Stilografica e taccuino. E scrivere scrivere scrivere: il virgolettato per le frasi originali ascoltate sul posto, gli appunti comprensibili solo a lei perché lasciati a metà nella fretta, gli aggettivi rari nella sobrietà professionale, i testi brevi quanto necessario. E poi copiare a macchina, certo, sulla Olivetti Ico nera. E poi usare il telefono di bachelite, anch’esso nero, per fare e ricevere telefonate: tante.
Camilla Cederna, giornalista. Anche scrittrice, ovviamente, e saggista (definizione che le faceva inarcare un sopracciglio), e polemista (andava già meglio). “Donna coraggio” perché nel mondo dell’informazione, allora maschile, apriva al femminile la pista del racconto e della testimonianza civile. Il racconto con soave ironia delle debolezze umane (“Il lato debole”) che faceva imbestialire. La testimonianza inesorabile di tempi feroci che segnarono drammaticamente la vita di una nazione, con tradimenti - vedi prima gli articoli e poi il libro, Giovanni Leone. La carriera di un presidente -, bombe e sangue, così ben descritti nel Pinelli. Una finestra sulla strage, il libro che farà rivedere a Licia Pinelli,una donna tanto diversa da lei che incontra in quella notte maledetta fra il 15 e il 16 dicembre, con la quale stringerà una amicizia duratura.
Dai salotti alla rabbia civile. E quindi la reazione biliosa degli avversari: “la sciura”, “radical chic”, “quasi mandante dell’omicidio di Calabresi” (Vittorio Sgarbi), “viltà di una strega” (Domenico Leccisi), “regina degli esplosivi”, “amante dei bombaroli”. Odiata.
Ma quanto amata. E se fosse qui oggi…
Se fosse qui oggi direbbe: «notizie, per favore». Giusto.
Camilla se n’è andata nel 1997 a 86 anni proprio nel vortice della Prima Repubblica, nella sua Milano sconquassata, vicino solo i pochi amici rimasti, perché il mondo di allora della borghesia, degli affari, della politica l’aveva allontanata da sé.
Era del ceppo dei Cederna, imprenditori di cotone valtellinesi trasferiti a Milano, e lì si era laureata, in letteratura latina, con una tesi dal titolo Prediche contro il lusso delle donne dai filosofi greci ai Padri della chiesa. Apparteneva a quella parte della borghesia che gravitava intorno alle case editrici e ai giornali. Grandi editori e grandi giornali. Una filiera di giornalisti e di scrittori, anche parenti fra loro – i Cederna, i Borgese, i Sacchi - che frequentavano la Scala e le mostre d’arte, giravano il mondo per lavoro ma non solo, parlavano di politica riferendosi al pensiero liberale (o ai liberi pensatori).
Il fratello Antonio, giornalista, scrittore, ambientalista, è stato uno dei fondatori di Italia Nostra; il nipote Giuseppe è attore e regista, scrittore, alpinista. Tutti segaligni e dal profilo a becco d’aquila. Non così lei, la Camilla, dalla bellezza armoniosa; ma così anche lei nella curiosità, nell’impegno, nel rigore.
Orecchini di perle e filo di perle al collo, striature chiare nei capelli leggermente arricciolati, volto dal trucco leggero, occhi intensi che fissavano, scrutavano, interrogavano. E camicette di pizzo, gonne di lana morbida, scarpe dal tacco basso. Bella donna, una vera signora (e lei sorrideva paziente). Mai sposata. Una signora della borghesia milanese, dall’inizio alla fine. Nell’anima, nell’aspetto, nello stile: sì, dall’inizio alla fine. Non per l’universo borghese di allora che, da un certo momento in poi, non si è fatto più frequentare da lei, cronista della critica e della indignazione.
Il cuore della sua casa era lo “studio”, salotto grande con finestre che guardavano su un giardino di alberi secolari, con tavoli colmi di libri, poltrone piene di cuscini con la figura di un gatto, la sua passione.
Comincia a scrivere nel 1939 sul quotidiano milanese «L’Ambrosiano»: Moda nera è il titolo del suo primo articolo che prende in giro lo stile dei fascisti e, per questo, viene minacciata di arresto e di condanna a 11 anni, che non sconterà mai. Sconterà invece due mesi, negli anni della Repubblica di Salò, per un articolo critico verso il fascismo. La moda è il suo motore d’avvio per la professione. Moda e costume, «riflesso di ogni evoluzione sociale, economica, ideologica e culturale del paese», chiariva a chi si sorprendeva che argomenti così leggeri avessero in cauda venenum. Nel cuore del boom che preparava la “Milano da bere” incuriosiva la signorina delle buona borghesia che s’intrufolava dappertutto per raccontare ciò che vedeva e sentiva.
Nel 1945 entra a «L'Europeo», nel 1956 a «L'Espresso» (ma alcune fonti dicono che fece parte del gruppo che fondò la rivista l’anno prima), dove con la rubrica Il lato debole descrive l’involuzione di una società ripiegata su se stessa, con i suoi molti vizi e le sue rare virtù. Scrive libri su Fellini e su Maria Callas, va in giro per il mondo come inviata speciale…
Ma quel venerdì, il 12 dicembre 1969, quando alle 16.37 scoppia la bomba di piazza Fontana, a Milano, Camilla fa la scelta di professione e di vita. «Il sangue che cola sul marciapiede. I volti angosciati dei feriti. I parenti chiamati a riconoscere le salme. E qualcuno dice che sembra la guerra » scrive su «L'Espresso» del 21 dicembre 1969. E ai funerali delle vittime «Cinque ore in Duomo in piedi su un banco per meglio vedere e sentire, un’ora in giro dopo, a casa a scrivere uno degli articoli più difficili della mia lunga carriera …e adesso a letto con il sonno che non arriva. Arriva invece una telefonata: “Sei già a letto? Fra cinque minuti davanti al tuo cancello”. “Perché?” “Un uomo si è buttato da una finestra della questura, non farci aspettare, andiamo a dare un’occhiata”. Sono due amici coi quali ho sempre corso in questi giorni, Corrado Stajano e Giampaolo Pansa, hanno la faccia e i modi di questi giorni, gesti frettolosi, rabbia e dolore negli occhi». Andiamo a dare un’occhiata, già… il corpo di Giuseppe Pinelli.
E da quel momento in poi Il lato debole diventa la cronaca feroce e lucida di ciò che non va, l’analisi senza esitazioni di responsabilità precise e scomode, che paga pesantemente: abbiamo già detto delle accuse, ma non dei molti processi.
Se fosse qui oggi, la Camilla…
Stilografica e taccuino, come sempre. Occhi che scrutano, orecchie attente, richiesta cortese di avere spazio tra la folla per cogliere da vicino l’obiettivo… Ma la precedono, ormai, microfoni distratti, telecamere veloci, obiettivi digitali onnivori. Anche lei, forse, assisterebbe a ciò che accade davanti allo schermo televisivo. E probabilmente spegnerebbe subito.
Camilla Cederna, La voce dei padroni, Milano, 1962; Fellini ottavo, Milano 1963
Camilla Cederna, Signore e signori, Milano 1966
Camilla Cederna, Le pervestite, Milano 1968
Camilla Cederna, Maria Callas, 1968
Camilla Cederna, Pinelli, una finestra sulla strage, Milano 1971
Camilla Cederna, Sparare a vista: come la polizia del regime DC mantiene l’ordine pubblico, Milano 1975
Camilla Cederna, Il lato debole, Milano 1977
Camilla Cederna, Giovanni Leone, la carriera di un presidente, Milano 1978
Camilla Cederna, Milano in guerra, Milano 1979
Camilla Cederna, Nostra Italia del miracolo, Milano 1980
Camilla Cederna, Il mondo di Camilla, Milano 1980
Camilla Cederna, Marito e moglie, in AAVV, Morte di un generale, Milano 1982
Camilla Cederna, Casa nostra. Viaggio nei misteri d’Italia, Milano 1983
Camilla Cederna, Vicino e distante, Milano 1984
Camilla Cederna, De gustibus, Milano 1986
Camilla Cederna, Il meglio di C.C., Milano 1987
Camilla Cederna, Il lato forte e il lato debole, Milano 1992
Il celebre appello dell’Espresso per Pinelli che seguiva l’articolo di Cederna
Lettera di Camilla Cederna ad Anna Maria Ortese
Referenze iconografiche: La scrittrice e giornalista Camilla Cederna. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023