La “dea bionda del toreo”, così mi chiamavano. Non so neanche se mi sia mai piaciuto. Ma è stato tanto tempo fa. È tutto come una favola, a furia di raccontarla cambia e fa passi avanti e passi indietro nel tempo. Mi ricordo, certo, quell'ultimo pomeriggio a Jaen, in Spagna. Nel programma c'erano i grandi del toreo, Manolo Vazquez e Antonio Ordonez, la Plaza era stracolma e io volevo chiudere lì la mia carriera, quel giorno, ma con un gesto significativo per me, per le donne e per la Spagna che mi osservava. Ho deciso di scendere da cavallo. Tra lo stupore generale mi sono avvicinata al toro con la spada e la muleta, senza fretta ma senza pausa. In quel momento lentissimo, mi è tornata alla memoria la mia infanzia in Cile, poi gli anni in Perù, la scuola equestre e poi l'incontro con il toro, avversario, e centro della mia vita, dopo le prime vacchette brave… Ero ancora una bambina, vedevo in quegli occhi neri l'ardore della loro razza ma sentivo anch’io nei miei occhi lo stesso ardore; non esitavo nel lanciare passi davanti ai miei amici e parenti, conquistati e incuriositi dalla mia passione. In Messico divenni una celebrità e mi viene da ridere a pensarci perché io non volevo essere niente di tutto questo, la mia famiglia è sempre stata benestante e mi piaceva poco mettermi in mostra, quel che desideravo era toreare e dove e per chi non aveva grande importanza… Ho avuto l'onore di inaugurare la Plaza Monumental di Lima e chiunque in Sudamerica conosceva la “diosa rubia“. Ero felice, facevo quel che volevo e le tante ferite subite (con i tori non si scherza) non hanno smorzato il mio entusiasmo.
Mi mancava però l'Europa, e la Spagna: la meta di tutti i toreri. Mi sono innamorata del Portogallo quando lì feci le prime corride a cavallo (al punto che vivo con i miei cinque figli vicino a Lisbona, dal 1951 anno in cui ho sposato Francisco de Castelo Blanco) e poi finalmente la Spagna, i grandi toreri, le Plazas più ambite....
Ma ora il toro mi carica. Riesco appena a spostarmi e a farlo passare. Si gira quasi avvitandosi su se stesso, ma ora sa di essere nelle mie mani, io guido la danza e lui mi asseconda, fa il suo lavoro e io faccio il mio. La folla mi acclama, un trionfo. Ma ecco, invece del cavaliere con i trofei, arrivano le guardie, mi arrestano e mi portano negli uffici della Plaza. Una donna in Spagna non può scendere da cavallo, nell’Arena.
Questo, il mio maestro dei sedici anni, Chuchi Solorzano, non l’avrebbe mai immaginato...
Ho tempo per pensare, ma sento là fuori urla e imprecazioni, non capisco bene cosa stia succedendo. Ecco vengono a prendermi, chissà dove mi porteranno. Il capitano però ha una faccia diversa, forse qualcosa è cambiato. È così: mi dice che non sono più in arresto e mi invita a tornare nella plaza per la consegna dei trofei, lo seguo.
Oggi dedico quel momento incredibile al figlio che non ho più.
«...ho perso la nozione di tutto, ho ripetuto la vuelta al ruedo (il giro della plaza, possibile al torero che ha ottenuto i trofei) due o tre volte, l'ovazione era assordante come prima lo era stata la protesta... un sogno in un pomeriggio di autunno...»
Concita Cintron, Memorie di un torero (con una introduzione di Orson Wells), Holt, Rinehart & Winston 1968
Referenze iconografiche: Conchita Cintron nella plaza de toros di Santa María la Real de Nieva (Segovia, Spagna). Foto di Mariano Carmelo Rodríguez Núñez. Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023