Bartolomea è una figura complessa e difficile da interpretare nel contesto ereticale italiano ed emiliano in particolare. Figlia di Pietro Rubey e discepola dell’”eretico” Zaccaria di Sant’Agata, esprime tematiche particolari nel campo della sessualità, che la riconducono all’area ideologica del Libero Spirito. Non crede né alla santità della Madonna né alla funzione salvifica della verginità, né al valore dei digiuni e delle confessioni e, anche se sembra rifarsi alla tesi di Zaccaria concernente la possibilità per uomini e donne di giacere insieme in assoluta purezza, nelle sue parole e nelle sue idee si rileva forse una commistione tra fanatismo religioso e materialismo.
Bona fin dal 1301 viveva nell’eremo di Savigno, località sulle colline bolognesi al confine con il modenese, secondo i modi dei cosiddetti Apostolici («secundum vitam et modum illorum qui vulgariter dicunturum apostoli», Raniero Orioli, Venit Perfidus Heresiarcha). Vi era stata condotta da alcuni Apostolici con i quali era scappata dall’eremitorio di Roffeno, sull’Appennino bolognese, dove prima dimorava; all’epoca erano molte le comunità religiose femminili e Bona probabilmente aveva frequentato questi ambienti.
Dalle dichiarazioni lette negli atti degli interrogatori (Acta S. Officii Bononie…) Bona appare una figura particolare di eremita dal linguaggio caustico, convinta denigratrice della figura di Maria Vergine, di cui rifiuta le preghiere e i miracoli. Ha nei confronti della verginità e della sessualità un atteggiamento che più che un’adesione al concetto apostolico della prova alla tentazione [1] abbraccia un concreto materialismo popolare: dispregiatrice della verginità mariana, non sembra tenere in considerazione neppure quella umana, perlomeno se intesa quale strumento di perfezione e di salvezza.
Nel 1305 venne condannata alla crocesignatura ovvero all’obbligo di portare sulle vesti, durante il periodo di penitenza seguita al rinnegamento dell’eresia, croci di stoffa color zafferano; questo per aver sostenuto che la vita degli eretici era migliore e più santa di quella dei religiosi e che la scomunica del Papa nei confronti di Dolcino (che non aveva conosciuto personalmente) e dei suoi seguaci non poteva avere alcun valore. Bartolomea aveva concluso la sua deposizione con una coraggiosa esaltazione di Dolcino. L’affermazione «Dio è Libertà», che a Bona costò il rogo e alle sue sorelle la carcerazione perpetua, conteneva un’intuizione teologica di grande modernità, e il suo processo evidenzia il coraggio con cui testimoniò la parola evangelica ed affermò la libertà di un pensiero e di una fede non condizionati dall’autorità.
Condannata dall’Inquisizione il 4 novembre 1307 come dolciniana e affidata al braccio secolare, verrà messa al rogo 17 giorni dopo con una sentenza civile in cui viene qualificata come Patara. Salì al rogo a Bologna il 21 novembre, per ordine del Podestà di Bologna Gerardo de Rustichiis di Firenze.
1. È attribuita ai dolciniani la pratica della “prova della tentazione”: i seguaci di Dolcino affermano che nessuno può essere veramente virtuoso se prima non abbia sperimentato la propria virtù giacendo con una donna nuda.
Raniero Orioli, Venit Perfidus Heresiarcha – Il movimento Apostolici Dolciniano dal 1260 al 1307, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Studi Storici Fasc. 193-196
Michela Zucca, Donne delinquenti, Ed. Simone, Napoli 2004
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2017