L’obiettivo, sopra tutti gli altri, era quello di rendere giustizia alla letteratura, di trovarle il posto nel mondo che le spettasse, di difenderla e tenerla al riparo dalla cultura di massa. Alla cultura letteraria, al pensiero critico ha dedicato la sua intera vita, cercando nelle parole degli altri un riparo dalla solitudine, nera come i suoi capelli a caschetto.

Grazia Cherchi nasce a Piacenza il 19 luglio 1937 da Amsicore Cherchi e Regnoletta Regnoli. Il padre, di origini sarde e antifascista, era avvocato e militante del Psi. L’infanzia e la giovinezza di Grazia, di cui sappiamo ben poco, trascorrono in terra emiliana. Nel 1956 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna, mantenendo stretti rapporti con la sua città natale, dove partecipa attivamente a eventi culturali e politici, organizzati dal Psi. In quel fermento di giovani intelletti conosce Piergiorgio Bellocchio, piacentino anche lui, allora già impegnato in un progetto politico-culturale a cui prende parte anche Grazia stessa. Questi luoghi saranno il terreno fertile su cui nasceranno i «Quaderni piacentini», una rivista bimestrale nata nel 1962 e definita da Pino Corrias "il cuore di carta di una rivoluzione che non ci sarebbe mai stata".

Minuta, accanita fumatrice, dai lineamenti decisi, un taglio di capelli pratico, che non portasse via tempo ai pensieri: Grazia non ha mai avuto tempo da dedicare a se stessa. Così si presentava: essenziale, concisa, senza sfumature.

La vis polemica e le sferzanti argomentazioni che scorrono nelle pagine dei «Quaderni piacentini» sono l’immagine scritta del pensiero storico e politico della Cherchi e di Bellocchio. La rivista non risponde a nessun partito. Sostenitori della democrazia - coadiuvati da un gruppo di intellettuali di rilievo come Elsa Morante, Vittorio Sereni, Vittorio Foa, Giovanni Giudici, Goffredo Fofi – Grazia e Bellocchio cercano, con commenti severi e irriverenti, di scardinare miti: "un’operazione di distruzione del sacro, del dogma, dell’autorità, anche (soprattutto verrebbe da dire) quando appartenente al mondo culturale di sinistra". 1

Accanto alla lotta per la difesa della libertà di pensiero, la Cherchi si occupa di critica letteraria: dagli anni Sessanta lavora come lettrice esterna per Mondadori e Garzanti; dagli anni Settanta si intensifica il suo impegno: scrive recensioni e rubriche su giornali e riviste, commentando libri pubblicati e autori emergenti, arricchite dal suo sguardo competente e mordace che, nel tempo, ha fatto di lei una delle penne più rispettate e temute dell’ambiente editoriale.

Sono passati alla storia i suoi pareri di lettura, per quelle frasi caustiche, scritte senza remora alcuna di ferire il destinatario:

Manca la narrazione. Emozioni, stati d’animo, rapporti personali sono sempre detti, spiegati, precisati, anziché espressi attraverso fatti narrati o dialoghi. Quasi sempre tre parole su quattro, tre frasi su quattro sono di troppo. Troppe ingenuità nel taglio e, ripeto, nel linguaggio. […] Una noia tranquilla, ininterrotta spira dalle pagine […] Chissà, forse una rielaborazione della materia, un grosso lavoro di tagli potrebbero darci un libro che le signore, un po’ attempate però, potrebbero portarsi al mare 2

Iperbolica, ironica, sferzante, temibilmente critica, non ha mai lasciato spazio alla sua vita personale. I suoi amici più stretti hanno ammesso di non essere a conoscenza di nulla che riguardasse i suoi intimi affetti, le sue piccole o grandi passioni. Forse la sua riluttanza, presume Goffredo Fofi – collega, amico, confidente – era da attribuire ad una grande delusione del passato, un grande amore mai sbocciato. Quest’anima sola, senza amori, offesa, ferita, ha cercato gratificazioni in un mondo a lei ostile. Insicura del proprio aspetto, si trascurava come ha trascurato il tumore che l’ha portata via troppo presto.

La devozione per la letteratura l’ha condotta invece a prendersi cura personalmente dei testi e delle parole degli altri: il suo non era solo un lavoro di taglio e cucito di verbi e proposizioni ma una guerra totale contro la banalizzazione di testo e contesto. Grazia Cherchi è stata la prima a dichiarare l’intento e il labor limae, fino a quel momento tenuti nascosti, che l’editor professionista compiva su testi d’autore. È stata la prima editor freelance, per avere autonomia e libertà di giudizio, per tutelare gli interessi di lettori e letteratura. È stata la prima editor a scegliere personalmente gli autori e i manoscritti su cui lavorare: una matita temutissima, che eliminava senza pietà gli eccessi e i fronzoli.

Stefano Benni – ironizzando sul vizio dell’amica-editor di togliere, levare, alleggerire - ha scritto per lei questa filastrocca:

"Grazia mi ha scritto: Bravo Stefano//finalmente hai mandato//un vero romanzo//asciutto e stringato//Grazia, da mesi di dirtelo tento//era la lettera d’accompagnamento".

Bollava come illeggibili le opere più disparate: proverbiale è rimasta la sua avversione per Il nome della rosa di cui ha scritto: "Ha il sapore delle patatine dei fast-food".

Intollerante verso avverbi in eccesso e descrizioni esplicite, chiedeva ai suoi autori di lasciare al lettore quel margine di non detto in cui poter esprimere la propria fantasia. Era così caparbia e decisa nei suoi consigli che in pochi avevano il coraggio di contraddirla, nonostante lei si presentasse con correzioni a matita e una gomma per cancellarle. Lalla Romano ha definito quello di Grazia un "compito umano" che le ha impedito di chiedere in cambio anche solo un po’ di riconoscenza. Essere editor significava per lei rinunciare al proprio orientamento per immedesimarsi in quello dell’autore, indossare i panni dell’altro senza invaderne gli spazi.

Ha scritto Grazia sul numero di «Panorama» del Luglio 1987:

L’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna infatti tuffarsi nell’altrui personalità (anche stilistica) abdicando alla propria; […] è un lavoro che resta rigorosamente anonimo, di cui si è ringraziati solo verbalmente. 3

E così ha fatto anche nella vita vera, ha tenuto in disparte se stessa per far emergere chi riteneva degno. O forse, aveva solo bisogno di qualcuno che si accorgesse della sua anima inquieta, che si prendesse cura di lei, tanto quanto lei si è presa cura delle parole.

Grazia Cherchi si è spenta in una clinica di Milano il 22 agosto 1995. Negli ultimi giorni di folle sofferenza ha continuato a lavorare, indefessa, dettando le correzioni ai pochi amici che ha voluto al suo fianco.

Note


1 G. Tettamanti, Tuffarsi nell’altrui personalità. Il lavoro di editor di Grazia Cherchi, Milano, Edizioni Unicopli, 2016, p. 31
2 Parere di lettura di Grazia Cherchi del 1971 su Approssimato per difetto di Gina Lagorio in Archivio storico Arnoldo Mondadori Editore.
3 M. MONFERRINI, Grazia Cherchi, Perugia, ali&no editrice, 2015, p. 21

Voce pubblicata nel: 2019

Ultimo aggiornamento: 2023