Mai ti perdoneranno il tuo non fare
comunella con gli altri, il tuo non essergli
uguale.
E questo soprattutto: amare
più che gli uomini la verità [1]
Daria Menicanti nasce, ultima di quattro figli, nel 1914 a Piacenza da padre toscano e madre fiumana. Trasferitasi la famiglia a Milano, Daria frequenta il Liceo Ginnasio Berchet, dove sostiene l’esame di maturità nel luglio 1932. Si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e ha come docenti Antonio Banfi, Adelchi Baratono, Luigi Castiglioni, Mario Hazon e come compagni di corso Enzo Paci, Vittorio Sereni, Antonia Pozzi , Luciano Anceschi. Con Banfi, che Daria ritiene, insieme a Baratono, fondamentale per la propria formazione, si laurea nel luglio 1937 discutendo una tesi dedicata all’analisi della poetica e della poesia di John Keats. Allo stesso anno, oltre all’abilitazione all’insegnamento medio (Daria sarà per tutta la vita insegnante), conseguita nell’autunno, risale il matrimonio con Giulio Preti (1911-1972), dal quale si separa negli anni Cinquanta, pur mantenendo un fortissimo e tenace legame di affetto, di stima e di amicizia: più o meno esplicito dedicatario e oggetto di molte intense poesie; e conteranno nella sua vita gli amici Vittorio Sereni ed Enzo Paci, cui si aggiungeranno, negli anni successivi, Lalla Romano (con la quale condivide la pratica della pittura, che in Daria si accosta sempre di più a quella della poesia), Manlio Cancogni, Marco Marchi, Silvio Raffo, Lulli Paci (che di Daria, insieme a Maria Teresa “Pigot” Sereni, è allieva privata di greco), Fabio Minazzi.
Agli anni Trenta, gli anni della formazione universitaria, risalgono le prime prove poetiche, poi ripudiate, inclini ai modi dell’ermetismo; Daria, sulla scia della mediazione banfiana, li definirà asfittici. Nonostante il ripudio di queste prime prove inadeguate a esprimere la propria indole toscana «ridente e piangente» (della quale, in una intervista del 1993 pubblicata nel numero di febbraio 1995 di «Poesia», rivendica la diversità rispetto a quella, per esempio, dell’amico Sereni), continua a scrivere in segreto. Soltanto nel 1964, presso Mondadori, esce la sua prima raccolta poetica, Città come (premio Carducci 1965), alla quale seguiranno, sempre per Mondadori, Un nero d’ombra (1969) e Poesie per un passante (1978); per Forum/Quinta generazione (Forlì), esce nel 1986 Altri amici; per Lunarionuovo (Acireale), Ferragosto, nel 1986; per Scheiwiller, nel 1990, Ultimo quarto, con una nota di Lalla Romano.
Intensa è anche l’attività di traduzione dall’inglese (e, secondo la testimonianza di Francesca Romana Lulli Paci, figlia di Enzo, Daria è anche ottima grecista e latinista, in grado di comporre esametri latini): a partire dalla fine degli anni Trenta traduce John Henry Muirhead, Filosofi inglesi contemporanei (introduzione di Antonio Banfi, Milano, Bompiani, 1939); di Paul Nizan, Aden Arabia (Milano, Mondadori, 1961) e La cospirazione (ivi, 1980); di Noel Coward, Amore e protocollo (Milano, Club degli Editori, 1962); di Jean Paris, James Joyce (Milano, Il Saggiatore, 1966); di Betty Smith, Al mattino viene la gioia (Milano, Mondadori, 1967); di Paul Geraldy, Toi et moi (ivi, 1978); di Sylvia Plath, La campana di vetro (ivi, 1979). Sue poesie sono inoltre presenti in molte antologie, tra cui Donne in poesia, curata da Biancamaria Frabotta per Savelli nel 1976.
L’impronta dell’innovativa cultura dalla cifra europea ricevuta negli anni Trenta presso l’Università di Milano emerge dalla poliedrica attività di Daria Menicanti: è poetessa secondo modi inclini e alla riflessione filosofica; traduttrice, aderendo a una tensione generazionale (si pensi al Vittorio Sereni di Frontiera), rivolge la propria attenzione verso le contemporanee letterature straniere. Soprattutto, a connotare la sua scrittura e a distanziarla da altre esperienze coeve, è la lucidità, che si rivela anche a livello tecnico, della riflessione e della scrittura che la sostiene. Poesia che, pur apparentemente distante rispetto alla temperie storica e politica, intende dare ascolto a tutta la realtà, animali e piante compresi, presenze peraltro insostituibili nella vita di Daria.
Muore, per un tumore alla gola, in una casa di cura di Mozzate, tra Varese e Como, il 4 gennaio 1995. Lalla Romano le dedica un appassionato contributo che appare sul «Corriere della Sera» del 20 gennaio, sostenendo che già a partire dalla sua prima raccolta:
«Daria aveva maturato una voce nuova, moderna e classica, per niente alla moda, ma libera e anche audace. »
NOTE
1. Daria Menicanti, Epigramma per un filosofo [aprile 1965, a G. P.], in Ead., Un nero d’ombra , Milano, Mondadori, 1969, p. 110.
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Daria Menicanti, Città come, Milano, Mondadori, 1964
Daria Menicanti, Un nero d’ombra, Milano, Mondadori, 1969
Daria Menicanti, Poesie per un passante, Milano, Mondadori, 1978
Daria Menicanti, Altri amici, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1986
Daria Menicanti, Ferragosto, Acireale, Lunarionuovo, 1986
Daria Menicanti, Ultimo quarto, con una nota di Lalla Romano, Milano, Scheiwiller, 1990
Matteo M. Vecchio (a cura di), con una nota di Silvio Raffo, Due racconti inediti di Daria Menicanti: «Il nonno», «Marta» , in «Studi Italiani», a. XXI, n. 42, fasc. 2, luglio-dicembre 2009, pp. 81-91
Referenze iconografiche: Daria Menicanti, anni trenta. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023