Elza da Conceição Soares, una delle cantanti brasiliane più popolari di tutti i tempi, eletta dalla BBC Radio Brazilian Singer of the Millennium, grazie alle sue notevoli doti canore e presenza scenica, è stata esempio di vita e regina indiscussa del samba e della Musica Popolare Brasiliana (MPB) per ben quasi settant’anni di carriera. Eccentrica, apocalittica, avanguardistica, è stata anche una figura emblematica del femminismo nero, un’icona che ispirò intere generazioni di donne, esortandole a lottare per liberarsi dalla paura, dalla solitudine, dalla segregazione razziale, dalla violenza maschile, dalla tossicodipendenza, dalle inibizioni o dal pudore legato ai loro corpi, piegati dai lavori umili o dalla fame, ma trasformati in qualcosa di etereo e unico, tanto nella danza quanto nell’orgasmo che, seppur ultraottantenne, cantò senza pudore, nei suoi ultimi album A mulher do fim do mundo (2015) e Deus é mulher (2018).
Per la sua voce roca, l’espressività e la tecnica, Elza Soares appartiene all’Olimpo delle voci nere che hanno segnato la storia mondiale della musica, tanto che i critici l’hanno paragonata a Billie Holiday, Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald. Con il passare del tempo, Elza perfezionò lo “scat” (virtuosismo canoro che consiste nel produrre fraseggi simili a quelli degli strumenti musicali) con Louis Armstrong, che conobbe agli inizi degli anni ’60, esibendosi più volte in giro per il mondo; interpretò i più svariati generi musicali, a partire dal samba, la sua base di partenza.
Elza nacque il 22 luglio 1930, in una delle prime favelas della città di Rio de Janeiro, chiamata Moça Bonita (Bella Ragazza). Figlia di Avelino Gomes, operaio, e di Rosária Maria da Conceição, lavandaia, fu costretta dal padre a sposarsi, ancora bambina, a soli dodici anni, con l’operaio Alaúrdes Soares, collega di lavoro diciassettenne del padre, e accusato di averla stuprata, un crimine che Elza, però, nelle sue interviste e biografia, ha sempre negato con veemenza. A tredici anni, partorisce il primo figlio e, a quindici, il secondo: purtroppo, i neonati, nati in condizioni precarie e denutriti, resistono per poche settimane. Accompagnata dal padre alla chitarra, Elza Soares cantava sin da bambina, animando le feste familiari e comunitarie. Da sposa-bambina, veniva picchiata dal marito che le impediva di uscire di casa; poté lavorare soltanto quando l’uomo si ammalò gravemente di tubercolosi, morendo infine nel 1951.
All’epoca, Elza aveva 21 anni e cinque figli da crescere, di cui uno bisognoso di cure. In un’intervista alla giornalista Ana Luíza Guimarães, così raccontò il periodo più duro della sua vita:
Ero soltanto una bambina e i miei figli sono stati le mie bambole. Mi procuravo da mangiare nelle discariche, scansando i corvi. Ero molto più artista di oggi perché, in quelle condizioni, la grande sfida era quella di restare un’artista. Ora, mi sembra tutto così facile…
Vedova, con il corpo segnato dalla fame e dalla violenza, si guadagnava da vivere come lavandaia, operaia presso un saponificio, collaboratrice domestica e addetta alle pulizie all’Instituto Municipal Nise da Silveira, un manicomio. Nonostante l’indiscussa bravura e la particolarità della sua voce, le orchestre, i teatri, e i locali alla moda, che eseguivano musica dal vivo, non la assumevano perché nera.
Per necessità, nel 1953, partecipa alla più importante gara canora delle radio brasiliane, Calouros em desfile, presentata dal famoso pianista, compositore e giornalista Ary Barroso, presso gli studi della Rádio Tupi. In quell’occasione, Elza si presenta in condizioni pietose: con le scarpe infangate e denutrita, indossava gli abiti della madre, di tre taglie più grandi. Derisa dalla platea e dal presentatore, prima ancora di aprire bocca, come riporta il giornalista Zeca Camargo, nella biografia della cantante: “La guardavano con disprezzo e, nel giro di qualche secondo, le risate si moltiplicarono. Schernita da tutti, il presentatore si sentì ancora più a suo agio nell’ironizzare sulla candidata esordiente: Perché sei venuta qui? le chiese. E lei, ritenendo che fosse meglio non cedere alle battute del giornalista, semplicemente rispose: Sono venuta per cantare. Invece quella sua dichiarazione raddoppiò la sua provocazione. Infatti quello incalzò: E chi ha detto che canti? ed Elza, per tutta risposta: Io stessa, Signor Ary. Nonostante il suo aspetto pietoso, sembrava una candidata dura da ‘spezzare’ con qualsiasi battuta. Forse per questo, la domanda successiva fu ancora più sgarbata: Allora risponda a questo, signorina: da quale pianeta viene? E lei, sempre più determinata e ironica al punto giusto: Dal suo stesso pianeta, Signor Ary! A quel punto, il presentatore, che stava già perdendo la pazienza, insistette: E posso chiederle come si chiama questo pianeta? Sembrava che la risposta fosse già sulla punta della lingua di Elza: Dal pianeta della Fame, Signore.”
Nonostante avesse vinto la gara canora più importante del Paese, la strada per affermarsi come cantante fu interamente in salita. Nera e povera, nel corso degli anni ’50, non veniva minimamente presa in considerazione dalle orchestre per esibirsi a feste, balli, matrimoni ed eventi sociali in generale. A causa del razzismo diffuso nella società brasiliana e nell’ambiente musicale dell’epoca, la potente voce di Elza Soares non bastò a garantirle un contratto con le case discografiche, riuscendo ad affermarsi soltanto grazie alle gare canore indette dalle radio; infatti, il suo primo contratto risale al 1960, con la Radio Tupi. Lo strepitoso successo alla radio le garantì il primo tour internazionale, che ha toccato sia Sud che il Nord America e l’Europa, così come i primi single registrati: Brotinho de Copacabana (Bellina di Copacabana) e Pra que é que pobre quer dinheiro? (Perché i poveri vogliono i soldi?). Il secondo disco, dal titolo A bossa negra, del 1962, la consacrò infine al grande pubblico: Elza venne invitata per rappresentare il Brasile ai Mondiali di calcio di quell’anno, dove conobbe Louis Armstrong e il futuro marito, la leggenda del calcio, Manoel Francisco dos Santos, ovvero, Mané Garrincha.
La loro unione, contrastata dal pubblico, dalla stampa e dal regime militare, per via dell’attivismo politico di Elza e dell’anteriore matrimonio di Garrincha, durò circa vent’anni, fino al 1982, quando Elza decise di lasciarlo per via dell’alcolismo e dei maltrattamenti psicologi e fisici che subiva. Era all’apice della sua carriera, mentre Garrincha, in declino da anni nel mondo del calcio, mal sopportava il suo successo: morì un anno dopo il divorzio, nel 1983, per le conseguenze di una cirrosi epatica. La coppia ebbe un figlio, Manuel Francisco dos Santos Júnior, soprannominato Garrinchinha, morto in un incidente automobilistico all’età di 9 anni, nel 1986, al ritorno da un viaggio per conoscere la città del padre e prendere parte alle commemorazioni per l’anniversario della sua morte. Dopo la morte di Garrincha e del loro figlio, Elza cadde in depressione e le porte del mercato discografico si chiusero per lei. Per mantenersi, ha iniziato a cantare nei circhi, finché si rifugiò negli Stati Uniti, per quasi nove anni, presentandosi in piccoli locali, facendo brevi incursioni anche in Europa. Lei, che non beveva né fumava, cadde nel tunnel degli antidepressivi e delle sostanze stupefacenti e tentò persino il suicidio. Dopo la morte del figlio, registrò il disco Voltei (Sono tornata, 1988) e attese quasi dieci anni per il successivo, Trajetória (Traiettoria, 1997).
Nonostante l’onda del successo di critica, le composizioni raffinate e struggenti, contenute in Trajetória, come O meu guri, composta per lei da Chico Buarque, sulla morte del figlio, e gli arrangiamenti, eseguiti dai migliori musicisti del genere samba, il disco fu un flop commerciale. A detta di Elza, a convincerla a non abbandonare la musica fu Caetano Veloso, che la coinvolse nei suoi progetti.
Nel 2000, con una piccola casa discografica di Bahia, Elza Soares lancia l’album che avrebbe determinato le sue future scelte lavorative. Grazie al rap, al funk e alla musica elettronica, mischiate al samba, con l’aggiunta dei migliori parolieri della MPB, come i cantautori Chico Buarque, Caetano Veloso, Carlinhos Brown, Seu Jorge e tanti altri, il disco Do Cóccix até o Pescoço inaugurò la fase della massima libertà creativa. Nei dischi successivi, Elza collezionò successi e premi: Vivo Feliz (2003), A Mulher do Fim do Mundo (2015), vincitore del Latin Grammy per il miglior album MPB, Deus É Mulher (2018), anch’esso vincitore del Latin Grammy per il miglior album MPB, Planeta Fome (2019), Elza Soares & João de Aquino (2021) e No Tempo da Intolerância (2023), pubblicato dopo la sua morte, con sette brani dell'album composti da lei stessa, in momenti diversi della sua vita.
Sulla capacità e la forza di rialzarsi dopo ogni caduta, Elza Soares dichiarò, in una sua intervista:
Credo sia l’attitudine, la dignità e la necessità a portarmi a farlo. Amo me stessa e la vita: esistiamo e dobbiamo tutti imparare a vivere. Non so dirti da dove proviene la mia forza. Dormo quattro ore, faccio molta palestra e credo ancora nella vita e negli esseri umani. Penso che la triste storia dell’umanità possa prendere una piega diversa, se vogliamo. Credo nelle donne brasiliane ma, in generale, in tutte le donne. Credere negli esseri umani è ciò che mi fa restare viva. Quando le persone mi dicono ma questa tua sofferenza qua… io le correggo sempre: preciso che non è stata una sofferenza, perché è così che funziona nella palestra della vita, dove ho imparato che, soltanto se cado, posso rialzarmi. Non sempre ritrovarsi a tappeto significa perdere la lotta; possiamo vincerla, perché tocca sempre a noi rendere quel k.o. permanente o temporaneo. Sentirci sconfitti, almeno una volta nella vita, è necessario per imparare a vivere.
In occasione del ritiro del premio di miglior cantante al WME Awards 2018, Elza espresse efficacemente la propria posizione femminista:
Dobbiamo gridare, denunciare, parlare e dimostrare che le donne sono superiori in tutto. È costato e continuerà a costarci. La guerra è perenne, ma oggi è più facile vincerla.
Nel corso della sua lunghissima carriera, con oltre cinquanta dischi registrati, Elza Soares toccò argomenti profondi, ma alquanto controversi, arrivando a subire attentati, che la costrinsero all’esilio, durante il periodo della dittatura militare (1964-1984). Visse tra il 1970 e il 1972 con Mané Garrincha, a Torvajanica, frazione di Pomezia, nel Lazio. Senza mai rinnegare il suo femminismo o l’attivismo politico verso la popolazione povera, nera o LGBTQ+, si esibì con successo in alcuni teatri romani, soprattutto al Sistina, con brani che denunciavano il razzismo, come Máscara Negra, o lo pseudo femminismo in Garota Moderna. Sebbene i dolori della sua vita personale fossero tanti ed emergessero a ogni canzone interpretata o composta da lei, Elza Soares emanava forza, desiderio e voglia di vivere, con lo scopo di rincuorare il suo pubblico e incentivarlo a superare le difficoltà della vita, ponendo il focus su ciò che di bello aveva invece da offrire.
In occasione dell’uscita del suo album, Deus é mulher, nel 2019, dichiarò:
Sono nata femminista perché ho sempre combattuto per i diritti delle donne. Sono una femminista per mia madre… per me stessa. Essere una femminista, per me, significa lottare, battermi per tutte le altre, e lo faccio attraverso la mia musica e i miei discorsi. Anche se penso che le giovani generazioni siano molto più consapevoli, c'è ancora tanto da fare”.
Forse la miglior definizione di Elza Soares, che in pubblico si mostrava sempre sorridente, la diede il cantautore Chico Buarque, nella canzone che scrisse per lei, dal titolo Dura na queda (Resistente alle cadute): Smarrita sul viale/canta la sua storia fuori dal Carnevale/Ha perso la gonna/ha perso il lavoro, ma sfila naturalmente/Incroci, mille clacson/Immagina orchestre, balla un samba nella fontana/Viva la pazzia/Il dolore nulla vale, la felicità invece sì/ Il sole illuminerà la sua strada/la luna illuminerà il mare/La vita è bella, il sole, la strada gialla/E le onde, le onde, le onde/Traballa, vacilla/ È resistente alle cadute, stenta a rendersi conto/Ha abbandonato la famiglia, ha ingerito veleno/Ma morirà dal ridere/ Girovaga, sogna ad occhi aperti/Ne ha già avuto abbastanza/Ma per chi sa apprezzarlo/anche un fiore è una ferita aperta/eppure non lo si vede piangere.
Il 17 e 18 gennaio 2022, Elza Soares registrò un album e un DVD dal vivo, sul palco del Theatro Municipal di San Paolo, luogo simbolo dell’élite culturale bianca del Paese. Sul palco che ha sempre sognato di occupare da bambina, considerato il Pantheon brasiliano della lirica e della musica sinfonica, la cantautrice intonò i brani più rappresentativi della sua carriera.
Vestita da regina, con un turbante come corona, le ultime parole registrate su quel palcoscenico furono i versi della canzone Mulher do fim do mundo, in cui Elza chiedeva al Mondo di lasciarla cantare fino alla fine:
Mulher do fim do mundo/eu sou, eu vou até o fim cantar/Cantar, eu quero cantar até o fim/Me deixem cantar até o fim.
Si spense nella sua casa, a Rio de Janeiro, due giorni dopo l’esibizione in cui cantò la sua intera esistenza con un’energia e una voce definita dai musicisti accompagnatori, e tecnici presenti, “gigantesca” tanto per il suo essere minuto, quanto per i suoi 92 anni.
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MARRAS, Elisabetta. Una voce brasiliana del millennio: tradurre e cantare Elza Soares attraverso il metodo di Peter Low. Tesi di laurea: https://thesis.unipd.it/handle/20.500.12608/51159
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SANCHES, Pedro Alexandre Sanches. Sou cantora djou de outro mundo. Disponibile su https://www1.folha.uol.com.br/folha-100-anos/2022/01/elza-soares-a-folha-em-1997-sou-cantora-djou-de-outro-mundo.shtml Accesso il 03 giugno 2024
ZEITEL, Gustavo. Velório de Elza Soares se encerra no Rio ao som de 'A Mulher do Fim do Mundo'. Disponibile su https://www1.folha.uol.com.br/ilustrada/2022/01/elza-soares-e-velada-no-municipal-do-rio-entre-fas-e-a-velha-guarda-da-mocidade.shtml Accesso il 14 aprile 2024
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