Anne Gray Harvey, una ragazza di buona famiglia e ultima di tre sorelle, ebbe un’infanzia molto solitaria e non frequentò corsi di studio regolari. Si sentiva «chiusa a chiave nella casa sbagliata». I suoi genitori conducevano una vita sociale di un certo livello ed entrambi bevevano con grande disinvoltura, benché Mary, madre di Anne, ritenesse che ad avere problemi con l’alcol fosse il marito, mentre si definiva con qualche indulgenza una «bevitrice sociale». Anne stessa, da adulta, diceva di riconoscere in sé le modalità da “ubriacona” della madre che aveva allegramente bevuto, come il marito, sino alla fine dei suoi giorni.
Il padre detestava Anne sino al punto di dirle che non reggeva la sua vista. In questo contesto solo la prozia Nana divenne un punto di riferimento per la ragazzina, anche se per poco, poiché soffriva di gravi disturbi psichici.
All’inizio dell’estate del 1944 Anne conobbe Kayo Sexton, si innamorò, fuggì con lui e lo sposò. La grande passione non le impedì, solo pochi anni dopo, di innamorarsi o di uscire con altri uomini. L’abuso di alcol e di psicofarmaci contribuivano ad acuire il suo temperamento irrequieto e il bisogno costante di novità. Nel 1953 nacque la prima figlia Linda Gray, nel 1955 nacque la secondogenita Joyce Ladd. Anne e Kayo a ventisette anni potevano dirsi realizzati, erano una bella e giovane coppia con prole. Ma era tutta lì la vita? Una sera del luglio 1956, dopo che Kayo e le bambine si erano addormentati Anne, sentendosi sola e disperata più che mai, decise di uccidersi. Prelevò da un cassetto la fotografia e il diario di Nana e le pillole per dormire che le aveva prescritto la psichiatra. Kayo la trovò in veranda, con la confezione delle pillole in mano, seduta nel buio. Venne ricoverata in tempo e si salvò. In un’intervista rilasciata alla Paris Review nell’agosto del 1968 la Sexton ricorda così quel periodo: «Fino ai ventotto anni avevo una specie di sé sepolto che non sapeva di potersi occupare di qualunque cosa, ma che passava il tempo a rimescolare besciamella e badare ai bambini. Non sapevo di avere alcuna profondità creativa. Ero una vittima del Sogno Americano, il sogno borghese della classe media. Tutto quello che volevo era un pezzettino di vita, essere sposata, avere dei bambini. Pensavo che gli incubi, le visioni, i demoni, sarebbero scomparsi se io vi avessi messo abbastanza amore nello scacciarli. Mi stavo dannando l’anima nel condurre una vita convenzionale, perché era quello per il quale ero stata educata, ed era quello che mio marito si aspettava da me... Questa vita di facciata andò in pezzi quando a ventotto anni ebbi un crollo psichico e tentai di uccidermi».
Dopo essere entrata in cura con un nuovo psichiatra, Anne venne da lui convinta di possedere un talento creativo totalmente inespresso. Il medico le consigliò di scrivere e la Sexton si decise a farlo dopo avere seguito un programma televisivo dove insegnavano a scrivere sonetti. Ci provò e vide che le veniva facile. Dopo alcuni mesi di scrittura compulsiva e di approvazione, sia da parte dello psichiatra che della madre, le tentazioni suicide riapparvero in Anne e la condussero a un nuovo tentativo il 29 maggio del 1957.
Anne era in grado di scrivere solo quando le sue condizioni erano buone, e si arrabbiava quando sentiva parlare della pazzia come qualcosa di molto romantico e creativo. Quando si decise a frequentare il corso tenuto da John Holmes, al Boston Center for Adult Education, indossò la sua maschera pubblica che avrebbe raffinato negli anni. Maxine Kumin, poetessa di prima grandezza conosciuta a quel seminario e che, in seguito sarebbe diventata la sua migliore amica, la ricorda come bellissima, elegante, ingioiellata, con rossetto e smalto per le unghie perfettamente abbinati.
L’analisi e la scrittura fervevano ed erano strettamente legate. La scrittura era per Anne l’unica ragione di vita e il luogo, come scrive la Middlebrook, dove dare dimora alle sue capacità immaginative. La poesia le consentì di nascere una seconda volta, senza madre né padre, come una dea. Nel 1958 il poemetto La doppia immagine viene pubblicato ed è proprio durante quei mesi, fondamentali per la costruzione della sua identità di poeta, che Anne incontra una giovane donna il cui destino, per certi versi, si snodò parallelo al suo: Sylvia Plath. In un ricordo scritto dopo la morte della Plath, la Sexton ricordò così le ore trascorse insieme: «Spesso molto spesso, Sylvia e io riparlavamo dei nostri primi tentativi di suicidio: molto, in dettaglio e in profondità fra una patatina fritta e un’altra. Il suicidio, dopo tutto, è il contrario della poesia. Sylvia ed io la vedevamo spesso in maniera opposta, ma parlavamo della morte con ardente intensità, entrambe attratte da questa come le zanzare dalla luce elettrica».
La vita e la poesia si inseguono, si intrecciano, e insieme finiscono con l’abbattersi sulla riva della pagina bianca. Da allora sino alla morte Anne pubblica oltre dieci libri, vince premi prestigiosi, e sprofonda sempre più nella disperazione e nella solitudine, nonostante le numerose relazioni amorose e l’amicizia con Maxine. Il suo leggendario fascino non venne mai meno, ma inevitabili arrivano i conti con il declino fisico e la vecchiaia incombente. I taccuini della morte fu l’ultimo libro ed ebbe il solito successo (nel 1967 aveva vinto il premio Pulitzer con Live or Die). Niente lasciava presagire quel che stava per fare. Chi la vide, il giorno prima e la mattina del giorno in cui si uccise, non aveva notato nulla di diverso in lei. Pranzò con Maxine Kumin, che fu l’ultima persona a vederla in vita, telefonò alle persone che doveva vedere la sera. Poi si avvolse nella vecchia pelliccia della madre, si versò un bicchiere di vodka, si chiuse nel garage e accese il motore dell’auto.
A. Sexton, L’estrosa abbondanza, Crocetti 1997
A. Sexton, Poesie d’amore, Le Lettere 1996
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023