Harriet Lathrop Dunham, nota in Italia come Etta de Viti de Marco, fu una delle esponenti più vivaci del femminismo pratico dell’età giolittiana. In prima linea nelle battaglie per il diritto al voto, fu promotrice di iniziative di filantropia politica di grande forza innovativa. Anna Kuliscioff la descrisse in una lettera a Turati con queste parole:
una signora intelligente, molto colta, attiva e un po’ socialistoide. Si occupa molto delle industrie femminili e fu l’iniziatrice dell’esposizione di merletti abruzzesi, ultimamente fatta a Londra. Insomma è una delle femministe più serie e più moderne del femminismo romano, forse appunto perché non è romana e neppure italiana.1
Nata il primo aprile del 1864 a New York da James Harvey Dunham e da Harriet Winslow Lathrop, Harriet era la maggiore di quattro sorelle, tutte dedite alla cultura, alla vita sociale e alla filantropia, che alla morte del padre ereditarono un cospicuo lascito. Appassionata di storia, di politica, di arte e di letteratura, realizzò fin da giovane viaggi in Italia, dove entrò in amicizia con alcune figure di spicco della scena culturale e politica: l’attrice Eleonora Duse, l’attivista Maria Ponti Pasolini e la cognata di lei, Angelica Pasolini Rasponi, furono tra le sue frequentazioni più durature.
Il 4 giugno 1895, a Firenze, sposò l’economista e deputato radicale Antonio de Viti de Marco e si stabilì con lui nella dimora romana di Palazzo Orsini. Il loro salotto era frequentato da poeti, scrittori, ministri, ambasciatori, molti dei quali provenienti dal mondo anglosassone, come la poetessa Violet Fane, lo scrittore Hamlin Garland, i coniugi Sidney e Beatrice Webb.
Harriet Lathrop Dunham ospitava anche riunioni e iniziative delle attiviste femministe. Nel 1913, la pedagogista Maria Montessori – del cui metodo era convinta sostenitrice – tenne a Palazzo Orsini il suo primo corso internazionale di formazione, in presenza degli Ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, e dei Ministri italiani dell'Istruzione Pubblica e delle Colonie.
Nel 1903 Etta de Viti de Marco fu tra le fondatrici del Consiglio nazionale delle donne italiane (CNDI), entrò a far parte del Consiglio di amministrazione e ne diresse la sezione “Vita cittadina”. In questa veste promosse un progetto di riorganizzazione della beneficenza nella capitale tramite la creazione di un “Ufficio d’informazioni ed indicatore della beneficenza” e la redazione della Guida romana della beneficenza, assistenza, istruzione, previdenza, mutualità, che ebbero risonanza internazionale nei giornali New York Times, Oakland Tribune e Le Figaro.
In occasione del primo congresso del CNDI, che si tenne a Roma dal 23 al 30 aprile del 1908, presiedette i lavori della sezione “Assistenza e previdenza”, presentando un programma poderoso che riguardava la mutualità, la partecipazione delle donne ai consigli d’amministrazione delle congregazioni di carità e delle case di assistenza, il coordinamento degli istituti di beneficenza e l’urgenza di provvedere al problema della disoccupazione.2 Nella sua relazione introduttiva affrontò la questione del confine tra iniziativa privata e azione dello Stato, promuovendo la concezione di un moderno sistema assistenziale che superasse il modello della carità e della beneficenza.3
Insieme a Cora Slocomb di Brazzà e altre attiviste del CNDI fondò, nel 1903, le Industrie femminili italiane (IFI), una società cooperativa volta a promuovere, organizzare sul piano industriale e commercializzare il lavoro femminile tessile tradizionale, così da emancipare le lavoratrici dallo sfruttamento del lavoro a cottimo rendendole autonome e, per quanto possibile, imprenditrici di sé stesse.
Molto influita dalla filosofia dell’Arts and Craft, Etta De Viti de Marco era un’esperta collezionista di merletti e aveva dato vita a una delle imprese pioniere sul cui modello sorsero le IFI: nel 1901, assieme alla cognata Carolina De Viti De Marco, aveva aperto una scuola di merletto nel palazzo nobiliare di Casamassella, nel Salento, che in pochi anni raccolse oltre 800 allieve e vinse numerosi premi a livello internazionale. Nelle IFI si impegnò sul piano della ricerca, della formazione e della commercializzazione. Collaborò attivamente nella organizzazione della succursale aperta da Carolina Amari a New York per le giovani emigrate italiane; studiò e rilanciò con "operosità animatrice"4 le trine prodotte a Pescocostanzo, in Abruzzo; sostenne la cognata Carolina nell’organizzazione della sezione femminile della Scuola d’arte applicata all’industria di Maglie, che fu la prima esperienza formativa professionale rivolta alle donne in Salento.
Nel suo salotto si riunivano le promotrici delle IFI (“patronesse”) per studiare i merletti delle collezioni, mettere a punto i disegni e le tecniche, e organizzare l’attività di promozione e commercio. Erano frequentatrici abituali, tra le altre, Elisa Ricci, collezionista e divulgatrice di trine e merletti; Carolina Amari, fondatrice della già citata scuola di New York; Lina Bianconcini Cavazza, presidente dell’Aemilia Ars di Bologna; Maria Ponti Pasolini e Antonia Ponti Suardi, creatrici della biblioteca popolare Andrea Ponti.
Etta de Viti de Marco fu anche impegnata su altri fronti della scena politica: attiva nel circolo dei liberali, elaborava programmi, pianificava conferenze, diffondeva articoli e supportava finanziariamente i giornali di orientamento liberista e liberoscambista. Innamorata del Mezzogiorno, partecipò alle battaglie per lo sviluppo economico del Sud, contro l’alternativa statalista e industrialista di Francesco Saverio Nitti. Fu al fianco degli interventisti democratici e si mobilitò per la Lega italo-britannica, fondata dal marito nel 1914 per sostenere l’intervento dell’Italia al fianco dell’Intesa, curando e diffondendo le sue pubblicazioni.
Fu inoltre autrice di rilevanti articoli su temi di economia e di politica internazionale, alcuni dei quali pubblicati sul prestigioso Giornale degli economisti, come quelli del 1898 sull’industria dei telefoni in Inghilterra e sulla situazione della Cina, o quelli sui dibattiti inglesi in tema di protezionismo e liberismo del 1903-04.
Dopo la Grande Guerra continuò a coltivare rapporti sociali con gli amici di sempre: Luigi Einaudi, Gaetano Mosca, Umberto Zanotti Bianco, Ernesto Rossi. Ma gravi problemi familiari oltre che il clima politico drammaticamente mutato la allontanarono dalla scena pubblica.
Morì a Roma il 28 agosto 1939 dopo una lunga malattia.
Scritti di Etta de Viti de Marco
«Rivalità internazionali in Cina», Giornale degli economisti, 9 (17), 1898, pp. 547-562
«La questione dei telefoni in Inghilterra», Giornale degli Economisti, ottobre, 1898, p. 351.
«Imperialismo, protezionismo e liberismo in Inghilterra», Giornale degli economisti, 27, 1903, pp. 249 ss; pp. 470 ss; 28 (1904), pp. 48 ss; pp. 155 ss.
«Assistenza e previdenza», Vita femminile italiana, III, 3, 1908, pp. 620-632
«Giustizia militare o giustizia tedesca? Il caso Edith Cavell», La Voce, edizione politica, 7 (13), 1915, pp. 673-677.
«America e Civiltà», Il Resto del Carlino, 6 settembre, 1915
Studi su Etta de Viti de Marco
E. Laurenzi, Fili della trasmissione. Il progetto delle donne De Viti De Marco-Starace nel Salento del Novecento, Lecce, 2018
E. Laurenzi, M. Mosca, «Etta De Viti de Marco (1864-1939). Un’attivista americana nell’Italia liberale», Storia del Pensiero Politico, 2, 2019
M. Mosca, «Harriet Lathrop Dunham alias Etta de Viti de Marco», in E. Laurenzi, M. Mosca, A Female Activist Elite in Italy (1890-1920). Its international network and legacy, London, Palgrave, 2021
Fonti iconografiche
Ritratto in foto di Etta de Viti de Marco. Roma, 24 marzo 1939. Archivio Carolina de Viti de Marco e Giulia Starace, Fondazione Le Costantine, Casamassella, Lecce.
Voce pubblicata nel: 2023
Ultimo aggiornamento: 2024