crebbe in condizioni di agiatezza. Jan Willemzn Leyster e sua moglie Trijn disponevano di mezzi sufficienti per permettersi di far studiare i figli. I due genitori garantirono ai figli, oltre l’istruzione necessaria per leggere, scrivere e fare di conto, addirittura il mantenimento per la loro formazione professionale, anche quando questa era esterna all’attività svolta dalla famiglia.
E Judith, la penultima di nove figli, scelse la professione di pittrice, professione costosa, che richiedeva un investimento rilevante.
Nelle origini della famiglia Leyster non sono state rinvenute dagli studiosi tradizioni che riconducano ad attività artistiche in generale e alla pittura in particolare, come invece fu il caso, per esempio, di Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1653) o di Maria de Grebber (Haarlem 1602 – Enkhuizen 1680), entrambe sue contemporanee ed entrambe figlie di pittori. Quindi è abbastanza sorprendente che lei, figlia di commercianti-tessitori, riuscisse a inserirsi nel difficile mondo dell’arte, per di più monopolio maschile.
Una delle più concrete ragioni all’origine della sua carriera potrebbe essere ricondotta al mestiere del padre che, con la sua impresa di tessitura su telaio, riceveva spesso ordinazioni di stoffe che richiedevano raffigurazioni, che lui realizzava con l’aiuto di modelli disegnati o dipinti da pittori. Judith, comunque, riuscì a entrare come apprendista nell’atelier di Frans Pietersz de Grebber, affermato pittore di Haarlem e membro della gilda di San Luca fin dal 1600; artista molto richiesto per i suoi ritratti di gruppo, il quale accolse nel suo studio come praticanti, oltre ai suoi tre figli, svariati pittori.
La presenza di Judith nell’atelier viene documentata in un passaggio del libro di Samuel Ampzing scritto nel 1621 e pubblicato nel 1628 ‘Beschrijvinge ende lof der stad Haarlem’((Trad. ‘Descrizione ed elogio della città di Haarlem’)), una sorta di ode alla città di Haarlem. Qui l’autore si riferisce alla pittrice usando semplicemente un asterisco a forma di stella, asterisco poi riprodotto a lato pagina e fatto seguire dal nome dell’artista.
Secondo gli esperti, uno dei motivi principali che fece ricadere la scelta dei genitori di Judith su Frans de Grebber come mastro pittore per il tirocinio della figlia è da ricondursi al fatto che nell’atelier era già presente una praticante donna: Maria, la figlia del maestro. Samuel Ampzing menzionò infatti nel suo libro Judith Leyster affiancata a Maria de Grebber, definendole le uniche due donne pittrici in città.
Si pensa che Judith realizzò il suo praticantato tra i dodici e i sedici anni, cosa normale per l’epoca. Non è chiaro se nel 1625 la sedicenne Judith seguì i genitori nella loro fuga dalla vergogna e dai debiti. Ci sono ipotesi di studiosi, non confortate da alcun documento dell’epoca, che Judith trascorse con loro il primo trasferimento a Vreeland facendo tirocinio presso lo studio di uno dei caravaggisti di Utrecht; supposizioni basate sull’influsso dello stile caravaggista rilevato dagli esperti in due delle sue opere: Serenade((Trad. ‘Serenata’)) e Vrolijke drinker((Trad. ‘Allegro bevitore’)) del 1629. Nondimeno, altri studiosi affermano che lo stesso influsso caravaggista Judith avrebbe potuto subirlo in un atelier di Haarlem dove suppongono lei rimase, alloggiando presso il suo maestro o presso dei parenti, e dove la fama dei caravaggisti si era ugualmente diffusa.
La menzione nel libro di Samuel Ampzing che, citandola accanto al simbolo della stella la definisce una ‘notevole pittrice’, è l’unica concreta attestazione degli inizi dell’attività pittorica di Judith Leyster e del suo contributo al movimento artistico di quegli anni.
Questo riconoscimento fu poi seguito dall’eccezionale ammissione della pittrice alla gilda di San Luca di Haarlem, la corporazione dei pittori, come riportato nei registri dell’amministrazione.
Non è chiaro se fu Judith Leyster la prima donna accolta nella gilda della città di Haarlem nel 1633 o se invece fu Sara van Baalbergen. Comunque sia, si può senz’altro affermare che Judith fu una delle prime due mastre pittrici riconosciuta dalla gilda, e il suo nome fu presente nei documenti della corporazione fino al 1636, anno in cui sposò Jan Miense Molenaer e si trasferì ad Amsterdam.
In quel tempo, la richiesta di ammissione alla gilda di San Luca era subordinata non solo agli anni di formazione professionale come tirocinante, ma anche ad almeno un anno di lavoro come artista indipendente presso lo studio di un mastro pittore riconosciuto. Gli storici dell’arte che hanno effettuato approfondite ricerche sulla vita e l’opera della Leyster, partendo dal suo primo dipinto identificato, firmato con il suo monogramma e datato 1629, presumono che la pittrice abbia iniziato la sua formazione tra il 1623 e il 1625. Mentre si pensa che dal 1629 al 1633 abbia prestato la sua opera come artista indipendente presso l’atelier di Frans Hals, riscontrando nelle opere di Judith affinità tematiche e stilistiche con il grande pittore. Affinità che si ravvisano peraltro anche con Dirck Hals, fratello di Frans, specialmente nei primi lavori della Leyster.
Gli studiosi pensano inoltre che Judith trovò una forma di accordo con i suoi maestri che le permise di operare come artista indipendente presso i loro atelier e al contempo produrre e vendere lavori nella sua bottega.
L’iscrizione alla gilda di San Luca era certamente un riconoscimento notevole per un artista, in particolare per un’artista donna, ma era soprattutto necessaria per poter svolgere la professione in proprio. E Judith aveva bisogno di guadagnare per mantenersi, soprattutto dopo il fallimento dei genitori.
Nel 1633 la mastra pittrice aprì quindi il suo atelier di pittura, inseguendo la possibilità di profitti nel libero mercato e rivelandosi già in quei primi passi di attività in proprio un’attenta e dotata imprenditrice.
Da alcuni documenti relativi a una controversia avuta da Judith con un suo apprendista, gli studiosi hanno stabilito che fu la prima donna pittrice di Haarlem a esercitare la professione in uno spazio tutto suo e ad avere dei lavoranti.
La concorrenza era notevole ed essendo il mercato dei grandi committenti, quali le amministrazioni cittadine o i ricchi e potenti mercanti, molto difficile da penetrare, orientò la sua produzione di quadri verso le esigenze del libero mercato e delle lotterie.
Judith dipinse scene di vita quotidiana, spesso catturate in momenti ricreativi; scelse soggetti borghesi e scene di gruppo anche con bambini e donne; preferì utilizzare tele facilmente trasportabili; eseguì i suoi dipinti con pennellate svelte, larghe e sciolte che velocizzando la produzione ne caratterizzarono lo stile.
Jan Miense Molenaer nacque ad Haarlem nel 1610, nella casa paterna situata in Clercksteeg, una viuzza che si trovava proprio dietro il birrificio del padre di Judith. È possibile che Judith e Jan Miense si conoscessero già da bambini e che, successivamente, frequentarono insieme l’atelier dei fratelli Frans e Dirck Hals di cui entrambi subirono l’influenza.
Interessante osservare alcune analogie nelle biografie di Judith e Jan Miense: furono praticamente coetanei essendo nati nel 1609 e nel 1610; nacquero e crebbero nella stessa città, Haarlem, addirittura nello stesso quartiere; diventarono entrambi pittori; i primi quadri a loro attribuiti e datati con certezza sono del 1629; Judith entrò nella gilda di San Luca nel 1633 e Jan Miense nel 1634; Judith morì nel 1660 e Jan Miense nel 1668. Due anime gemelle, due vite sincrone, ma alla loro morte fu solo la fama di Jan Miense Molenaer a sopravvivere, oscurando quella della ‘stella’.
Nel maggio 1636 la coppia fece le pubblicazioni di matrimonio presso la Grote Kerk di Haarlem. Il matrimonio però non venne celebrato ad Haarlem bensì a Heemstede il mese successivo. Gli storici pensano che la scelta sia stata dovuta a una fuga dai creditori, di Jan Miense stavolta, che, come primo figlio maschio, si era impegnato dopo il suo matrimonio di pagare i debiti della madre, che si presume fosse rimasta vedova. Da tener presente inoltre che nel 1636 ad Haarlem scoppiò un’epidemia di peste molto più grave che ad Amsterdam, città dove i novelli sposi si trasferirono subito dopo le nozze.
Il matrimonio fu per Judith Leyster la tomba del suo nome e del suo riconoscimento futuro come artista nella storia dell’arte.
La sua riscoperta avvenne nel 1893, dopo circa duecentocinquanta anni dalla morte, da parte di un attento e perspicace storico dell’arte, Cornelis Hofstede de Groot. Fu questo critico e studioso d’arte che le restituì l’identità artistica, grazie all’attribuzione di sette opere sulla base del famoso monogramma JL con la stella al lato, pubblicando successivamente uno studio sulla pittrice.
Le attribuzioni riguardarono principalmente la produzione della pittrice dal 1629 al 1636. Infatti, se si escludono il famoso acquarello ‘Tulp, de vroege Brabantsson’((Trad. Tulipano, il Brabantsson primaticcio)) firmato col noto monogramma e datato 1643, e un’opera registrata come dipinto di Judith Molenaer nell’inventario di opere redatto dal mercante d’arte Emanuel Burck e datato 1642, non esistono altre opere firmate e/o attribuite a Judith Leyster dal 1636, anno delle nozze, fino alla sua morte avvenuta nel 1660.
Nell’inventario dei beni di Jan Miense Molenaer redatto alla morte del pittore nel 1668, furono registrati alcuni dipinti attribuiti alla Leyster, annotati come eseguiti dalla ‘signora Molenaer’ o dalla ‘moglie dell’artista’. Tuttavia, dopo aver analizzato i soggetti e i temi dei quadri riportati nell’inventario, gli esperti pensarono che, a parte alcune eccezioni, le opere non fossero direttamente riconducibili alla Leyster ma neanche al marito. Un’ipotesi fu che l’autrice di queste opere possa essere stata la loro figlia Helena.
Negli svariati lessici, enciclopedie e compendi storico-artistici apparsi tra la fine del XVII e fino alla fine del XIX secolo, il nome della Leyster fu letteralmente ignorato. Tra i cataloghi delle aste del XVII e XVIII secolo provenienti da Paesi Bassi, Inghilterra, Francia e Fiandre, non ce ne fu uno in cui apparve il nome della Leyster, benché oggi sia noto che molti dei suoi dipinti, firmati col suo monogramma, furono venduti in quell’epoca.
Peraltro, in vita Judith fu un’artista riconosciuta e stimata, e anche nel periodo matrimoniale fu una donna molto attiva, non solo artisticamente. Era lei che spesso si occupava delle vendite delle opere del marito, che ormai aveva raggiunto un’indiscussa fama, in particolare ad Amsterdam. Si pensa altresì che nella loro casa-atelier i Leyster-Molenaer svolgessero anche l’attività di galleristi, nell’accezione odierna del termine, vendendo non solo le opere di Jan Miense ma anche di altri artisti. Di quel periodo gli storici hanno rinvenuto documenti notarili e atti di vendita firmati da Judith Molenaer, o dalla signora Molenaer. Solo due atti furono firmati col suo nome da nubile Judith Leyster: l’acquisto di un immobile nel 1655 e il testamento.
A tutt’oggi, gli storici dell’arte si chiedono se, dopo il matrimonio, Judith ebbe o meno un ruolo attivo come pittrice nell’atelier del marito, e, in generale, propendono per il sì. Opinione basata anche su una citazione nel libro di Theodorus Schrevelius, anche questo una celebrazione di Haarlem, pubblicato nel 1647-1648 (quindi circa dodici anni dopo il matrimonio), dove l’autore cita la pittrice come “una delle donne artiste della città” utilizzando il gioco di parole sul suo cognome
“[…] Iudith Leister… come la vera Leyster (N.d.A. stella polare) nell’arte […] che come moglie porta il nome del marito Molenaer, famoso pittore, nato ad Haarlem e conosciuto ad Amsterdam”.
Una cosa resta tuttavia indiscussa: stando ai documenti notarili esaminati dagli esperti, se ne ricava che Judith Leyster ebbe un ruolo molto importante nell’amministrazione e nella gestione delle case e dell’atelier, confermandosi una valida imprenditrice.
A tale riguardo, celebri viaggiatori dell’epoca decantarono le qualità imprenditoriali delle donne olandesi, qualità che affiancavano alle tipiche mansioni di ‘donne di casa’, come riportò, tra gli altri, Lodovico Guicciardini nella sua ‘Descrittione di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore.’ Anversa, 1567:
“[…] che le donne di questi paesi oltre a occuparsi della gestione della casa, cui gli uomini raramente si dedicano, hanno grande esperienza commerciale e si occupano di compravendite: sono brave nel trattare lavori, che in realtà riguardano l'uomo, con tale destrezza e operosità che in alcuni luoghi come in Olanda e Zelanda, l’uomo lascia decidere e disporre alle donne parecchie questioni.((Traduzione dell’autore dall’olandese del XVII secolo))”
L’ultima abitazione dei Leyster-Molenaer in Amsterdam si trovava nel Dubbeldeworststeeg all’angolo con il Singel, uno dei canali signorili del centro città. Nel 1648 l’immobile venne sottoposto a lunghi restauri e riedificazioni, e per la coppia di artisti non era più confortevole lavorare tra polvere, calcinacci e mancanza di luce. Questo potrebbe essere stato uno dei motivi per l’acquisto in quello stesso anno della fattoria ‘Het Lam’ (L’agnello), situata a Heemstede, piccolo paese tra Amsterdam e Haarlem, paese dove si erano sposati e dove i facoltosi notabili delle due floride città possedevano le loro residenze di campagna.
Si pensa tuttavia che in quegli anni i Leyster-Molenaer non si trasferirono nella casa di campagna, ma di nuovo ad Haarlem. Infatti, Judith Leyster fu inserita di nuovo nel 1651 nei registri ecclesiastici della città come membro della Chiesa Riformata; e in una successiva registrazione negli archivi cittadini del 1655 risulta l’acquisto di una casa in Lombartsteeg ad Haarlem. Quindi è possibile che la famiglia Leyster-Molenaer, dopo aver lasciato Amsterdam, fece spola tra la casa di Haarlem e la fattoria di Heemstede, dove gli storici pensano che frequentarono pittori del livello di Jan Steen e Jacques de Claeuw, artisti che nel 1658 soggiornarono nella stessa cittadina.
Nella loro fattoria di Heemstede, la pittrice trascorse gli ultimi mesi della sua vita. Nell’autunno del 1659 Judith e Jan Miense si ammalarono gravemente e decisero di fare testamento, come risulta dagli atti notarili dell’epoca. Jan Miense si riprese, mentre Judith andò peggiorando sempre più fino alla morte che sopraggiunse il 10 febbraio 1660. Si stampò un invito per la cerimonia funebre del quale si è trovata traccia, mentre non è stato possibile localizzare dove venne sepolta l’artista; gli storici pensano che Judith fu inumata in una tomba in locazione, da cui successivamente vennero rimosse le spoglie.
Il marito Jan Miense, che le sopravvisse otto anni, fu sepolto invece con i dovuti onori nella Grote Kerk di Haarlem, nella zona detta ‘Middelkerck’.
Dei loro cinque figli, solo due sopravvissero ai genitori: Constantijn che morì nel 1671, pochi anni dopo il padre, ed Helena morta nel 1694.
Scomparsa dal mondo dei vivi, Judith scomparve abbastanza presto anche dal mondo dell’arte. Nel corso degli anni, molte delle sue opere, peraltro non numerose, furono attribuite ad altri pittori; in particolare Serenade((Trad. Serenata)), una delle più pittoresche, fu assegnata a Frans Hals. Altri quadri vennero invece attribuiti a diversi artisti suoi contemporanei: Spelletjetriktrak((Trad. Giochino della tavola reale)) a Pieter de Hooch, Jonge fluitspeler(( Trad. Giovane suonatore di flauto)) a Jan de Bray e un’opera unica come Man biedt jonge vrouw geld aan (Hetaanzoek)((Trad. Uomo offre denaro a una giovane donna (la proposta) )), oggi considerata una delle sue opere più rappresentative, semplicemente a un ‘anonimo’.
Come spesso succede, fu solo quando considerevoli interessi economici si elevarono oltre l’arte e l’artista, che avvenne la ‘resurrezione’ di Judith Leyster. Durante un’asta tenutasi a Londra nel 1892, venne battuto il quadro ‘Vrolijkepaar’((Trad. Coppia felice)), allora attributo a Frans Hals. Stando alle ricerche effettuate da Frima Fox Hofrichter((Storica dell’arte e docente di storia dell’arte presso il Pratt Institute di New York, USA)), una delle più grandi esperte viventi di Judith Leyster, alla fine del XIX secolo la domanda delle opere di Frans Hals era cresciuta in modo considerevole, facendone aumentare notevolmente il valore, e mettendo fine a un lungo periodo in cui l’artista era stato lasciato nel dimenticatoio. Il pittore, infatti, era diventato un importante punto di riferimento per la corrente degli Impressionisti, venendo considerato quasi un precursore dello stile impressionista per il suo caratteristico modo di dipingere fatto di pennellate sciolte, dalle notazioni rapide e vivaci.
Di seguito una citazione da un articolo di Frima Fox Hofrichter del 1993, sintomatica per conoscere il fortuito momento magico che portò alla riscoperta di Judith Leyster:
“[…]Vrolijk paar era un’opera attribuita ad Hals almeno dal 1758 e il proprietario, il mercante d’arte Wertheimer, venditore del dipinto, indicava l’ininterrotta attribuzione ad Hals nel lungo cammino della vita del quadro e al monogramma ‘Hals’ che secondo gli atti del tribunale, contiene tutte le lettere del nome Frans Hals: se solo si continuasse a ruotarlo, però! In questa insolita causa, era stata presentata solo una foto del dipinto, essendo stato raggiunto un accordo fuori dall’aula. Nessun’altra attribuzione fu pronunciata e il nome di Leyster non fu nemmeno menzionato durante il processo. Non fu coinvolto alcun perito, ma l’acquirente, Lawrie & Cie., il querelante, consultò Hofstede de Groot, il quale riunì tutti i pezzi del puzzle per dimostrare a Wertheimer chi fosse il vero creatore dell'opera, e con ciò la riscoperta di Judith Leyster divenne un fatto.((Traduzione dell’autore))”
Reduce da questa scoperta, Cornelis Hofstede de Groot pubblicò nel 1893 una trattazione su Judith Leyster, attribuendole sette dipinti sulla base del famoso monogramma, segnando così la rinascita dell’artista. La riscoperta fu salutata con grande entusiasmo in particolare dal movimento delle donne a cavallo del XIX e XX secolo.
Dalle prime attribuzioni effettuate nel 1893 fino a oggi, grazie anche all’avvento di nuove tecniche e con il rinvigorito interesse per la pittrice ‘resuscitata’ da parte di storiche e storici dell’arte, sono state attribuite a Judith Leyster almeno sedici opere((Opere attribuite a Judith Leyster: Serenade Serenata (JL* 1629); Vrolijke drinker Allegro bevitore (JL* 1629); Twee kinderen met een kat Due bambini con un gatto (JL, ca. 1642 o prima); Vrolijk paar Coppia felice (JL* 1630); Vrolijk gezelschap Allegra compagnia (attribuzione senza firma e data); Gulzige drinkers Bevitori insaziabili (JL* senza data); Zelfportret Autoritratto (ca. 1630); Man biedt jonge vrouw geld aan Uomo offre denaro a una giovane donna (JLS* 1631); Spelletje triktrak Giochino della tavola reale (attribuzione senza firma e data); Musicerend gezelschap Compagnia musicale (attribuzione senza firma e data); Jonge fluitspeler Giovane suonatore di flauto (JL* senza data); Meisje met strohoed Ragazza con cappello di paglia (attribuzione senza firma e data); Kinderen met een kat en een aal Bambini con un gatto e un’anguilla (iudith* senza data); Vrouwenportret Ritratto di donna (JL* 1635); Stilleven Natura morta (JL* senza data), Tulp, vroege Brabantsson Tulipano, Brabantsson primaticcio (JL* 1643). )).
Dopo quelle prime attribuzioni del 1893, si iniziò finalmente a inserire la pittrice nei libri e nei cataloghi d’arte come, ad esempio, nel ‘Women painters of the world’((Trad. Donne pittrici nel mondo)) di Walter Sparrow del 1905. Nel corso dei vari decenni che seguirono alla sua riscoperta, apparvero svariate pubblicazioni o menzioni della pittrice rinata: da uno studio sull’artista del 1927 di Juliane Harms, dell’Università di Francoforte, fino alla prima vera monografia della pittrice: ‘Judith Leyster: a woman painter in Holland’s Golden Age’((Trad. ‘Judith Leyster: una pittrice nel Secolo d’Oro olandese’)) (1989) scritta appunto dalla storica dell’arte Frima Fox Hofrichter. Questa pubblicazione ha rappresentato il prologo alla prima grande mostra antologica sulla pittrice ‘Judith Leyster: pittrice in un mondo di uomini’, organizzata dal museo Frans Hals di Haarlem nel 1993, per commemorare il centenario del ritorno di Judith Leyster nella storia dell’arte e il suo reinserimento nell’Olimpo degli artisti del Secolo d’Oro.
La presenza di Judith Leyster, Gesina ter Borch e Rachel Ruysch nella Eregalerij del Rijksmuseum, accanto a Rembrandt, Johannes h
‘Judita Leystar, een kloeke schilderes’ di Ellen Broersen, 1993
‘Schilderen voor de kost – Economische achtergronden van het werk van Judith Leyster’ di Thera Wijsenbeck-Olthuis e Leo Noordegraaf, 1993
‘De zaak-Judith Leyster: uitzonderlijk of representatief?’ di Els Kloek, 1993
‘De verduistering van de Poolster’ di Frima Fox Hoofrichter, 1993
Referenze iconografiche:
Prima immagine: Judith Leyster, autoritratto, 1630 circa. Olio su tela, conservato alla National Gallery of Art, Washington, D.C. Immagine in pubblico dominio.
Seconda immagine: Judith Leyster: bambini con un gatto e un'anguilla, National Gallery, Londra. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2022
Ultimo aggiornamento: 2023