Nella Pasqua dell'anno 381 dopo un lungo viaggio, iniziato forse dalle sponde atlantiche della Galizia o forse da un castello della Aquitania, una agiata signora di nome Egeria giunge finalmente a Gerusalemme.
Agli occhi dei pellegrini Gerusalemme, affacciata sul deserto sassoso della Giudea, con i suoi improvvisi giardini di olivi e fiori all'interno delle mura, con le sue numerose chiese, appariva commovente e inebriante, anche per la memoria della Passione che in essa vi si cercava. Sappiamo che era allora una città povera, dalle case sbrecciate e le mura ferite; non priva di pericoli, ma ricca di costumi diversi e pittoresca per la varietà delle lingue che risuonavano nelle vie. Egeria era senz'altro una donna devota e determinata, probabilmente una vedova non anziana e certamente in buona salute, provvista di mezzi economici e senza legami familiari. Viaggiare così lontano allora voleva dire fare trasferimenti di 30 o 40 chilometri al giorno a cavallo o anche a piedi. Egeria era certamente coraggiosa: come tutti i viaggiatori in Terrasanta avrà incontrato i predoni che aspettavamo al varco i pellegrini e affrontato i soliti disagi - il clima e le malattie, il cibo e l'acqua scarsi.
Nonostante questi pericoli fossero assai comuni, in quei secoli lontani accadeva che alcune donne, non poche, viaggiassero da sole. Succedeva per ragioni diverse: pellegrine, regine e nobildonne, badesse, ma anche mercantesse, percorrevano a piedi, in groppa al cavallo o all'asino, lungo i fiumi o per mare sopra imbarcazioni certo non confortevoli, le regioni d'Europa e si spingevano anche più lontano. Raggiungevano i Luoghi Santi, come la giovanissima vedova Melania - imitata più tardi da sua figlia e da sua nipote – o la beata Marcella, sollecitata da san Gerolamo a «entrare nella grotta del Salvatore e a salire pregando il Monte degli Ulivi» insieme a lui...
Il caso di Egeria è un po' diverso perché possediamo fortunatamente il suo racconto di viaggio. L'Itinerarium, scritto in un latino un po' zoppicante infarcito di termini già volgari (“pisinno” per bambino), è indirizzato alle sue «dilette signore sorelle» rimaste al di là del mare: amiche o compagne che condividevano semplicemente la devozione religiosa, le letture e l'affetto, o forse appartenenti, con lei, a una comunità laica.
Fra andata e ritorno Egeria sta lontana da casa per più di tre anni; non evita infatti digressioni che rendono più interessante il suo viaggio: a Costantinopoli arriva per mare e da là, percorrendo la strada militare che attraversa la Bitinia, arriva in Galazia, in Cappadocia; visita Tarso, poi Antiochia e da qui raggiunge Haifa (allora Sycamina), dove prega al monte Carmelo, sacro al profeta Elia. Giunge finalmente a Gerusalemme: eccola, la sospirata città, apparire alta sui colli. Parte da lì per varie escursioni: in Egitto, dove, prima di salire al Sinai, ammira al monastero di santa Caterina «il giardino bellissimo dove sgorga una fonte fresca e abbondante». Con poche parole, che ancor oggi si possono verificare, descrive la fatica dell'ascesa alla montagna erta e petrosa del Sinai, dalla cui cima può ammirare tutt'intorno la corona di monti che si apre in un silenzio sovraumano. Altro viaggio in Giudea, a Betlemme, a Nazareth, poi alla suggestiva collina dominata dall'Herodion ... Passando il fiume Giordano, Egeria arriva “in Arabia” dove sale al monte Nebo. Visita poi Emessa, famosa per la leggendaria corrispondenza fra Gesù e re Agbar, ritornando poi a Efeso per pregare sul luogo dell'apostolo Giovanni. Egeria commenta tutto questo con cura ma anche parsimonia; descrive le sue emozioni ricorrendo a immagini bibliche, dice poco o nulla di sé e dei suoi compagni di viaggio. Di lei sappiamo meno di quel che vorremmo, ma abbastanza per ricostruire l'avventura non così insolita, ma comunque rara, di una dama agiata che a cavallo fra IV e V secolo viaggia e scrive.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2018