A Venezia, nel Seicento, quando la città era una repubblica aristocratica, ortodossa in religione e autonoma politicamente, è vissuta Elena Cassandra Tarabotti, Suor Arcangela, che imparò a scrivere per proprio conto, esprimendo le sue idee e le sue difficoltà, e inventando uno stile adatto a far conoscere la vita quotidiana dentro e fuori il convento, fino a comporre dei libri che sono arrivati fino a noi. Delle sue consorelle del convento di Sant’Anna non abbiamo simili scritti.

Era nata nel 1604, in una famiglia attiva e numerosa, in ascesa sociale, forse di ebrei convertiti.
Era zoppa, come il padre – “Quel difetto col quale forse il mio genitore ha voluto contrassegnarmi come sua figliola” -, e pur essendo la primogenita fu destinata al convento. Il fatto che prese i voti definitivi a 20 anni ci dice che era incerta, forse non chiamata. Tuttavia li pronunciò, quei voti, ritrovandosi in una situazione dolorosa: si sentiva imprigionata – “Seppellire le innocentissime figliole fra l'onde di una stigia palude d'un monasterio” - e si ammalò di asma, noi diremmo psicosomatica, che chiamava "strettura di petto". Ma reagì e trovò nella lettura e nella scrittura uno sfogo e una soddisfazione che le permisero di andare avanti senza venir meno ai voti pronunciati.

Gabriella Zarri ci ricorda come il Concilio di Trento, per ristabilire l'ortodossia, avesse ribadito la clausura più stretta, mentre l'applicazione della direttiva trovava ancora resistenze e tentativi di vanificazione. Suor Arcangela per imparare a scrivere e per farsi leggere certo non poteva stare in stretta clausura; i lettori, le lettrici, li cercava fuori dal convento, utilizzando le relazioni con parenti propri e delle consorelle, mentre insegnava a pagamento alle bambine lettura, ricamo, cucito, disegno e faceva amicizia, in particolare con Regina Donati. Da Giovan Francesco Loredan, nobiluomo e letterato con importanti incarichi nel governo, ebbe libri interessanti e imparò a scrivere con l'aiuto di Gerolamo Brusoni, perché "Scrivere non significa fare la propria firma". Voleva esprimere sentimenti, giudizi, riflessioni, erudizione, progetti. E in modo da poterli pubblicare. Già era riuscita a raccontare come il padre l'avesse convinta con lusinghe, minacce, avvertimenti, preghiere, la temeraria “Crudeltà d'huomeni inhumani che non arrossiscono a servirsi di gridi e di minacce”.

E mentre scriveva questa "tirannia paterna", sfogava il suo dolore in un altro manoscritto dal titolo ancora più scandaloso Inferno monacale, e nella dedica alla Serenissima sottolineava l'importanza sociale del problema: “Voi concedete a qual si sia natione della vostra bella metropoli libertà non circoscritta, ….vi dedico questo mio primo parto come capriccio d'intelletto femminile... è ingratitudine verso la Vergine ingannare e privare di libertà con forza le sue vergini e donne”.

La pubblicazione dei due manoscritti era impossibile, Loredan glielo espresse chiaramente; secondo l'uso del tempo, li fece circolare fra i letterati della sua Accademia degli Incogniti. Lui non era un genio letterario: di nobile famiglia, libero pensatore, quindi poco clericale, faceva parte del governo della Serenissima, era un "Superiore", attento alle necessità dei veneziani, fu Magistrato alle Pompe, e addirittura Inquisitore dei Monasteri. Venezia aveva un proprio inquisitore accanto a quello del Papa, e il registro dei libri proibiti veniva gestito da Magistrati della Repubblica con criteri politici e non di ortodossia religiosa. Loredan era promotore di novità letterarie, in particolare di narrazioni in linguaggio leggibile da un pubblico non specializzato. Amori, avventure, viaggi, ironie, critiche, i romanzi veneziani si vendevano benissimo, ne era consapevole.

Se gli Incogniti potevano apprezzare gli scritti di Arcangela, senza la pubblicazione tutto restava nell’ambiente letterario, con poca soddisfazione dell’autrice, che era consapevole di non avere approfondito la cultura classica, e spesso lo dichiarava, anche nelle lettere. Forse era anche un modo per difendersi, visto che le regole dell’ordine prescrivevano di allontanare una monaca dall’attività troppo prediletta per evitarle la superbia. Ma non per superbia scriveva, ma per necessità e per testimoniare la propria realtà; le era essenziale la pubblicazione.

Su consiglio del patriarca - dedicato a Federico Baldissera Bartolomeo Cornaro, Patriarca di Venezia – accettò di scrivere un volume sulle consorelle con vocazione, le chiamate. Fu pubblicato con una decina di sonetti di autori famosi, perfino uno di Moderata Fonte, e in una veste sontuosa, con dorature. Ancora oggi lo possiamo ammirare nella Biblioteca Marciana. Ebbe molti complimenti – Ammiro lo stile... i concetti sono di gran rilievo, propri, eruditi, vivaci. Non sono stirati dall'arte, né mendicati dalla lucerna, ma pronti, naturali e ben disposti...come un panno tessuto su cui la vagheza dei fondi fa spiccar vieppiù i fiori e la bellezza dei fiori aggiunge lustro ai fondi. Si rinfrancò: era riuscita a farsi sentire, perché se esaltava la buona situazione delle consorelle chiamate, era per paragonarla a quella dolorosa delle forzate, con relative descrizioni.

Si era preparata in Parlatorio un vero e proprio salotto: madri, sorelle, zie, cugine, amiche come Betta Polani (che già matura uscì dal convento per sposarsi) i parenti delle pute a spese, padri, fratelli, scegliendo i maschi illustri, rispettabili per professione, notorietà o ricchezza. Con l'aiuto della Madre Ascoltatrice e con il permesso della Badessa, attenta al prestigio del convento, si riunivano ricche mercantesse, avvocati, letterati, autrici di poesie come Guidascania Orsi, bolognese, nobildonne, virtuose di canto o di strumenti, poeti, musicisti, capitani di mare e perfino stranieri, ambasciatori francesi (come Gremonville, uno che stimava le donne) o frati famosi. Il gruppo delle signore era il fulcro e le malefatte degli uomini l’argomento, tanto che Arcangela scrisse un Purgatorio delle Malmaritate, oggi disperso.
Le portarono una Satira menippea, breve e apparentemente giocosa: con la scusa di criticare la mania del lusso donnesco, in realtà prendeva in giro le donne con la pesantezza di certe nostre barzellette. “È vanità il credere di dissuadere alle donne la vanità del vestire, se prima non le spogliamo dell'ignoranza”. Lei rispose con una “Antisatira”, sottolineando la crudeltà, il cinismo – “le insidie diaboliche tese all'honestà donnesca” -, la violenza nascosta dei riferimenti osceni, e esaltando la bellezza, la bontà, la indispensabile attività femminile:

“Povere donne, quel sesso ch'è tutto benignità e placidezza, con tutta la vostra giustizia e santità femminile siete escluse da' Fori e vilipese …. eppure sanno gli uomini che “la donna a l'uomo è sol vero ristauro, dolce riposo e opportuna aita ….non satire in biasimo, ma esaltazione è dovuta al lusso donnesco, tanto conveniente e necessario quanto son convenienti alle cose sacre, e necessarie le donne e la loro bellezza alla conservazione del mondo.”

Il volumetto non aveva precedenti; anche le poche scrittrici famose del tempo avevano difeso le donne, con assennate riflessioni sulla realtà quotidiana; la monaca non segue modelli letterari, parte dalla vita comune per arrivare a considerazioni generali, il linguaggio è immediato, coinvolgente, molto lontano dai canoni prescritti, dai gusti letterari del tempo. E il contenuto sferza le vanità maschili, le convenzioni, ribalta il sarcasmo in ironia:

“Dopo aver stancato una mezza dozzina di pettini con la zazzera, eccoli con una capigliatura non riccia ma arricciata, ogni crine della quale sta ordinato come meglio nol disporrebbe il pennello di Apelle.”

Il libretto fu firmato DAT (Donna Arcangela Tarabotti: sia lei che Regina sono ormai Madri, nel convento, ma lei preferisce farsi appellare Suora o Signora) , si giustificò dicendo che le dame l’avevano spinta e poi avevano pubblicato a sua insaputa. Un successo: le signore sapevano leggere... Alcuni letterati si inferocirono, in particolare un frate giramondo, forse un provocatore mandato a mettere ordine fra i troppo esuberanti autori veneziani. Questi organizzò una vera e propria persecuzione, probabilmente servendosi di quelle “scrittorie” che copiavano a mano e rapidamente “zucchette, consegi, brogetti”. Incitò altri a denigrarla e scrisse una risposta astiosa, noiosissima ma pericolosa, perché rivelava il nome dell’autrice. Arrivarono ad affermare che il Paradiso non l’aveva scritto lei, dopo che si erano espressi in lodi e riconoscimenti poco tempo prima, citavano la differenza di stile, lei rispose ironizzando sulla loro ignoranza: con argomenti diversi occorrono stili diversi, se si è capaci.

Ma i tempi cambiano, Venezia doveva affrontare "la Grande Minaccia dell'Ottomano" ed era cambiato anche il Papa. Nasce una alleanza difensiva, con i suoi prezzi, "la letteratura deve cedere alle armi". Suor Regina muore, Suor Arcangela ancora una volta cerca sollievo dal dolore nella scrittura. Lagrime di Arcangela Tarabotti per la morte dell'Illustrissima Signora Regina Donà racconta le virtù di carattere, la capacità di adattamento, la dignitosa modestia –“Non ebbe mai bisogno di mendicar splendori da gli Antenati suoi-, l'intelligenza, l'autentica bontà: “Non mai quella benedetta bocca mandò un accento in pregiudizio a veruno”.

I visitatori in Parlatorio diminuiscono, ma l'ambasciatore francese Gremonville e la moglie, sinceri amici, conducono a trovarla Gabriel Naudè, bibliotecario del Cardinale Mazarino che viaggia in Italia per raccogliere le migliori espressioni di ogni tipo di arte. Oltre a chiederle consiglio sulle novità, il francese chiede le sue opere da inserire nella collezione del Cardinale, un riconoscimento importante. E per bilanciare la spregiudicatezza, ecco opere devozionali come Contemplazione dell'anima errante, Via lastricata per andare in cielo, Luce monacale (solo menzionate, oggi smarrite). Per rafforzare la propria reputazione letteraria pubblica nel 1650 Le lettere familiari e di complimento, opera interessante per capire gli intrecci e le aspirazioni che stanno alla base della vita e dell'attività della monaca. Lo scambio di lettere era a quel tempo una usanza necessaria, viste le distanze sia geografiche che culturali, un piacere, un utile passatempo, una verifica delle proprie convinzioni. Molte corrispondenze venivano pubblicate, in volumi e volumi di cui sono strapieni i nostri Fondi Antichi.

La raccolta di Tarabotti si inserisce in questa dinamica e ancora una volta a favore delle donne, insegnamento, sprone, falsariga su cui fare affidamento. E in molteplici situazioni: richieste e ringraziamenti ai "Superiori" (atti a mostrare le proprie alte relazioni e il proprio status), notizie quotidiane ai parenti e alle amiche, complimenti per nozze, nascite o successi professionali, pareri matrimoniali, accordi per affidamento di lavori, sfoghi di amicizia o di inimicizia, racconti di eventi, istruzioni riguardo ai suoi scritti. Una varietà di stili, di argomenti e di personaggi: Tarabotti mostra consapevolezza e volontà di far parte di una società anche stando in convento.

Nonostante i peggioramenti in salute, sta preparando un'altra puntata a favore delle donne in risposta a un nuovo trattato misogino dove ci si chiede se le donne hanno un'anima, adducendo argomenti filosofici e religiosi. Questa volta non si tratta di barzellette, ma di noiosissime citazioni e dispute dottrinali e la monaca risponde adottando lo stesso stile, Inganno versus Disinganno (un duello verbale) e piega la dottrina a precisazioni e interpretazioni per asserire l'esatto contrario, con un linguaggio quotidiano vivace ed efficiente. Le controcitazioni, numerose e continue, appesantiscono la lettura, ma la consueta vena ironica conforta il lettore. Le polemiche favorirono il successo, anche firmandosi Galerana Barcitotti (come d'uso, adottò talvolta uno pseudonimo, mai però al maschile).

Ma la malattia non perdona e nel 1652 Elena Cassandra Tarabotti cessa di vivere. Comparirà postumo il suo manoscritto Tirannia Paterna con il titolo cambiato in Semplicità ingannata e finirà all'Indice dei libri proibiti.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Arcangela Tarabotti

Testi di Suor Arcangela Tarabotti
Tirannia Paterna – manoscritto disperso
Inferno Monacale – manoscritto del Settecento pubblicato in Francesca Medioli, L'Inferno Monacale di Arcangela Tarabotti, Torino, Rosemberg & Sellier, 1990
Paradiso monacale libri tre. Con un soliloquio a Dio di Donna Arcangela Tarabotti Antisatira- D.A.T.
Che le donne siano della spetie degli uomini. Difesa delle donne di Galerana Barcitotti, contra Horatio Plata....
Lettere familiari e di complimento della Signora Arcangela Tarabotti....
Sermplicità ingannata di Galerana Baratotti (postumo)
Bibliografia
Emilio Zanette, Suor Arcangela monaca del Seicento Veneziano, Roma-Venezia, Istituto per la collaborazione culturale,1960.
Ginevra Conti Odorisio, Donna e Società nel Seicento, Roma, Bulzoni, 1979
Francesca Medioli, L'”Inferno monacale” di Arcangela Tarabotti, Torino, Rosemberg&Sellier, 1990
Gabriella Zarri, Monasteri femminili e città (secoli XV-XVIII) in Storia d'Italia. Annali 9, Torino, Einaudi, 1986
Emilia Biga, Una polemica antifemminista del '600,Ventimiglia, Civica Biblioteca Ambrosiana, 1989
Elissa Weaver, e Satira Antisatira, Roma, Salerno 1998




Voce pubblicata nel: 2017

Ultimo aggiornamento: 2019