Antifemminista. A parole. Infuriata con le donnine languide e dannunziane. Ma a volte struggente nelle sue poesie. Ce l’aveva con le madri-mogli-donne frigide. Meglio: l’intellettuale-artista-coreografa-futurista Valentine de Saint-Point ce l’aveva con quasi tutte le donne del suo tempo. Ma le sue sferzate furono illuminanti. Valentine de Saint-Point, ovvero Anne-Jeanne-Valentine-Marianne Desglans de Cessiat-Vercell, nacque a Lione, il 16 febbraio del 1875. Era pronipote del poeta e politico Alphonse Lamartine, capo del governo rivoluzionario francese nel 1848. Bella, intelligente e inquieta, studiò pittura con Alphonse Mucha, autore dei primi e più eleganti manifesti pubblicitari. Posò anche per lui, così come fu modella e musa dello scultore Auguste Rodin, sul quale scrisse poi un saggio.
Non sappiamo molto della sua giovinezza se non che aderì all’avanguardia letteraria e artistica parigina e divenne amica di intellettuali come Gabriele D’Annunzio. Pubblicò alcuni volumi di versi nei quali cantava le forze della natura, a cominciare da Poèmes de la Mer et du Soleil, uscito nel 1905, quando l’autrice era già trentenne. Scrisse anche opere teatrali, saggi e alcuni romanzi, tra cui: Un Amour, del 1906; Un Incest, del 1907; Une Mort, pubblicato nel 1911; Une femme et le désir, del 1910. Alla base delle sue teorie c’erano in particolare Friedrich Nietzsche e Maurice Barrès, sostenitore del culto dell’Io e della Nazione. Di Nietzsche, Valentine rielaborò la teoria del superuomo: convinta che l’umanità fosse in generale mediocre, sostenne che, sulla massa, dovessero emergere non solo uomini “superiori”, ma anche “superdonne” che sapessero farsi guidare dall’istinto e abbandonare ogni convenzione e restrizione sociale.
Il Futurismo le calzò a pennello. Filippo Tommaso Marinetti, che fu quasi di sicuro suo amante, sia pure intermittente, e di cui Valentine fu grande amica, nonostante avessero spesso idee opposte, l’adorava. Al Manifesto del Futurismo, del 1909, e al discorso di Marinetti Contro l’amore e il parlamentarismo del 1910, Valentine rispose con due proclami, il Manifesto della donna futurista, del 25 marzo 1912, e il Manifesto futurista della lussuria, dell’11 gennaio 1913. I due testi, accompagnati da una serie di conferenze in Francia e Belgio, scatenarono un putiferio, soprattutto sulla stampa, tanto che il secondo Manifesto era già dedicato alle critiche dei giornalisti. Le tesi erano in effetti ardite: da una parte propugnavano una totale libertà sessuale, dall’altra incitavano alla violenza arrivando a giustificare lo stupro quale «naturale espansione vitalistico-istintuale» dei vincitori. Valentine giunse a sostenere che «è il bruto che si deve proporre a modello», auspicando, nel Manifesto del 1912, per le donne e per gli uomini un «salutare imbarbarimento». Nemmeno Marinetti arrivava a tanto. Però le scriveva: «Voi da assaggiatrice di maschi quale siete, ricchissima, sfaccendata, vedova amorale, avete ormai bevuto come tuorli d’uova gli uomini più originali d’Europa».
Valentine si stufò però anche del Futurismo. Per un periodo si legò a Ricciotto Canudo, uno dei primi critici cinematografici. Già da tempo si occupava di danza e fu questa comune passione a unirli. L’invenzione più originale della Saint-Point, che molti considerano una delle primissime artiste multimediali, fu la Métachorie, una danza dai movimenti meccanici e geometrici che lei stessa eseguiva mentre un attore leggeva le sue poesie: la presentò nel 1913 a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées e al Metropolitan Opera House di New York nel 1917. A Marinetti non piacque: «La sensibilità di queste danze risulta monotona limitata elementare e tediosamente avvolta nella vecchia atmosfera assurda delle mitologie paurose che oggi non significano piú nulla».
Il contributo di Valentine è stato comunque fondamentale. Con lei ha collaborato a lungo Dane Rudhyar, il musicista e intellettuale che, con Martha Graham, ha fondato il balletto contemporaneo.
Inesauribile, negli anni Venti la Saint-Point sognò di fondare in Corsica un centro per gli intellettuali di tutto il mondo, il Tempio dello Spirito. Poi si trasferì in Egitto, dove si batté per unire i popoli, contro il colonialismo e per il libero scambio. Partecipò, per esempio, alle attività della Al-Rabita Al-Sharqiyya, la Lega orientale, un’organizzazione fondata in Egitto per unire i popoli colonizzati. Fece anche sua la causa del nazionalismo arabo e pubblicò un nuovo manifesto, Le Phoenix. Negli ultimi tempi andò a vivere al Cairo, si convertì al sufismo e si fece chiamare Raouhya Nour el Dine. Tentò anche di spingere le donne musulmane verso un “femminismo orientale”, che rispettasse cioè la loro tradizione: l’idea suscitò le ire delle femministe egiziane, allora più interessate a quanto accadeva in Europa e pronte a gettare il velo alle ortiche. Risultato di tutte queste battaglie? Il disprezzo dei francesi e la diffidenza dei musulmani. Morì, dimenticata e sempre più affascinata dal deserto, al Cairo il 28 marzo 1953. «Pesante è la mia solitudine/ la sua asprezza è insanabile», aveva scritto nella poesia Les Pantins Dansent (Le marionette danzano).
Valentine de Saint-Point, Manifesto della donna futurista, Il Nuovo Melangolo 2006
Valeria Palumbo, Le figlie di Lilith, Odradek 2008
Giancarlo Carpi, Futuriste. Letteratura. Arte. Vita., Castelvecchi 2009
Referenze iconografiche: Valentine de Saint-Point, fotografia colorata a mano, primo decennio XX secolo. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023