Édith Giovanna Gassion nasce a Parigi il 19 dicembre 1915, negli anni della Grande Guerra. Figlia di Louis Gassion, artista circense e contorsionista, e di Annetta Giovanna Maillard, cantante di strada di origine italo-berbera, cresce in un ambiente segnato dall’instabilità affettiva, economica e sociale.
La madre la affida, poco dopo la nascita, alle cure della nonna materna la quale, tuttavia, vive in condizioni di grave indigenza facendo crescere la piccola in un ambiente non idoneo a una neonata. La madre si disinteressa della piccola Édith, continuando a lavorare in un music-hall e un cabaret parigini e facendo tournée in provincia. Morirà per overdose a Parigi il 6 febbraio 1945 e il suo corpo verrà ritrovato tra i bidoni della spazzatura di Pigalle.

Nel frattempo, la figlia, divenuta una ragazza, è salvata dal padre, che la trova in condizioni di malnutrizione e forte precarietà, e portata a Bernay, in Normandia. Qui viene cresciuta dalla nonna paterna, che gestisce una casa di tolleranza: in quel contesto la piccola Édith riceve per la prima volta cure e attenzioni. Nonostante ciò, a causa di una infezione oculare, perde temporaneamente la vista. Guarirà in seguito a un pellegrinaggio a Lisieux in onore di Santa Teresa. In età scolare, il padre torna a riprenderla per portarla con sé nei suoi spettacoli itineranti: è proprio in questo periodo che la piccola Édith comincia a esibirsi cantando per strada e mostrando fin da bambina una voce sorprendente per potenza e intensità.

Proprio la strada diventa il suo primo palcoscenico. Continuerà ad esibirsi attraverso spettacoli circensi seguendo le orme del padre fino a quando conoscerà Louis Dupont, che diventerà il padre di sua figlia. Édith ha solamente diciassette anni quando partorisce. È il 1933.

Giovanissima e senza mezzi, sceglie di portare con sé la figlia Marcelle durante le esibizioni in strada, nel tentativo di racimolare qualche soldo. Il padre della bambina si oppone con decisione: ritiene quella vita inadatta a una neonata e affida la piccola a sua madre. Marcelle morirà a soli due anni all’ospedale Necker-Enfants Malades, stroncata da una meningite fulminante. È una ferita che la giovane Édith non riuscirà mai a rimarginare.
Solo cantando tenterà, se non di guarire, almeno di trasformare quel dolore: continuerà a esibirsi per le strade di Belleville e Pigalle. È proprio in quell’ambiente, due anni dopo la scomparsa della figlia, che il destino le tende la mano. Louis Leplée, carismatico impresario e direttore del Gerny’s, raffinato cabaret sugli Champs-Élysées, la ascolta cantare e resta folgorato. In lei riconosce un talento potente, una voce che trafigge l’anima. Decide di darle un’occasione: la strappa alla strada e la ribattezza “La Môme Piaf”, la ragazza-passero, un soprannome preso dall’argot parigino, che evoca il suo fisico minuto e la sua voce straordinaria. Leplée la prende sotto la sua ala: la protegge, la educa, la guida fino alla registrazione del suo primo 78 giri, Les mômes de la cloche. E con la sua voce, “La Môme Piaf” seduce Parigi.

Ma il successo precoce non la sottrae alle ombre. Leplée sa che Édith frequenta ambienti pericolosi, cerca di tutelarla, ma non riesce a salvarla dal destino che incombe. Il 6 aprile 1936, Leplée viene assassinato con un colpo di pistola nella sua abitazione. Il caso scuote la capitale. La stampa si scatena, e Piaf finisce nel vortice mediatico: viene interrogata a lungo dalla polizia come testimone.
I titoli dei giornali parlano chiaro: La Môme Piaf longuement entendue. La sua carriera, appena sbocciata, sembra arrestarsi, fino all’incontro con Raymond Asso. Paroliere, uomo colto e rigoroso, Raymond Asso riprende in mano la carriera di colei che è conosciuta come “La Môme Piaf”. Le insegna correttamente il francese, così come la dizione e la presenza scenica. Le affida canzoni su misura, la affina senza snaturarla. Nel 1936 firma Mon légionnaire, su musica di Marguerite Monnot. “La Môme Piaf” diventa la star Édith Piaf.

In questi anni conosce l’attore Paul Meurisse, elegante, borghese, figlio di un direttore di banca. Jean Cocteau, amico e sostenitore, scrive per loro la pièce Le Bel Indifférent, piccolo capolavoro di teatro intimo che rivela al pubblico il talento drammatico di Édith. Il testo, costruito attorno al silenzio glaciale di un uomo e all’esplosione emotiva di una donna, diventa un successo travolgente. Il teatro la consacra, e di lì a poco anche il cinema la accoglie: La Garçonne di Jean Limur e più tardi Montmartre-sur-Seine. Proprio su questo set incontra Henri Contet, giornalista, critico cinematografico e paroliere. Piaf se ne innamora e per lei Contet scriverà oltre trenta canzoni.

Nel 1944, ormai vicina ai trent’anni, Piaf ha alle spalle dieci anni di carriera e di successi musicali, teatrali e cinematografici, e ama sostenere i giovani talenti. Quando incontra Yves Montand, alla fine dell’estate, non solo si innamora di lui, ma prende in mano ogni aspetto della sua immagine pubblica: repertorio, stile, abiti.
Gli affida brani scritti da Henri Contet e lo accompagna nella scalata al successo. Con lui recita anche nel film di Marcel Blistène Étoile sans lumière, del 1946. Nello stesso anno, Édith Piaf scrive la celebre canzone La Vie en rose, che diventerà un classico mondiale.

Il successo l’attende anche oltreoceano. Parte per New York nel 1947. I primi spettacoli al Playhouse passano inosservati. Nonostante questo, Piaf non demorde. Viene ingaggiata per una settimana al Versailles, cabaret elegante nel cuore di Manhattan. Il successo è tale che resta quattro mesi.
Questa prima esperienza segnerà gran parte della sua carriera, tanto che tornerà più volte negli Stati Uniti. È in questo periodo che stringerà una profonda amicizia con Marlene Dietrich e inizierà una storia d’amore con il pugile Marcel Cerdan. Travolta dalla passione, per lui scriverà L’hymne à l’amour, una delle sue canzoni più potenti. Il 28 ottobre 1949, Cerdan muore in un incidente aereo mentre sta volando da lei. Piaf ne esce distrutta. Quel dolore riapre le ferite mai rimarginate e segna l’inizio di una lunga depressione.

Eppure, non smette di esibirsi. Nel 1950 torna alla Salle Pleyel di Parigi. Al suo fianco c’è Charles Aznavour, giovane cantautore che le fa da autista, segretario, confidente. Aznavour scrive per lei grandi successi come Jézébel e Plus bleu que tes yeux.

Saranno due incidenti stradali, avvenuti nel 1951, a lasciare gravi segni nel suo corpo e nella sua anima. Dopo il secondo, Piaf rimane a lungo immobilizzata. I medici le somministrano morfina per lenire i dolori, ma quella sostanza, mescolata all’alcol, apre la porta a una dipendenza che la accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni, accelerando il declino di una salute già fragile.

Durante la sua quinta tournée americana, Piaf sposa il cantante Jacques Pills. In quell’occasione canta di nuovo al cabaret Versailles, un luogo a lei caro fin dai primi successi internazionali.

Nel frattempo, Piaf tenta più volte di disintossicarsi. Si sottopone a cure, ricoveri, terapie. L’alcol e la morfina si fanno sentire, ma la sua voce resta sorprendentemente intatta. È in questi anni, infatti, che registra alcune delle sue interpretazioni più memorabili, sia in studio sia dal vivo. Per nascondere alla stampa e al pubblico il suo stato di salute, trascorre lunghi periodi in casa tra il 1953 e il 1954.

Quando, nel 1955, viene invitata a esibirsi all’Olympia, la più celebre sala da concerti di Parigi, Édith Piaf ritrova la forza per tornare sul palco: è un trionfo di voce e presenza scenica. Intraprende, quindi, non senza fatica, anche una tournée negli Stati Uniti e successivamente in America Latina: da quest’ultima tournée nascerà La foule, un brano di enorme successo che verrà presentato l’anno successivo all’Olympia.
Nel 1958 incontra Georges Moustaki, allora noto come Jo Moustaki. Giovane autore e musicista dal temperamento forte, scrive per lei Milord, su musica di Marguerite Monnot. La loro relazione, intensa e tormentata, sfocia presto in un altro drammatico incidente d’auto, che peggiora ulteriormente le condizioni di salute di Piaf. Qualche mese dopo, crolla sul palco durante un’esibizione a New York.

Stremata, imbottita di farmaci, Piaf torna sul palco dell’Olympia grazie, anche, a un testo scritto per lei da Charles Dumont e che colpisce profondamente: Non, je ne regrette rien. E sarà proprio il palco di questo teatro a vederla per l’ultima volta, l’anno successivo, con un repertorio intimo e struggente. Canterà, infine, in occasione della prima mondiale del film Il Giorno più lungo in cima alla Tour Eiffel. E la sua voce abbraccerà tutta Parigi, confermandosi l’anima struggente della chanson francese.

Ad aprile 1963 entra in coma. Ormai molto debole, alterna momenti di coscienza a lunghi silenzi. Trascorre gli ultimi mesi della sua vita nel sud della Francia, dove morirà l’11 ottobre del 1963, lo stesso giorno dell’amico Jean Cocteau.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Édith Giovanna Gassion

Berteaut, Simone, Édith mia sorella, trad. di R. Capitelli, Roma, Castelvecchi, 2013.
Giacovelli, Enrico, Édith Piaf, Milano, Il Saggiatore, 2014.

Lelait‑Helo, David, Édith Piaf, Torino, Lindau, 2013.

Piaf, Édith, Moi, pour toi. Lettres d’amour, ed. Gallimard, Parigi, 2004.

RaiPlay Sound, Il mix delle 23 (puntata del 10 marzo 2023), “Édith Piaf”, condotto da Giovanni Minoli. Regia di Roberta di Casimirro, produzione Rai, audio on‑line, 10 marzo 2023. Disponibile su RaiPlay Sound.


Voce pubblicata nel: 2025