La rapida successione degli avvenimenti, le emozioni che questa rapidità faceva nascere, erano causa di una specie di ebbrezza che affrettava i tempi e non lasciava più sentire il vuoto, né l’inquietudine dell’esistenza. (“De l’influence des passions sur le bonheur des individus et des nations”, 1796)
Lucida e passionale, dinamica e tormentata, “vive et triste”, per usare le sue stesse parole. Una persona, insomma, tanto carismatica quanto inquieta ed esigente. A detta delle sue amicizie più strette, sulle quali esercitava una sorta di amorosa tirannide, senza di lei non si poteva vivere, ma neanche insieme a lei.
Pensatrice, romanziera, saggista, Germaine Necker, più nota come Madame de Staël, dal cognome del marito Erik Magnus Staël von Holstein, nasce a Parigi nel 1766, e lì muore nel 1817. Assiste, dunque, al passaggio cruciale dall’Ancien Régime alla nuova era nata dalla Rivoluzione francese. Di formazione protestante, cosmopolita per vocazione, si distingue lungo tutto il corso della sua esistenza “al galoppo” per un’ansia di rinnovamento che trova linfa nell’idealismo romantico tedesco. Ma provenendo da un ambiente illuminista, appartiene, almeno nelle premesse, al XVIII secolo, ragionevole e mondano.
Cresce nella città natale in un clima intellettualmente stimolante: suo padre è il banchiere ginevrino Jacques Necker, ultimo grande ministro della monarchia francese; la madre, Suzanne Curchod, pure di origine svizzera, è un’austera calvinista, colta e benefattrice: si deve a lei la fondazione di un ospedale, a Parigi, che porta tuttora il suo nome, anzi, il cognome del marito: Hôpital Necker-Enfants malades. Proprio per supportare la carriera del consorte, Suzanne lascia da parte la propria vocazione letteraria, senza per questo tralasciare l’istruzione della figlia, e tiene un salotto tra i cui habitués figurano alti funzionari di Stato e finanzieri, insieme a personaggi quali Diderot, D’Alembert, i fratelli Grimm, Benjamin Franklin, Horace Walpole. Hanno tutti inventato qualcosa: chi la libertà, chi i giornali, chi i Lumi, chi il romanzo horror, e chi il parafulmine… In mezzo a tanti uomini di genio si distinguono anche alcune figure femminili, prime fra tutte Madame de Geoffrin e Madame du Duffand, emtrambe, a loro volta, eminenti salonnières nella Parigi degli Enciclopedisti. La piccola Germaine conosce così molto presto, grazie alle “cene del venerdì”, quel gusto tipicamente settecentesco della conversazione brillante e illuminata tra spiriti eletti che non l’abbandonerà più.
Come se ciò non bastasse, a 11 anni, quando Necker viene nominato Controllore generale delle Finanze (1777), diventa la figlia dell’uomo più popolare di Francia e, dopo il sovrano, del più potente. Salvo poi assistere alle sue dimissioni, chiestegli da Luigi XVI in seguito alla pubblicazione (1781) del Rendiconto al Re, in cui il ministro illustra il deficit del bilancio e la lista dei privilegi esorbitanti accordati ai favoriti della Corte. Necker verrà poi richiamato dal governo, ma dopo una serie di alterne vicende, nel 1790 si dimetterà definitivamente per ritirarsi in Svizzera, a Coppet, vicino a Ginevra, nel castello di sua proprietà sulle rive del Lemano. L’antico edificio diventa per lui, come più tardi per la figlia, un luogo d’asilo e di rifugio.
Al 1786 risale il matrimonio di Germaine con il quasi quarantenne barone e diplomatico svedese Erik Magnus Staël von Holstein. “Un uomo arido e senza risorse”, avrà modo di constatare, ben consapevole di quanto, per le donne, accasarsi fosse una scelta troppo spesso obbligata, e troppo raramente dettata dall’amore. Nel suo caso, più che di matrimonio bisognerebbe parlare di accordo internazionale, complicato dal fatto che i genitori rifiutavano la possibilità di un genero non appartenente alla religione riformata. Perciò, “una volta scartati i cattolici, gli avventurieri, i vecchi e gli imbecilli”, la scelta era caduta sull’uomo che, per la sua posizione, sembrava offrire le migliori garanzie: ex cancelliere della regina Sofia Maddalena di Svezia, era diventato consigliere d’ambasciata a Parigi. In seguito alle nozze, assumerà la carica di ambasciatore.
Nel 1787 nasce Gustavine, che però non arriva ai due anni di vita. Seguiranno, nel decennio successivo, Auguste, Albert e Albertine. Pur nel suo tumultuoso stile di vita, la madre li alleva seguendo consapevoli criteri educativi, improntati a una dolce fermezza, nella convinzione che l’infanzia, indifesa e vulnerabile com’è, solo così possa trovare una protezione e un riferimento. Ci è rimasto un tenero ritratto di lei con Albertine bambina, realizzato da Marguerite Gérard, passata alla storia più come cognata e allieva di Jean-Honoré Fragonard, che come talentuosa ritrattista e pittrice di genere. Albert muore precocemente, intorno ai vent’anni. Quanto al primogenito, Auguste, darà prova di stima e affetto per l’illustre genitrice pubblicandone, in edizione postuma, Dix années d’exil (1821).
Tutti e tre i figli sono probabilmente il frutto di altre liaisons della “baronessa”, pur risultando ufficialmente discendenti di Erik Magnus. Il quale, di media intelligenza e di modesta cultura, non regge il confronto con la ben più ardente e giovane consorte, esposta a tutti gli entusiasmi in un momento particolarmente elettrizzante. Così, a poco a poco, i coniugi diventano solo associati: ambasciatore e ambasciatrice.
A renderla seducente non è tanto il fisico: il naso pronunciato, le labbra spesse, la figura poco slanciata, non permettono di definirla bella. Ma gli occhi scuri, intensi, la bruciante vitalità e soprattutto la straordinaria eloquenza catturano gli animi. Si deve a un temperamento così se il suo salotto parigino di rue du Bac, che ella anima con potenza creativa e dirompente, diventa un importante luogo di incontro tra politici e letterati.
Nel 1788 incontra il conte di Narbonne, militare e uomo politico di bell’aspetto che condivide le idee del generale Lafayette in favore di una monarchia costituzionale. Narbonne diventa il suo amante, mentre in Francia la situazione precipita: all’apertura degli Stati Generali, in maggio, segue la riunione dell’Assemblea Costituente, quindi, il 14 luglio, la presa della Bastiglia. Poi, il 4 agosto, vengono soppressi tutti i diritti e privilegi feudali e venduti i beni del clero. Infine, il 26, è la volta della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Affiancata da un gruppo di nobili, partecipa senza risparmiarsi agli eventi, ma nel settembre 1792, con la caduta della monarchia, cui farà seguito l’inizio della fase più radicale e violenta della Rivoluzione, la vita nella capitale diventa impossibile. Si vede dunque costretta ad abbandonare la Francia. Insieme ad alcuni amici emigrati, l’anno seguente soggiorna in Inghilterra: “quattro mesi di felicità lontano dal naufragio della vita”. Nel 1794 perde la madre e rompe con Narbonne, del quale, tra l’altro, aveva agevolato la fuga salvandolo da un mandato di cattura. In compenso, conosce Benjamin Constant, scrittore, politico e intellettuale di origini svizzere, teorico del costituzionalismo liberale. Con Benjamin – uomo indeciso, incostante a dispetto del cognome e disordinato nelle passioni – avrà una relazione lunga e burrascosa, in cui la reciproca, potente, attrazione intellettuale – lei ne difende gli scritti e ne propaganda le idee – si affianca all’incompatibilità dei caratteri, e che caratteri: una storia estenuante.
Dopo aver creduto, inizialmente, alla Rivoluzione, Madame de Staël ne denuncia le derive in quello che si può considerare come il primo trattato di politologia moderna, le Considérations sur les principaux événements de la Révolution française (libro pubblicato, anch’esso postumo, nel 1818). L’autrice condanna senza appello gli arresti e le esecuzioni arbitrarie, caldeggiando una monarchia illuminata all’inglese. Analogamente, in un primo tempo ammira Napoleone, ma quando ne appura il disegno autoritario diventa una sua strenua oppositrice, cosa che pagherà con lunghi anni di esilio a partire dal 1803.
Nel dicembre di quell’anno parte alla volta della Germania. L’incontro diretto con la cultura tedesca e con alcuni dei suoi protagonisti, quali Goethe e Schiller, a Weimar, la segna profondamente. Sulla strada del ritorno, l’aprile seguente, la raggiunge la notizia della morte del padre, cui era legata fino all’adorazione, vedendo in lui l’ideale del cittadino e dell’uomo di Stato. Il dolore è lancinante, ben più di quello procuratole, due anni prima, dalla scomparsa del marito, dal quale viveva del resto separata. Passa l’estate a Coppet, dopo aver scelto come precettore dei figli August Schlegel, scrittore, traduttore, critico letterario, romantico della prima ora e fratello del più noto Friederich: una sorta di incarnazione dello spirito tedesco. August si trasferisce, dunque, in Svizzera, dove lei, pur nella “pace mortale” in cui si trova, riesce a fare della sua residenza forzata, nel bel mezzo di una natura “gloriosa e indifferente”, una vera e propria officina di idee.
Il lavoro – usa girare da una stanza all’altra senza mai staccarsi dal suo scrittoio portatile –, la conversazione, le amicizie (tra le altre quella con Juliette Récamier, altra celebrità dei salotti francesi e icona del neoclassicismo, pure lei invisa a Buonaparte), il teatro di società (cui dà vita organizzando spettacoli, e salendo in prima persona sulla scena, nella Grande Galleria del castello), sono i suoi antidoti all’isolamento. Nasce il “Gruppo di Coppet”, composto da intellettuali (oltre a Constant e a W. Schlegel, citiamo Bonstetten, Sismondi, A. de Humboldt) chiamati a dare un senso alla drammatica accelerazione della Storia e a ripensare le forme del potere. Prende così corpo uno spazio di libero confronto, un luogo, forse l’unico nel cuore di un’Europa asservita, dove la resistenza all’espansionismo imperiale si fonda non sull’orgoglio dinastico o nazionale, ma su principi morali.
Sul declinare del 1804 si mette in viaggio per l’Italia. Quando attraversa il Moncenisio le sembra di entrare in un inferno di ghiaccio. Pur costatando la decadenza e l’arretratezza del Bel Paese – un paese vinto, invaso, frammentato –, ne preconizza il risveglio. Il viaggio la porterà a scrivere Corinne ou l’Italie (1807), romanzo in parte autobiografico (come lo era stato, nel 1802, Delphine). Verrà poi raffigurata nelle vesti della sua anticonvenzionale eroina – una poetessa – dalla pittrice Elisabeth Vigée-Lebrun: ritrattista ufficiale di Maria Antonietta a partire dal 1778, Elisabeth è una delle prime artiste a vivere del proprio pennello.
Nel dicembre del 1807, dopo l’ennesima crisi del rapporto con Benjamin Constant, Madame de Staël riprende la via della Germania, per poi passare il resto dell’inverno a Vienna. Nel 1810, il suo libro forse più importante, De l’Allemagne, che introduce la poetica romantica in Francia, viene censurato dal governo: per l’Imperatore, quel volume è un affronto. A renderglielo ancora più odioso è il fatto che sia stato scritto da una donna, e lui detesta le donne che esercitano l’intelletto invece di dedicarsi a fare figli.
L’anno seguente, costretta in Svizzera dagli eventi, l’ “autrice scomoda” trova le energie per un secondo matrimonio – un “matrimonio segreto”, che lei preferisce non pubblicizzare –, questa volta con un uomo molto più giovane, l’ufficiale ginevrino Jean de Rocca, ventitré anni, tornato invalido dalla guerra napoleonica di Spagna. Con lui ha il suo quinto figlio, Alphonse.
Nel 1812, per sfuggire alla sorveglianza sempre più stretta della polizia, scappa e dopo un viaggio rocambolesco che la porta fin nella Russia in fiamme, raggiunge la Svezia per poi sbarcare in Inghilterra, dove a Londra viene ristampato e ripubblicato il suo testo sulla Germania (1813).
Muore a 51 anni, avendo assistito alla caduta di Napoleone (1814) e alla Restaurazione. Viene sepolta a Coppet, come da suo desiderio. Lascia un ricco elenco di opere nelle quali si schiera, tra l’altro, in favore di una letteratura europea, popolare, e di una poesia sgombra dai vincoli del classicismo. È lei a innescare quella disputa tra “classici” e “romantici” che si protrarrà anche dopo la sua scomparsa, consacrandone l’influenza di grande intellettuale. Nella querelle interviene, tra gli altri, il giovane Leopardi. Il poeta, che era un difensore della migliore letteratura classica italiana, polemizza con la “illustre Dama”. Ma nello Zibaldone non esita ad attribuirle una progenitura in svolte decisive del suo pensiero: “non credetti d’esser poeta se non dopo letti parecchi greci […], non credetti di esser filosofo se non dopo lette alcune opere di Mad. di Staël”.
Con la forza della sua parola, la “illustre Dama”, insuperabile nell’arte della conversazione – attraverso cui esercitava la propria intelligenza in tutte le sue sfumature, anche con i gesti, il tono, lo sguardo – si inserisce, pur nei tempi mutati e con diversi accenti, nel solco delle “preziose”. Vale a dire di quelle signore del ‘600, quali Madeleine de Scudéry e Madame de Sévigné, che nei loro salotti parigini intervenivano sui più svariati argomenti, dando liberamente prova del proprio esprit e affermando così, insieme alle loro idee, un nuovo patto di convivenza tra donne e uomini. Attaccate, talora sbeffeggiate per le loro pretese intellettuali e le maniere ricercate, esse evocano di fatto l’aggettivo “ridicole”, reso popolare dall’omonima commedia di Molière (Les précieuses ridicules). A queste provocatorie nobildonne si deve la formazione dei primi gruppi che potremmo definire “protofemministi”. Madame de Staël, per la modernità del suo pensiero, rimane a sua volta un esempio sulla via di una combattiva consapevolezza di “genere”, oltre che per l’impegno “militante” in favore del progresso e della libertà di tutti, quando ancora per le esponenti del suo sesso non era facile vedersi riconoscere un ruolo pubblico che prescindesse da quello familiare.
Segnaliamo, tra le opere di Madame de Staël: De l’Allemagne, Garnier-Flammarion, Paris 1968.
Delphine. Une édition féministe, Des femmes, Paris, 1982.
Corinna o l’Italia, Mondadori, Milano 2006.
Dieci anni d’esilio, Armando Dadò editore, Locarno 2016.
Lettere sugli scritti e il carattere di Jean Jacques Rousseau. Riflessioni sul suicidio, Bibliosofica, Roma 2016.
Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese. Aragno, Milano 2018.
Lunghissimo l’elenco degli studi e testi, in varie lingue, dedicati a Madame de Staël. Indichiamo qui:
J. Christopher Herold, Amante di un secolo. Vita di Madame de Staël, Bompiani, Milano 1981.
Ghislain de Diesbach, Madame de Staël, Mursia, Milano 1991.
Ricordiamo che il Castello di Coppet (Ginevra), ancora oggi di proprietà dei discendenti di Madame de Staël, è aperto al pubblico per visite guidate agli appartamenti un tempo abitati da lei e dal padre (www.châteaudecoppet.com).
Tra le referenze iconografiche:
François Gérard, Ritratto di Madame de Staël (1810 ca.).
Élisabeth Vigée-Lebrun, Madame de Staël nelle vesti di Corinna a Capo Miseno (1807).
Jean-Baptiste Isabey, Madame de Staël (1810).
Voce pubblicata nel: 2024
Ultimo aggiornamento: 2024