Il nome di Azar Nafisi è indissolubilmente legato ad uno dei capolavori della letteratura contemporanea: Leggere Lolita a Teheran, un libro tradotto in trentadue lingue che è stato pubblicato nel 2003. In quelle pagine la sua appassionata dichiarazione d’amore di Azar per la letteratura:
"Esistono spazi culturali che non appartengono a nessuna parte politica, c’è nei libri un linguaggio comune ed universale che sfida i confini e le frontiere".
La scrittrice iraniana narra la sua storia di docente che, impossibilitata dal regime degli ayatollah a continuare ad insegnare letteratura inglese all’Università di Teheran, decide, a rischio della propria vita, di organizzare nella propria casa un seminario per sette delle sue allieve più brave, per il puro godimento della lettura, per leggere e discutere alcuni dei più importanti capolavori della cultura occidentale, per infrangere le regole di un regime censorio:
“Il seminario diventò il nostro rifugio,il nostro universo autonomo, una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi”.
Così le studentesse “attraversarono” la Rivoluzione islamica iraniana: “..sotto il velo un intreccio di contraddizioni, la rivendicazione dell’identità culturale e nazionale della propria gente, voglia di Occidente ma rifiuto di appiattimento in esso”.
Perché leggere Lolita di Vladimir Nabokov? Perché nella storia di questa ragazza di dodici anni tenuta prigioniera dall’uomo che ne fa la sua amante, docente e discenti vedono la denuncia dell’essenza stessa di ogni totalitarismo. C’è un parallelismo: a Lolita è stata sottratta oltre la vita anche la possibilità di raccontarla. Anche le donne iraniane hanno perso qualcosa; quelle della generazione di Azar hanno perduto la libertà, le giovani invece non l'hanno mai conosciuta, hanno solo desideri irrealizzati.
Leggere Lolita a Teheran è stato definito oltre che un atto d’amore nei confronti della letteratura anche “una magnifica beffa giocata a chiunque cerchi di interdirla”.
Azar nasce a Teheran nel 1955 da Nezhat Nafisi, prima donna ad essere eletta nel Parlamento iraniano e da Ahmad ex sindaco della città all’epoca dello scià.
A tredici anni va a studiare in Inghilterra e da lì poi si trasferisce negli Stati Uniti dove si laurea in Letteratura inglese ed americana presso l’Università di Oklahoma. Nel 1979 torna in Iran ed inizia ad insegnare nell’università della capitale. Sarà docente per ben diciotto anni anche se dal 1981 al 1987 verrà spesso espulsa per essersi ostinatamente rifiutata di indossare il velo.
Nel 1995 a causa delle continue censure abbandona l’insegnamento e due anni dopo, insieme al marito ed ai figli, si trasferisce negli Stati Uniti dove attualmente risiede.
Nel 2008 pubblica Le cose che non ho detto, altro libro autobiografico che racconta della sua famiglia e del complicato rapporto dei suoi genitori. Suo padre tradiva sua madre, che si rifugiava in un mondo fantastico per rendere sopportabile il quotidiano che la umiliava.
Suo padre scriveva libri di memorie e innumerevoli diari mentre sua madre raccontava le storie del passato. E da questo patrimonio Azar attinge a piene mani per scrivere il suo libro, partendo dalla nascita di sua nonna per arrivare a quella di sua figlia, sullo sfondo di un Iran segnato dalle due Rivoluzioni, dai conflitti e da uno stato di perenne turbolenza e palpabile oppressione.
Sempre nel 2008 Azar ottiene finalmente la cittadinanza americana e dichiara: “Potevo essere americana senza buttar via l’Iran. Anzi: per essere americani non si butta via il passato ma lo si integra nel presente”.
Nel 2014 è stato pubblicato La Repubblica dell’immaginazione, un saggio dove ancora una volta viene messo in risalto il valore inestimabile della letteratura:
“i grandi romanzi di tutte le culture prefigurano i loro lettori, quelli contemporanei e quelli che arrivano dopo decenni o anche secoli…sono giunta alla conclusione che, indipendentemente da dove viviamo e dal sistema che ci governa, gli istinti e i bisogni umani sono universali e i diritti fondamentali sono sempre validi. Siamo umani e per questo abbiamo bisogno di narrare e leggere storie, le nostre e quelle degli altri”.
Anche in questo libro i suoi ricordi autobiografici si intrecciano con l’interpretazione di tre opere letterarie: Huckleberry Finn di Mark Twain, Babbit di Sinclair Lewis e Il cuore è un cacciatore solitario di Flannery O’Connor.
Azar mette in risalto come nelle società repressive i fanatici hanno diverse facce: “possono lanciare anatemi, uccidere e mutilare nel nome del progresso, della Libertà o di Dio. Ma non possono rubare i nostri ideali: Non possono portarci via la nostra intrinseca umanità.”
Azar è una scrittrice ed una donna che ha peregrinato per terre di Oriente ed Occidente con un solo bagaglio: una valigia piena di libri. Il senso della sua esistenza lo ritroviamo in una frase di Iosif Brodskij che l'autrice cita ne La Repubblica dell’immaginazione.
“Anche se possiamo condannare la materiale soppressione della letteratura, la persecuzione degli scrittori, gli abusi della censura, il rogo dei libri, siamo noi impotenti di fronte al delitto più grave: l’indifferenza verso i libri, il disprezzo per i libri, la non-lettura: per questo delitto una persona paga con tutta la sua vita e se il delitto è commesso da una nazione intera, lo paga con la sua storia”.
Nel 2022 ha pubblicato “Quell’altro mondo”, ED. Adelphi.
Azar Nafisi, Le cose che non ho detto, Edizioni Adelphi 2010
Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Edizioni Adelphi 2004
Referenze iconografiche: Azar Nafisi al Texas Book Festival del 2015. © 2015 Larry D. Moore. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2017
Ultimo aggiornamento: 2023